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Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
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13958275 Inviato: 27 Nov 2012 0:23
Oggetto: Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.
 

Capitolo 1.
Parto o non parto? ma sì, parto!


Quest’anno di partire l’ho deciso tardi: fino a metà giugno non sapevo se avrei avuto il budget necessario per un viaggio
e per quale viaggio.
Il mio desiderio era di andare a Samarcanda passando per Russia e Kazakhstan e mi allettava molto l’idea di attraversare il Turkmenistan dopo aver preso il traghetto da baku (az) sul mar caspio. Insomma il giro classico via turchia georgia azerbaijan.
Solo che avendo deciso tardi dovevo fare i conti con la burocrazia e il regime dei visti nei vari paesi, nonché il loro costo.
E fatti conti ho optato per il percorso seguente:
dalla grecia entrare in bulgaria, da li in ucraina attraverso la romania. Sbucare in Russia puntando verso il volga dal nord Kazakhstan scendere verso Uzbekistan dell est, attraversarlo tutto e risbucare in Kazakhstan occidentale. Da lì di nuovo russia verso la crimea e poi vedere cosa fare.



Il tutto in una trentina di giorni. Il timore di averla sparata grossa è forte, ma ormai ho deciso e uno dopo l’altro faccio i visti, stando lasco sulle durate per incastrare ingressi e uscite.
Quindi visto doppio per la russia, doppio per il Kazakhstan e singolo per l’uzbekistan per un totale di 290 euri.
La preparazione è iniziata con il corso di russo da ottobre a maggio.
L’anno scorso nel caucaso in molte situazioni non era possibile comunicare se non a gesti, essendo il russo l’unica lingua conosciuta negli stati dell’ex-impero sovietico.
Stavolta volevo almeno essere a livello di sopravvivenza con la lingua. E devo dire che i 600 euri delle 100 ore di corso sono stati santi e benedetti. In un mese preparo la moto:
Trittico trasmissione con catena DID x-ring che si è confermata ottima scelta.
Per le gomme mi decido per heidenau K60 scout che si rivelano davvero spettacolari e durevoli.
Per le valigie, dopo aver letto decine di forum sulle valigie artigianali, do fiducia ai due fratelli rumeni di Heavy Duties, che da Cluj Napoca costruiscono e spediscono valigie e bauli in alluminio e protezioni motore: due valigie da 39 lt + telaio in acciaio mi sono costati 360 euri spediti con atlassib che ha consegnato a roma tiburtina nel giro di 3/ 4 giorni. Anche di loro sono rimasto soddisfatto e piu avanti nel racconto capirete perché.
Ultimo acquisto borsa da enduro della givi, non magnetica.

L’ultimo visto, quello uzbeko, è pronto venerdì 27 luglio. Il 28 parto alla volta della calabria per salutare la famiGGhia e gli amici che quest’anno trovo sorprendentemente tutti tranquilli, almeno in apparenza.
La mattina del 31 percorro la statale 106, sempre uguale e sempre bella, per arrivare a brindisi, da dove la sera mi imbarco per Igoumenitsa.
Sono l’ultimo a sbarcare dal traghetto, avendo trovato un bel posticino sopra la moquette e avendo fatto con calma allo sbarco. La giornata è buona, è presto e mi concedo un caffè in una stazione di servizio fuori dal porto. Lì incontro 4 moto italiane stra attrezzati diretti in Cappadocia. Quando mi chiedono dove vado non ho il coraggio di dire subito Samarcanda, dico che vorrei arrivarci ma intanto vado in Russia.
La giornata procede tranquilla: la Egnatia Odos è una buona e nuova autostrada che serpeggia tra bei paesaggi montani e collinari. Nel pomeriggio da Thessaloniki giro verso nord in direzione Bulgaria. Mangio alla frontiera, la più zozza che abbia varcato finora.



