Chi mi conosce in questo forum, chi ha avuto modo di confrontarsi con me, sa che ho una specie di fissa per le cilindrate medio-piccole. E’ un interesse dettato dalla mia statura, che mi fa prediligere le moto compatte e leggere, ed in genere moto con potenze e cubature limitate si dovrebbero rivelare più snelle e più economiche al prezzo di prestazioni che per molti saranno scarse ma che personalmente ritengo adeguate.
Con questo articolo vorrei ricordare una moto che da ragazzo mi colpì molto, nonostante si dovette poi rivelare un fiasco, e che mi ha fatto riflettere a lungo sul fatto che le moto economiche dovessero avere un’estetica da brutto anatroccolo a confronto delle top di gamma dello stesso marchio quando invece è possibile realizzare moto oneste ma che non abbiano un'estetica volutamente dimessa. E' pur vero che lo stile di questa moto è ormai superato e forse pesante, così come semplicistica l'idea di installare diversi propulsori sulla stessa moto (come ai giorni nostri la KTM Duke), però il tentativo ci fu. Probabilmente qualcuno mi dirà che ho una fissa per le moto sfigate e forse è vero, perché in effetti le storie travagliate non mi dispiacciono. La Dart è senz’altro una moto sfigata.
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Nella foto una Dart 400, gli ultimi modelli esportati all'estero furono realizzati con cilindrata maggiorata.
Per capire la genesi di questa moto, occorre inquadrare il background. I più giovani tra noi conoscono il marchio Moto Morini per le recenti vicissitudini, dalla ripresa della produzione nel 2006, con modelli come la Corsaro, la Granpasso e la 9 e ½ fino al fallimento del 2010 e la ripresa della produzione avvenuta negli anni successivi, tuttavia Moto Morini è un marchio storico che ha avuto un certo successo dal dopoguerra fino all’inizio degli anni novanta. Il fondatore, Alfonso Morini, ex pilota, costruisce moto capaci di vincere competizioni internazionali, ma anche modelli economici che hanno una discreta diffusione nell’Italia degli anni ’50 e ’60.
Nel 1969 Alfonso Morini muore e la proprietà dell’azienda passa alla figlia Gabriella. L’anno successivo arriva in azienda il progettista Franco Lambertini che progetterà il motore a V di 72° da 350 cc che equipaggerà la moto di maggior successo, la 3 e ½, oltre alla successiva K2 350, alla Kanguro e all’Excalibur, rispettivamente un enduro ed una custom.
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Nel frattempo un’altra azienda è entrata nel panorama motociclistico italiano: la Cagiva di Giovanni Castiglioni. L’azienda, che fino agli anni ’70 si occupava di minuterie metalliche, acquisisce nel 1978 l’AMF-Harley Davidson ed inizia sia la produzione di nuovi modelli, sia la gestione di una scuderia. Cagiva produce inizialmente modelli di piccola cilindrata, quindi amplia la propria offerta di modelli medio-grandi con motorizzazione Ducati come l’Alazzurra e l’Elefant, acquisendo poi la Ducati stessa.
Negli stessi anni, sempre all’interno di un piano di ampliamento, Cagiva acquisisce anche Moto Morini e Husqvarna. Gabriella Morini cede il marchio che vive momenti di crisi come in generale il mercato delle moto nella speranza di un rilancio che non avverrà. Moto Morini rimane per poco tempo un marchio della galassia Cagiva che di lì a pochi anni, nel 1993, ne decreterà la chiusura. Nel 1996 la Ducati viene acquisita dalla statunitense TPG che venderà il marchio Morini nel 1999 alla Morini Franco Motori che di lì a qualche anno tenterà di ricominciare la produzione con nuovi modelli.
La prima Ducati ad essere realizzata a metà degli anni ottanta sotto la gestione Cagiva è la Paso 750.
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Il nome è un tributo al pilota Renzo Pasolini, morto nel 1973. La moto, disegnata da Massimo Tamburini, ha un’estetica innovativa che non a tutti piace (personalmente l’ho sempre trovata bellissima): carena integrale, specchietti integrati nella carenatura e cupolino privo di trasparente. La Paso non sarà una moto fortunatissima, specie per problemi di affidabilità e di prezzo, tuttavia l’estetica della moto sarà mutuata dalla Cagiva per realizzare la nuova 125 2T sportiva: la Freccia C9.
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La stessa cosa accadrà quando verrà realizzata la Mito ricalcando l’azzeccatissima estetica della Ducati 916. Tornando alle ottavo di litro, la seconda metà degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ’90 rappresentano l’apice dell’epopea di questi mezzi dedicati ai sedicenni, con una rincorsa alle prestazioni che sembrava destinata a non finire mai ed in seguito stoppata con i nuovi limiti imposti ai mezzi per i patentati A1. Si trattava di un’autentica guerra tra le case che sfornavano a getto continuo modelli nuovi o rinnovati nel tentativo di battere la concorrenza e di conquistare il cuore degli adolescenti di allora e, di conseguenza, nuove quote di un (al tempo) fiorentissimo mercato.
