frozenfrog ha scritto:
GreenGhost, ti dico come la penso. Premetto che al di là del fatto che possiedo una "discreta" esperienza (oltre 35 anni sulle due ruote di cui 30 anni di moto e 750.000 chilometri percorsi in giro per il mondo) non mi ritengo certo l'archetipo del motociclista perfetto, tantomeno ho la presunzione di essere un modello da seguire, ma credo di poter fornire una chiave di lettura seguendo in questo contesto un ragionamento fatto di "psicologia spicciola" e di semplici tesi filosofiche.
Ho avuto, come tanti, la mia buona dose di sfortuna, di disattenzioni, di incidenti (anche gravi), ma anche di fortuna, di intuizione, colpo d'occhio e presenza di spirito. Guardandomi indietro ed analizzando con onestà i miei trascorsi, devo dire che in tutto questo, volente o nolente, ci ho messo, nel bene e nel male, molto del mio. Con questo intendo dire che molto spesso quello che ci accade è causato da noi stessi, ovvero è la diretta conseguenza del nostro modo di comportarci ed agire. Che c'entra? mi chiederai. C'entra, perchè seguendo la mia linea di pensiero, quel che tu vedi il fine settimana (e non solo) su certe strade, altro non è che il risultato delle azioni dell'essere umano; e qui sta il punto. Chi fa la MotoGP su strade aperte al traffico è semplicemente un incosciente idiota che non ha il senso della misura e non possiede quello che io normalmente chiamerei "l'istinto di conservazione". Vuol dire che se il tizio in questione sorpassa una colonna di veicoli, come descrivi tu, in una curva senza visibilità (magari invadendo, anche se di poco, la corsia opposta), non ha la minima cognizione del fatto che potrebbe spuntargli dalla corsia opposta una macchina, ma anche un Tir o un trattore con attaccato l'aratro, magari un altro motociclista intento a farsi la "propria" sparata, e non ha la minima cognizione che questo comportamento gli fa correre rischi sproporzionati e potrebbe causargli danni enormi se non addirittura la morte (ed in caso questo accada non si può provare altro che quella humana pietas che è dovuta di fronte alla scomparsa di un essere umano, ma nulla di più). Chi fa la MotoGP per strada magari ha la convinzione (ahimè troppo spesso erroneamente radicata) di avere le capacità (proprie e del suo mezzo) per trarsi eventualmente d'impaccio. Sulla questione che poi lo faccia in un gruppo può voler dire semplicemente che ha una grande fiducia in quelli che sono davanti e dietro a lui o ancor più semplicemente che non è conscio (o se ne frega altamente) di quello che lo circonda o che si accompagna (teoria da non trascurare) con i propri simili e quindi in questo caso vale l'equazione: cognizione del singolo=zero -> cognizione del gruppo=zero (un po' come le sardine che si muovono in banchi e proprio in questo modo finiscono nelle reti dei pescatori o nelle fauci dei predatori). Significa altresì che questo genere di persona (difficilmente mi viene di definirlo motociclista, è un appellativo un po' stridente) è priva del minimo senso di prudenza, ed anzi è dotata di una presunzione smisurata: come dicevo, convinzione delle proprie capacità e di quelle del proprio mezzo sopravvalutate ("la mia moto è meglio delle altre ed io guido meglio degli altri"). Invece purtroppo per lui è assai (se non del tutto) carente in umiltà, perchè non conosce (o non vuole ammettere) i propri limiti (e di conseguenza non sa fermarsi di fronte ad essi per non oltrepassarli). Perchè lo fa? mi chiederai a questo punto. Lo fa per tanti e diversi motivi: inesperienza (brutta bestia), delirio di onnipotenza, arrogante presunzione, semplice incoscienza (ed alla fine non so quale è peggio).
L'esperienza: porta senza dubbio ad avere una certa confidenza con il mezzo meccanico ed una più profonda conoscenza delle proprie capacità, ma se non viene completata con la necessaria (fondamentale) conoscenza dei propri limiti "nosce te ipsum" (conosci te stesso) (riassunta e racchiusa nell'umiltà di cui parlavo sopra) porterà ad oltrepassare troppo spesso il confine che separa la buona conoscenza dall'eccesiva confidenza (cosa che conduce inevitabilmente a risultati nefasti). Vero è che, visto che ho tirato in ballo il mezzo meccanico, oggi le moto consentono prestazioni e manovre impensabili tempo fa (ma è altrettanto vero che 30 anni fa già esistevano moto capaci dei 200 Km/h ma che erano due volte più pesanti ed un imprecisato numero di volte meno maneggevoli e propense a fermarsi...), ma questo non può costituire la discriminante (o peggio l'alibi da usare alla bisogna).
Veniamo a te (e a tanti altri come te). Tu molli agli incroci? molli nell'ingresso in curva? Non hai niente di cui vergognarti. Hai un comportamento consapevole (del rischio, dei limiti, ecc.) e sei di conseguenza prudente. Nessuno (nemmeno tu stesso) te ne può fare un torto. E' mia ferma convinzione che della moto non si debba avere paura (in quel caso il consiglio per chiunque sarebbe di mollarla immediatamente) ma rispetto. E' un mezzo per sua natura intrinseca instabile; chi fa la differenza è colui che ci siede sopra e lo usa. E maggiore differenza la fa, tra chi lo usa, il modo con il quale lo si usa (pensiamo ad esempio a tutti i comportamenti "a rischio" o eticamente "discutibili" e avremo un buono spunto di partenza).
In estrema sintesi potremmo semplicemente richiamarci alla concezione Sallustiana contenuta nella celebre (ed abusata) locuzione "Faber est suae quisque fortunae" che tradotta letteralmente significa "Ciascuno è artefice della propria sorte" (nel bene e nel male, aggiungo doverosamente io), che sta a significare che l'uomo non può essere considerato succube del destino, ma essendo intelligente (si fa per dire), raziocinante (si fa sempre per dire) e quindi in grado di utilizzare al meglio ciò che la natura e la vita gli offrono (c'è da crederci...), può essere dunque artefice del proprio destino.
Alla fine della fiera, il mio umilissimo consiglio è di seguire il tuo "istinto", il tuo modo di pensare (che è positivo) soprattutto quando hai (e giustamente senti) la responsabilità (non entriamo nel merito di quale tipo) della persona che porti con te (della sua incolumità). Continua per la tua strada e usando un termine che il mio quarto di sangue Partenopeo mi suggerisce, alla domanda "e degli altri?" "futtetenn" fregatene (almeno finchè qualcuno non mette a repentaglio la tua stessa incolumità, allora a quel punto sei autorizzato a reagire con tutti i mezzi a tua disposizione; non dico di raggiungerlo in cima alla salita o in fondo alla discesa, e mentre si pavoneggia con gli amici mollargli una testata con tutto il casco e buttargli le chiavi della moto in un fosso o in un tombino, anche se in certi casi sarebbe la miglior ricetta per dargli da pensere su un poco...).
Buona strada a te e alla tua zavorrina.
Grandissimo
Meno male che gente che usa il cervello c'è ancora