Proseguo per un'altra 60 ina di km e mi fermo al tramonto in un motel in riva a un fiume.
Questa prima giornata non è stata molto incoraggiante: i temporali, il caldo umido e il poco sonno in traghetto mi hanno abbastanza fiaccato. Tra l’altro anche i primi tentativi di parlare russo non sono stati proprio eccellenti: mi ritrovo a non riuscire a dire cosa mangiare alle signore del motel.
Mentre mangio ho un attimo di scoramento: mi sembra di averla sparata grossa a iniziare questo viaggio e soprattutto mi rendo conto che quest’anno non avevo tutta questa voglia di partire da solo.
Con questi pensieri non proprio esaltanti vado a nanna e mi sparo una dormita epocale.
L’indomani mattina riparto con l’intento di entrare in Romania. La giornata è buona e la dormita mi ha fatto bene anche linguisticamente: parlo sempre na chiavica, ma almeno riesco a comunicare con gli uomini del turno di giorno e ci capiamo meglio. E quindi via. La Bulgaria ha una natura molto bella, e i paesaggi sono molto simili a quelli delle nostre campagne meridionali.



Sulla statale per Sofia faccio una deviazione verso il monastero dipinto di Rila che è il più grande della nazione e risale al X secolo.














Riparto dopo un pranzo veloce e continuo verso nord. Avrei voglia di fermarmi nella capitale che mi sembra pulsare di vita, ma avendo idea della strada da fare decido di proseguire. La giornata scorre senza intoppi, la strada è buona e i bulgari alla guida sono molto cortesi: si fanno sempre da parte per farmi sorpassare e nessuno, nei vari bar o stazioni di servizio, ha mai cercato di fregarmi. Qualche km dopo Sofia il paesaggio comincia a cambiare e diventa pianeggiante. Mi accorgo che mi sto avvicinando alla regione del Banat, la grande pianura intorno al Danubio che attraversa il sud della Romania, parte della Serbia e ,ora scopro, anche la Bulgaria.
La statale è trafficata da parecchi Tir e dove ci sono tir ci sono immancabilmente belle signorine in affitto





Punto verso Oryahovo da cui parte un traghetto sul Danubio che sbarca a Bechet, in territorio rumeno. Ci arrivo che è ormai notte e l’unico motel intorno al porto mi fa un prezzo spettacolo: 5 euro per una stanza perché hanno un problema con gli impianti e non c’è acqua. Perfetto! Loro si scusano, io li ringrazio. Il posto lavora soprattutto con i camionisti e c’è l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con un paio di loro, uno dei quali conosce bene l’Italia e anche la Calabria, avendoci viaggiato piu volte. Il tipo dell’albergo è gentilissimo e cerca di non farmi mancare nulla: addirittura la mattina dopo mi accende la tv su Rai Uno per colazione. Io continuo col mio russo stentato dicendomi che andrà meglio.




 
13958282
13958282 Inviato: 27 Nov 2012 0:24
Oggetto: CAPITOLO2_ Drum Bun din Romania
 

CAPITOLO2_ Drum Bun din Romania




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vi suggerisco la colonna sonora icon_mrgreen.gif

La figata di dormire a ridosso di una frontiera è che in 10 minuti passi dall altra parte e hai tutta la giornata per viaggiare.
Questo per le persone normali. Per me no. Io perdo tempo quando dovrei spicciarmi.
Tra sveglia tardi, colazione lunga e caffettone dopo traghetto mi muovo seriamente verso le 11 e mezza.
Metteteci pure il cambio soldi in banca e gia la mezza giornata è bella che andata.
Anyway…. Il traghetto è una piccola chiatta che attraversa il fiume in 15 minuti in un paesaggio verdissimo e quel giorno placidissimo.
Scambio due chiacchiere con una famiglia rom che vive tra la Romania e la Grecia .











Il paesino subito dopo Oryahovo è un grandissimo mercato a cielo aperto dove si vendono meloni, cocomeri e bestiame.
Il mezzo di locomozione principale è il carretto trainato da cavallo, rigorosamente targato.



Attraverso la pianura sterminata in direzione nord verso Sfantu George e finalmente dopo
Curtea de Arges inizia la tanto sospirata Transfagarasan ,che volevo percorrere da anni.
Trattasi di strada realizzata ai tempi di Ceausescu, dallo stesso fortemente voluta, che si arrampica sui monti Fagaras , tra tornanti e montagne, costeggiando laghi e pascoli verdissimi. Il tempo non è eccezionale, a tratti c’è anche nebbia e man mano che si sale di quota la temperatura si abbassa piacevolmente nonostante l’umidità. Dopo una serie di tornanti nella pioggia raggiungo la diga del lago Vidraru, sorvegliata da una scultura in acciaio raffigurante una specie di uomo elettrico, tipo Mazinga in miniatura.













per chi ha ha la pazienza e la voglia, si può sciroppare sto video grezzo della salita.
Mi scuso per non averlo montato e per l'audio. spero di trovare il tempo di montare tutto il girato prima o poi. icon_redface.gif
Anzi se mi spiegate come si fa a caricare i video con anteprima ve ne sarei grato.

