Metto sul piatto anche i miei due cent sull'argomento, con uno scritto che ho scaricato, ormai, qualche anno fa e di cui non ricordo l'autore che, se si riconosce, mi scuso per non ricordarlo:
Citazione:
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Le cose non vanno sempre come dovrebbero
Fin qui si è parlato di quanto è bello guidare e di quanto gratifichi la guida in piega. Affrontiamo l’inedito capitolo del perché le cose non sempre vanno come dovrebbero. Apro una parentesi per innalzare un canto di ringraziamento al signor Keith Code, direttore della California Superbike School, dove vanno a fare dei corsi di perfezionamento anche piloti di livello mondiale. Costui ha scritto alcuni volumi, tra i quali segnalo “Atwist of the wrist” 1 e 2. Molte sensazioni che faticavo a decifrare sono state abilmente tradotte in parole e concetti, con il conforto delle testimonianze dei molti piloti che hanno avuto modo di migliorare il proprio stile di guida grazie ai consigli di Code. Avendo tempo e una buona conoscenza dell’inglese, potrete trarre sicuramente giovamento dalla lettura dei due volumi. Quante volte avete sentito dire la sbruffonata “Nel dubbio tieni aperto”? È la traduzione (errata) di una di quelle forme sintetiche che gli americani adorano: “When in doubt, gas it”. Alla lettera andrebbe tradotto “Nel dubbio, accelera”. La differenza non è da poco, vedrete. Altra frase storica: “Per chiudere la curva dai gas”. Quanti la dicono, ma quanti sanno cosa stanno dicendo? Mi sono tormentato per molto tempo cercando di spiegarmi la ragione per cui dando gas la mia moto allargava invece di chiudere. Ho capito solo dopo che entrambe le frasi sono ulteriori manifestazioni della delega dell’attività di pensiero. E torniamo al dunque: per quale motivo capita che non si riesca a fare tutto alla perfezione?
Centauri e scimmie
La maggior parte dei problemi, nel percorrere una curva, derivano dalle nostre reazioni all’imprevisto. Tipicamente, ci pare di essere troppo veloci e rallentiamo, scoprendo dopo che non ce ne era affatto bisogno. Questa è la situazione classica, che nella maggioranza dei casi non genera altro se non una certa inquietudine e una flessione dell’autostima. Tuttavia, è la manifestazione evidente di un collegamento diretto fra la sensazione di pericolo e la reazione istintiva di sopravvivenza,
che ci spinge a ridurre la velocità. Se fossimo a piedi, nella foresta, forse questa reazione sarebbe perfetta. Rallentando abbiamo modo di sfruttare le modifiche che la paura apporta al funzionamento del nostro organismo: i muscoli si preparano a una contrazione violenta, lo sguardo diventa frenetico alla ricerca della fonte del pericolo, i sensi scattano analizzando a tutta velocità gli stimoli; inoltre, facendo meno rumore, si è meno individuabili e più sensibili al rumore di un eventuale aggressore. In sella a una motocicletta, invece, questa reazione istintiva è deleteria e vediamo perché. Staccata, inserimento e panico: “sono troppo veloce, chiudo il gas”. Cosa accade? Il peso si trasferisce di colpo verso la ruota anteriore, la forcella si comprime, la moto si abbassa leggermente. La ruota anteriore ha una impronta a terra inferiore rispetto alla ruota posteriore, è fatta per sopportare un certo carico a una certa velocità. La curva ideale si deve percorrere in leggera, morbida e costante accelerazione per consentire alla moto di conservare il suo equilibrio e la sua trazione ideale; se invece si trasferisce il carico all’anteriore se ne altera l’equilibrio, facendo fare alla gomma anteriore più lavoro di quanto la sua stessa struttura possa reggere. Il rischio è quindi una perdita di aderenza (la classica chiusura di sterzo).
Ma questa è la conseguenza più grave mentre, di solito, la sollecitazione viene digerita dalla gomma, che tiene botta. In ogni caso, però, il peso si scarica sull’avantreno comprimendo la forcella. Diminuisce l’avancorsa, l’anteriore diventa più sensibile mentre il peso del corpo grava sui manubri rendendo più pesante lo sterzo e difficili le piccole correzioni. A questo aggiungiamo che la paura ci ha fatto contrarre i muscoli e quindi siamo anche meno elastici e soffriamo di più le eventuali vibrazioni indotte dal fondo stradale, amplificandole per via della forza con cui siamo aggrappati alle manopole. Insomma, per paura di perdere il controllo, di fatto mettiamo in crisi la stabilità della moto, perdendo tempo, velocità di percorrenza, fluidità, ma soprattutto correndo seriamente il rischio di sbattere al suolo. Non solo, ma decelerando ci mettiamo in un’altra situazione a rischio poiché, superata la paura, tendiamo a fare come i pivelli in pista: gas chiuso in percorrenza e grossa accelerazione in uscita. In queste condizioni le probabilità di perdita di aderenza della ruota posteriore raggiungono il massimo. Dicevo che una conseguenza interessante della forma delle gomme è che, all’aumentare dell’inclinazione della moto, è come se usassimo dei pneumatici di sezione decrescente. Cosa accade se la ruota diventa più piccola? Che deve fare più giri per percorrere la stessa quantità di strada, cioè fa aumentare il regime del motore. Se teniamo il gas costante in curva deceleriamo comunque perché avremo l’effetto del freno motore indotto dalla sezione decrescente della gomma a far rallentare la moto. E noi non vogliamo assolutamente frenare in curva perché abbiamo visto che è male, molto male, addirittura pericoloso. Quindi la cosa migliore da fare, percorrendo una curva, è staccare, inserire e da qui in poi accelerare in maniera leggera, morbida e costante fino al momento in cui vediamo l’uscita della curva, quando l’accelerazione potrà diventare più robusta in quanto la moto si starà rimettendo dritta e quindi l’aumento del regime del motore verrà in minima parte compensato dal crescere del diametro della gomma e l’aderenza verrà spesa solo per avanzare e non più per contenere la spinta laterale. Bisogna lavorare molto e fare molta esperienza prima che l’istinto di sopravvivenza generi delle reazioni consone a un centauro e non più a una scimmia appiedata. E se l’intuizione iniziale era corretta? Allora, se lo spavento col quale abbiamo cominciato la curva era giustificato, la tecnica illustrata qui sopra è valida lo stesso poiché se la caduta fosse inevitabile, ad esempio per via di una grande macchia d’olio, la differenza fra le due situazioni è che se la moto è in perfetto equilibrio tenderà a scivolare in maniera abbastanza composta, “sfilandosi da sotto” e facendoci cadere di fianco. Se invece chiude davanti di colpo, come avviene quando la moto “prende sotto” per una improvvida frenata o chiusura del gas su fondo sdrucciolevole, la caduta sarà più pericolosa in quanto il corpo verrà proiettato in avanti, sulla spalla interna alla curva.
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Per chi fosse interessato posso mettere a disposizione l'iutero articolo che ha per titolo:
LA GUIDA MOTOCICLISTICA IN PISTA.. E NON!