Tra il 1985 ed il 1987 la Cagiva aveva prodotto le Aletta Oro S1 ed S2 che però non erano stati modelli fortunatissimi: entrambe le moto avevano il motore sprovvisto della valvola allo scarico, dispositivo presente nelle concorrenti, che non era solo un vezzo del marketing ma un efficace mezzo per rendere meglio trattabili quei motori che si facevano sempre più tirati e potenti. La Freccia C9 rappresentava esteticamente un modello di rottura ed introduceva finalmente la valvola CTS che rendeva il motore ben più potente rispetto a quello della S2; nuovo era anche il telaio, maggiori le prestazioni. L’Aletta Oro S2 superava appena i 140km/h, la Freccia arrivava oltre i 156km/h.
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In quegli anni quindi la Cagiva è impegnata a rilanciare la Ducati dopo anni di gestione IRI, con nuovi modello come la già citata Paso e la 851, dall’altra produce nuovi modelli sia nello spumeggiante segmento delle 125, con la Freccia e l’Elefant, sia nelle cilindrate superiori. In quel periodo la Moto Morini mostra ancora segni di vivacità, per quanto di lì a pochi anni la produzione sarebbe stata interrotta ed il marchio lasciato a prender polvere. Per diversificare la produzione vengono realizzate la Camel/Kanguro e la Excalibur, che ottengono un certo successo di vendita, ma la crisi che attraversa in quegli anni il settore moto convince Gabriella Morini a cedere la propria attività a Castiglioni.
La cessione non porterà al rilancio sperato: all’interno del gruppo non c’è spazio per Moto Morini e salvo qualche restyling dei modelli esistenti, non verranno presentati nuovi modelli, se non la Dart. La Dart può essere definita come una Freccia alla quale sia stato installato il motore della Morini 3 e ½, ed anche se questo può testimoniare la scarsa volontà da parte di Cagiva di rilanciare l’azienda, avendo per le mani la più promettente Ducati, l’installazione di un bicilindrico a V longitudinale di 350cc raffreddato ad aria nel telaio progettato per una monocilindrica di 125cc due tempi raffreddata a liquido dimostra tutta la capacità dei tecnici Morini.
La folle idea di inserire un motore anni settanta in una moto degli anni ottanta inaspettatamente funziona. Esteticamente la Dart è la gemella della Freccia: parafango avvolgente che copre buona parte dalla ruota anteriore, cupolino privo di trasparente e carena integrale a nascondere totalmente il telaio. I cambiamenti sono solo di dettaglio, come le prese d’aria ai lati della carena necessarie per raffreddare il cilindro posteriore ed il differente scarico, tradizionale nella Morini e con i terminali sottosella nella Cagiva. Differente è anche la livrea, bianca ed azzurra.
Una volta tanto non si può dire che per una moto sfigata fosse stato scelto un aspetto dimesso, vista la stretta parentela con una best-seller come la Freccia C9 o con una moto innovativa come la Paso, ma questo non bastò a rendere la moto un successo commerciale, tanto è vero che ne verranno prodotte in due anni, dal 1988 al 1990, circa mille esemplari, di cui alcuni con cilindrata aumentata a 400cc.
Ad affossare la moto, in sé per sé valida nonostante l’indubbio compromesso di utilizzare un propulsore ormai superato, furono diversi fattori. Era innanzitutto il prezzo a metterla fuori mercato: 6.783.000 lire (circa 3500 euro) quando la Yamaha RD 350 LC costava il 10% in meno pur garantendo prestazioni ben superiori grazie al motore due tempi. La stessa Cagiva Freccia era un potenziale concorrente, costando meno di 5 milioni di lire pur garantendo prestazioni non troppo lontane dalla Dart, tanto più che i 125 due tempi dell’epoca venivano spesso elaborati per essere sempre più veloci e potenti, per cui per il diciottenne che già possedeva una quarto di litro il passaggio alla Dart non avrebbe garantito un particolare salto di qualità. Infine all’epoca venne abolito il limite di cilindrata per i diciottenni che a quel punto potevano permettersi moto più prestanti a parità di listino. Tutti questi fattori finirono per affossare definitivamente una moto che, come concetto, con un’estetica rivista ed un motore adeguato ai nostri tempi, potrebbe avere un senso nell’attuale mercato delle moto per neopatentati.
Un confronto tra la fortunata C9 e la sfortunata Dart.
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