Link a pagina di Youtube.com

Continuo la mia corsa per i monti Fagaras e noto che un sacco di gente campeggia liberamente ai bordi delle strade. Decido che è un ottima occasione per fare campeggio libero, visto che non starei da solo. E lo faccio dopo il valico del crinale: in cima ci sta una sorta di Cortina d’Ampezzo, costosissima per un italiano, improponibile per un rumeno standard. Mi accampo con il popolino sul versante ovest e ci metto poco a socializzare. O meglio ci mettiamo poco. Chiacchiero con un tipo che mi aiuta a montare la tenda: parla italiano e mi racconta un po com’è la vita da loro. Si parla di stipendio medio, di costo della benzina, di quanto costi fare una vacanza e di conseguenza perchè tutta questa gente a fare free camping. E’ chiaro che io tra i due sono quello ricco: la benzina per me è molto economica lì e anche tutto il resto, dal cibo al pernottamento. Sarebbe però per me impossibile fare un giro d’ italia in moto visti prezzi di qualsiasi cosa nel bel paese. Montata la tenda vado da un gruppo di autoctoni dotati di fuoco e vivande a chiedere se mi vendono una birra, essendone sprovvisto. Inutile dire che me la offrono.







Ceno con le mie scatolette bulgare insieme a loro, e un tipo che lavorava in italia mi fa da interprete. Il nome non lo ricordo, ma ha la mia stessa età, due figlie e un’azienda di trasporti insieme al fratello ereditata dal padre. Quello che mi salta all’occhio è il senso della famiglia di quest’uomo, che gia avevo riscontrato in altri suoi connazionali quando passai da Timisoara qualche anno fa. Il tipo è ritornato dall’italia, dove ha conosciuto la moglie anche lei rumena, per prendere in mano gli affari familiari e sposarsi. Ora, giustamente, le figlie sono tutto per lui e un viaggio come il mio, a suo dire, ormai non lo potrebbe più fare. E’ lui il primo a mettermi in guardia riguardo agli ucraini, soprattutto mi dice di stare attento alla polizia, in particolare a quella di frontiera.









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L’indomani ridiscendo a valle verso Brasov, dove mi fermo per il pranzo approfittando dei bassi prezzi sebbene si tratti di località turistica.
Evito comunque di fare visite turistiche: la Romania sta a due giorni di moto e posso ritornarci quando voglio.

Link a pagina di Youtu.be
chi ha voglia si spari pure il video della discesa.

Brasov:







Riparto in direzione dei monti Carpazi e da Sfantu George in poi mi accorgo che i cartelli sono bilingue, sia in rumeno che in ungherese.
Il perché me lo spiega un barista di Miercurea Ciuc dove faccio una sosta per il gran caldo.
In quell’area vive una sorta di enclave ungherese che ha mantenuto tradizioni e lingua originarie e, sebbene i due popoli non vadano proprio d’accordo, loro si sentono appartenere a entrambe le culture.





Approfitto per fare un giro nel parco della città visto che oggi è giorno di festa popolare.



Mi soffermo , chissà perchè, a guardare il saggio di pseudodanza di una palestra locale:



Mi fermerei volentieri ma la strada è tanta e la Romania non è la mia meta.
Andando verso nord rientro nuovamente in paesaggi silvestri che
portano a una gola spettacolare nata dal percorso del fiume che che sfocia nel lago Izvorul.






Link a pagina di Youtube.com
video grezzo, per ora è così... ormai lo sapete 8)


Ormai sta facendo notte ma gli alberghi e le cabane dei camping sono strapieni essendo il fine settimana. Tutto pieno a Bicaz, sono ormai rassegnato a guidare in notturna fino al paesino successivo, quando lungo la strada in un campo sulla mia destra vedo un fuoco acceso con una tenda e una moto ferma. Mi fanno segno di fermarmi. Sono due motociclisti svizzeri, marito e moglie sulla cinquantina, in giro tra Romania e Moldavia. Sostano lì per la notte perché hanno ricevuto ospitalità spontanea dal l’anziano proprietario. Il figlio ci spiega che il padre passa lì tutte le estati per curare il terreno, dormendo in una baracchetta e spesso permette a viandanti e turisti di trascorrere la notte sulla sua proprietà. Il posto è perfetto e c’è anche una piccola sorgente dove lavarsi.








photo: othmar joller

Monto la tenda e ritorno a Bicaz a prendere un po di birra per ricambiare l’ospitalità.
Passiamo la serata insieme ai figli del proprietario, uno più bucolico e bonaccione (che si vede nelle foto) al quale
faccio provare i peperoni cotti sulla brace e spellati( strano ma vero non sapeva si potessero cuocere così),
l’altro parlante un ottimo inglese e profondamente nostalgico per il regime di Ceausescu.
Inizia una lunga discussione sui valori e sull’educazione imposta dall’alto e soprattutto sul popolo rom.
Mi dice che se ospitano gente nel loro terreno è anche per diffondere una buona immagine del popolo rimeno,
offuscata dai Rom sparsi per tutta l’Europa a fare danni che poi i media imputano ai Rumeni.
Li descrive come una piaga inguaribile mentre io cerco di fargli capire le cause della loro situazione, il non essere accettati perché nomadi, la fine dell’economia di cui vivevano.
E soprattutto gli dico che secondo me sono parte integrante della loro cultura, non fosse altro che per la loro musica, che peraltro adoro.
Lui ribatte dicendo che la parola Rom fu inventata da Ceausescu per includere gli Tzigani tra le genti di Romania.
Inutile dire che odia profondamente anche gli slavi, soprattutto i Russi per come si sono vendicati per le alleanze durante la seconda guerra mondiale.
Stalin punì la Romania per essere stata al fianco della Germania all’inizio del conflitto:
una volta diventata competenza dell’URSS venne abbandonata a se stessa nelle mani di un dittatore spietato e sottoposta ad angherie di ogni sorta.
Però, a suo dire, quando c’era Lui tutto funzionava: avevi cibo anche se poco, un istruzione, un lavoro e nessuno rubava e c’erano le buone maniere.
Il clima della serata nonostante le divergenze rimane disteso e anzi il tipo apprezza che si possano esporre idee così distanti in una conversazione rilassata.
E meno male.





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L’indomani io e gli svizzeri facciamo un pezzo di strada insieme.
A Poiana Largului saluto Othmar e Marie-Theres: loro girano a est verso la Moldavia,
io vado a nord a visitare i monasteri dipinti della Bucovina prima di entrare in Ucraina.
La strada è fantastica da guidare e le montagne rumene sono bellissime



















Photo: Othmar joller



Mi riprometto di ritornarci con più calma e tempo per esplorare di più e meglio conoscere questo popolo accogliente e disarmante per la sua semplicità. Mi fermo a Vatra Dornei per pranzare. Al bar vengo immediatamente accolto da un tavolo di persone che mi fanno sedere con loro e partono i giri di birra. Tra di loro c’è Alex , che vive a Trento da qualche anno insieme alla madre e che mi fa da interprete con gli altri. In Italia fa il verniciatore industriale e dice di trovarsi bene. Gli dico che anch’io mi trovo bene in Romania e che ci resterei un po. Secondo lui mi dovrei fermare per la notte e lo farei volentieri ma la strada è tanta e ormai lo sapete.






Per farla breve per pagare un giro di bevute devo farlo di nascosto, dato che non faccio in tempo a finirne una che ne arriva un’altra.
Nel frattempo arriva una coppia di napoletani su ktm che si sedono in disparte. Quando andiamo a parlare con loro sti cazzoni si lamentano del popolo rumeno definendoli aggressivi e poco ospitali, cosa che dovresti evitare se sei in Romania e hai davanti la prova vivente che se te la sai regolare si aprono tante porte. Baci e abbracci e foto di gruppo e riparto verso i monasteri.
Le chiese dei monasteri di Humor e Voronet sono dei piccoli gioielli dipinti a fresco centinaia di anni fa,i e il fatto che le pitture si stiano deteriorando aumenta il fascino di queste chiese centenarie.














Rimango sempre sorpreso dal fatto di essere un visitatore molto piu rispettoso, sebbene lontano da ogni credo religioso, di quanto lo siano i sedicenti fedeli.
Che si tratti chiesa o di moschea, mi infastidisce profondamente chi parla ad alta voce o entra con canottiere, pantaloncini, gonne corte e cose simili mentre c’è chi sta lì a pregare. Non ho una fede e credo che le divinità siano invenzioni dell’essere umano, ma così importanti per molti da essere fondamento di culture e regole sociali. Quindi perché offendere deliberatamente, per Dio?
Comunque sia ho ancora un po di sole a disposizione allora punto verso la frontiera.
Mi fermo a Siret, ultima città prima dell’ucraina e già da Suceava il paesaggio anticipa quello della Piccolarussia:
le montagne hanno ceduto il posto a pianure sconfinate coltivate a girasoli.
Dopo due giorni di campeggio libero è davvero un piacere avere una stanza d’albergo e una doccia.
Anche se arrivo al tavolo con mappa e frasario russo per fare un po di ripetizioni, passo la serata a chiacchierare col proprietario del Downtown hotel, rumeno parlante inglese.
Anche se sa che non ritornerò mai più (forse) al suo hotel, si premura di non farmi mancare nulla, talvolta anche servendomi lui stesso.
Parliamo delle nostre vite , toccando anche argomenti delicati e dolorosi della sua.
Mi stupisce il fatto di non aver provato pesantezza a parlare di certe cose, ne sentito fastidio in lui alle mie affermazioni forse dure ma schiette.
Ha passato qualche anno a lavorare in Inghilterra e sta pensando di spostarsi nel centro dela città perché lì si fanno pochi affari.
A differenza del tipo della sera prima, Eugeniy è felice della fine della dittatura. Per lui serve solo se sei incapace di badare a te stesso e hai bisogno di qualcuno che ti dica cosa fare.
Anche lui odia i Rom ma il suo punto di vista è molto più lucido e supportato dalla conoscenza della storia e non nega che a questo popolo non sia mai stata data sul serio una possibilità, soprattutto a causa del colore della pelle e per il fatto che, arrivati come schiavi dei turchi, una volta cacciati gli invasori siano stati trattenuti ma sempre come casta inferiore e sottoposta.
La serata prosegue tra chiacchiere varie con gente del posto, mentre eugeniy si affanna dietro all’arrivo senza preavviso dell’ ambasciatore bielorusso con famiglia, a quanto pare ospite fisso.
Con i ragazzi del posto parlo un po d’italiano, una parla inglese e io prometto di tornare l’anno prossimo e parlare rumeno. Insomma una serata trascorsa sulla veranda di un amico ad aspettare che la tempesta arrivi e lavi via l’afa di qiuei giorni.
Incontrerò di nuovo eugeniy l’indomani mattina e prima di andare via mi lascia qualcosa di freddo da bere da portarmi via.
Anche stamattina sono lento a partire: Fa caldo come sempre.
La tempesta e la pioggia non hanno intaccato minimamente l’afa, che semmai è aumentata.
Oggi ho paura a partire.Ho paura perché da oggi in poi è tutto in russo e io non mi sento affatto all’altezza.
Siamo ad Agosto, il corso è finito a maggio e da allora non ho più parlato in questa lingua.
 
13958313
13958313 Inviato: 27 Nov 2012 1:07
 

Ma te possino....che ci lasci così???
Certo che ne macini di Km eh? i miei 2500 di Grecia li hai fatti scomparire icon_cry.gif
non vedo l'ora di riprendere la lettura icon_twisted.gif
 
13958325
13958325 Inviato: 27 Nov 2012 1:51
 

JORGOS!!!!! 0510_five.gif 0510_five.gif
maledetto giessista romano!
e ti lascio sì così! adesso sto finendo di scrivere l'Ucraina.
Pazienta un pochino che di puntate ce ne saranno un bel po. icon_cool.gif

p.s. gagliarda la firma! E' assolutamente vero icon_biggrin.gif
 
13958482
13958482 Inviato: 27 Nov 2012 8:55
 

complimenti....................mi ricordi i miei bei tempi icon_smile.gif icon_smile.gif ..............io con la mia hayabusa del 2000,a girato tutta l'europa,sono stato fuori per circa 18 mesi,tenda e sacco a pelo..........
............so' che viaggiare da soli e dura,ma l'importante e essere aperti di mentalita'....................in quanti ai napoletani,be' ti posso garantire che non siamo tutti uguali, ma i cazzoni sono dappertutto icon_xd_2.gif icon_xd_2.gif icon_xd_2.gif icon_xd_2.gif ..............buon proseguimento 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif 0510_saluto.gif
 
13958520
13958520 Inviato: 27 Nov 2012 9:19
 

bellissimo... è sempre bello leggere dei viaggi icon_smile.gif
 
13958538
13958538 Inviato: 27 Nov 2012 9:27
 

Grazie icon_smile.gif
eh 18 mesi un bel pò! hai raccontato da qualche parte. se non l'hai fatto dovresti:
potresti esserci d'ispirazione.
Riguardo ai napoletani: l'ho scritto per precisare la provenienza.
E in realtà mi hanno stupito, perchè di solito tra i meridionali siete quelli che spiccano
per socialità e spirito di adattamento icon_wink.gif
A breve continuerò col racconto...
 
13959410
13959410 Inviato: 27 Nov 2012 15:12
 

Grande! icon_mrgreen.gif
 
13961689
13961689 Inviato: 28 Nov 2012 11:37
 

fantastico, sono anni che sogno di fare anche io un viaggio così... e prima o poi chissà che non ci arrivi icon_biggrin.gif
 
13963511
13963511 Inviato: 28 Nov 2012 21:50
 

Bellissimo viaggio...
Seguo, manco a dirlo, con grande interesse...!! icon_biggrin.gif icon_biggrin.gif

toto_le_moto ha scritto:
Anzi se mi spiegate come si fa a caricare i video con anteprima ve ne sarei grato.
Nella pagina di YouTube, sotto al video trovi il tasto "condividi", cliccalo. Ti si aprirà un'altra finestrella sotto, con sulla destra il tasto "codice da incorporare", cliccalo. Ecco si aprirà un'altra finestrella. Sul fondo di questa devi scegliere il formato del video (560x315, 640x360, 853x40, ecc...), io ti consiglio il 640x360. Una volta scelto il formato, copia il codice evidenziato che trovi poco più in alto ed incollalo qui. icon_wink.gif
Spero di essere stato (almeno un po'...) chiaro. 0509_up.gif
 
13963981
13963981 Inviato: 29 Nov 2012 3:04
 

Grazie mille joe.
ci provo. Sto per postare l'ucraina,
ma credo che in questa i link saranno ancora senza anteprima icon_redface.gif
 
13963990
13963990 Inviato: 29 Nov 2012 4:00
Oggetto: Capitolo 3_ Ogni cosa è illuminata(?)
 

Capitolo 3
Ogni cosa è illuminata(?)


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Le prime persone con cui mi ritrovo a parlare sono le guardie di frontiera, tutte donne.
Al primo varco una mi chiede d’accendere e fin li ci arrivo, ma appena incolonnato arriva una valchiria cattivissima e incazzatissima che intima a tutti di stare in auto e a me di stare vicino alla moto.
La coda è lunga e ogni volta che il popolo chiacchiera la nostalgica del Soviet viene ad abbaiare.
Alla fine tra occhi dolci e qualche sorriso riesco ad ammorbidirla e a farla essere a tratti gentile.
Scena tipo “Pasqualino Settebellezze” per gli estimatori della Wertmuller.
Alla fine riesco ad entrare in Ucraina che è pomeriggio dirigendomi verso Chernivtsi ma decidendo di saltarla perché comunque l’obiettivo rimane l’asia centrale.
Mi perdo un paio di volte durante la giornata, una volta perchè copilot mi portava su una strada chiusa, l’altra perché avevo letto male un nome su un cartello.



M’incazzo un po ma è la scusa buona per interagire con gli autoctoni. Ritrovata la strada incomincia la traversata di questo paese enorme e verdissimo. Pare che sia la terra più fertile d’europa e che sia stato il granaio dell’ unione sovietica. Ciò non ha impedito al compagno Stalin di affamare la popolazione sequestrando tutta la produzione nell’anno 1932/33 per piegare i kulaki (latifondisti) alla collettivizzazione.
Attraverso sterminati campi di girasole e di grano, il colore dominante è il giallo senza tregua ne soluzione di continuità.



In un paesino lungo la strada vedo un carretto trainato da trattore seguito da
un’ orchestrina di pochi elementi e attorniato da un po di gente.
Sul carretto una donna vestita da sposa.
c***o, mi fermo ! subito!
Parcheggio un po più avanti e non faccio in tempo a raggiungere la festicciola che già mi arriva lo sposo adoffrirmi
vodka, acqua e cibo. Il cibo lo vorrei rifiutare ma mi obbligano letteralmente.
Capirò in un paio di giorni il perché. Chiamano una ragazza che sta facendo le foto a fare da interprete,
visto che vive e lavora in Italia.
Mi spiega che i ragazzi si sono sposati e fanno questo giro come secondo festeggiamento insieme a tutta la gente del paese.
Vado a dare gli auguri agli sposi e alla madre dello sposo, anche lei lavorante in italia.
Ho un attimo di perplessità quando vedo che la donna vestita da sposa è in realtà un uomo:
è tradizione che il migliore amico dello sposo si vesta lui da sposa.
La madre mi chiede se sono sposato e perché non lo sono, e che dovrei prendermi una donna ucraina.
Gli dico che sono gia impegnato ma insiste nel dire che dovrei pensare a una donna ucraina.
Salutano per continuare il giro mentre io risalgo verso la moto insieme ad altri del paese che ascoltano interessati i miei progetti di viaggio (o quello che riesco ad esprimere).
Un'altra donna che vive in italia mi consiglia di rimanere lì senza andare in russia e di portarmi una donna ucraina.
Vabbò, saluto tutti e proseguo.

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Vi chiedo ancora scusa per i video grezzi e non montati, ma vi tocca così icon_mrgreen.gif

Ormai i piani per le varie tappe sono saltati ed è entrata in vigore la buona regola del
“faccio più strada che posso e poi vediamo”.
Col risultato che alle 19.00 col sole al tramonto mi ritrovo nel vero nulla.
Un benzinaio chiuso nel suo bugigattolo mi dice che l’unico albergo dei dintorni si trova nella città di Bar a 30km.
E’ una deviazione dal percorso ma non me la sento di accamparmi da solo.
Raggiungo bar che è notte e fortunatamente incontro dei ragazzini che parlano inglese e mi indicano i vari alberghi,
ma purtroppo l’unico con stanze libere èil piu costoso (15 euri) .
Dopo una contrattazione in una lingua assurda col portiere mi sistemo e faccio una doccia.
Quando scendo per trovare qualcosa da mangiare non trovo nessuno.
Tra l’altro la moto è rimasta chiusa nel cortile e io non ho nessun accesso per andare a prendere i bagagli.
Cerca che trovi, nella sala biliardo al piano interrato incontro dei ragazzi intorno ai vent’anni,
tra cui quella che scopro essere la figlia del proprietario.
La Paris Hilton locale si interessa oltremodo a me e al mio viaggio e praticamente non mi molla più.
Si premura di farmi cucinare un paio di piatti tipici ucraini e ceno insieme a lei, suo fratello e il custode.
Ricambio con sigarette di tabacco e inizio timidamente a formare frasi di senso compiuto in russo.
Fortunatamente lei parla inglese abbastanza bene e questo agevola molto le cose.
Si offre di farmi fare un giro della città l’indomani, ma per il fatto che voglio partire presto decide di farmelo fare in notturna. E quindi al chiaro di luna andiamo a esplorare la città di Bar, che male non è.
Chiese ortodossa e cattolica vicine, parco dei caduti con muro di epoca romana o giu di lì e poche altre cose.
Raggiungiamo i suoi amici presso un “magazin” e ritornati all’albergo vado a nanna dopo scambio di contatti e ringraziamenti. Mai piu sentita.


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La sveglia l’indomani risulta fastidiosa non essendo aperto il bar dell’hotel.
Esco e trovo vicino alla stazione dei bus un bar che mi fa giusto un paio di Nescafè.
Sto ancora rincoglionito ma decido di muovermi lo stesso.
La giornata scorre via tra lunghi rettilinei cosparsi da buche , che tagliano i campi.





Numerosissimi ponti per controllo dei veicoli ai bordi delle strade e le pensiline in cemento decorate.
Questa dei ponti per le emergenze è eredità dei tempi dell’unione sovietica che ritroverò anche in Russia e in Kazakhstan ed è un ottima e provvidenziale trovata visto che tra un centro abitato e l’altro
le distanze possono essere anche di decine e decine di km.
Uniche note da segnalare: una sosta in una piazzola con un magazin e tre chioschi per mangiare
scatolette che mi porto dalla romania e farmi un caffettone in moka
(e per pulire la borsa del cibo, visto che un peperone e un pomodoro si sono maledettamente marciti),
l’altra non so dove alla vista di tre enduro targate Polonia:
sono cinque ragazzi di ritorno dalla Crimea, che mi viene descritta
bella ma zozzissima (e carissima) essendo periodo di invasione estiva da parte dei russi.
Inizio a pensare che non sia il caso di tornare via Ucraina.










La giornata finisce poco prima di Oleksandriya in un motel lungo la strada.
Entro a chiedere e trovo una tavolata con una 30ina di persone che festeggiano i 18 anni di una ragazza.
Prendo una stanza e le signore mi fanno mangiare in camera.
Inutile dire che dopo cena scendo al bar a farmi una vodka: c’è una festa e di sicuro non voglio perdermela.
Le signore del bar sono molto gentili ma nessuno si cura di me e la prima vodka me la bevo fuori,
fumando un paio di sigarette e mandando qualche sms.

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Mentre sto per tornarmene in camera, a sorpresa, la nonna e la zia della festeggiata mi invitano a bere e mangiare con loro. C’è un’acquavite fatta da quello che mi pare essere uno zio oltre a vodka di ottima qualità.
Io bevo ma rifiuto di mangiare anche se le signore insistono. Nel giro di pochi minuti sono parte della festa:
bevo con loro, ballo con le buzzicone, la festeggiata e le sue amiche.
Nelle pause sigaretta le chiacchiere vanno via bene e mi sento sempre più capace di esprimermi.
Anche qui mi dicono che dovrei sposarmi con una donna ucraina e addirittura cercano di propormi la festeggiata. L’impressione che sia uno scherzo si affievolisce man mano che il ragazzo che mi propone la cosa
(che mi sembra essere il fidanzato di lei per il fatto che si tengono per mano) ritorna sull’argomento tre o quattro volte,
fin quando decido di dare corda alle donne oltre i 35,
ormai sposate e sistemate e accompagnate da mariti in piena dedizione all’alcool, per evitare situazioni di malinteso.
Il fatto è che questi bevono e mi offrono da bere di continuo , e io certamente non rifiuto.
Ma mentre loro continuano a mangiucchiare io bevo senza mangiare altro anche se loro insistono perché metta qualcosa nello stomaco.
Così, tra una canzone di Celentano e una lezione sulle parolacce in ucraino e corrispettivi in italiano,
mi ritrovo senza accorgermene ubriaco e devastato come non mi capitava dalla prima sbronza a 15 anni,
a livello di non riuscire neanche a salutare e andando via sbattendo per i muri e rotolando sulle scale per raggiungere la camera. Il letto mi sembra un porto felice dopo la tempesta in alto mare e ci piombo sopra scomposto e completamente vestito. Mi sveglio l’indomani prestissimo con un mal di testa clamoroso per andare a vomitare e rimettermi a letto.


Alla fine non ne posso più di stare a letto e mi alzo verso le 9.00.
Al bar non ci sono più le signore della sera prima ma una donna giovane e tarchiata che mi guarda in cagnesco mentre pulisce il locale. Completamente nauseato dalla candeggina usata dalla gnura bevo un espresso doppio nella veranda mentre al tavolo di fronte, fresco e profumato come se non avesse mai bevuto in vita sua, sta lo zio della ragazza che tra una smadonnata e l’altra con i suoi interlocutori mi lancia inequivocabili sguardi e battute di presa per il culo.
Il litro di Borjomi (acqua minerale georgiana effervescente e leggermente salina algusto, la preferita di Lenin) va giu in attimo e mi da sollievo dall’arsura della sbronza.
Ma dura solo un attimo: ritorno di corsa in camera a rivomitare il caffè e tutto il litro d’acqua che in pochi minuti avevo tracannato.
Passo mezz’ ora sotto la doccia a massaggiarmi la testa, il collo e gli occhi.
Vado via non perché sia in grado ma perché non ne posso più di quel posto e più in generale di km e km di campi coltivati. Riesco a fare non più di 20 km e mi devo fermare sotto un albero per strada:
sono debole, indolenzito e affamato, fa un caldo boia e il sole mi buca gli occhi con fitte che mi trapassano il cranio
Maledetti, non mi fotterete più: ora ho capito come fate a bere litri di vodka senza stramazzare a terra.


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Mentre sto con gli occhi coperti cercando di riposarli sento dei passi avvicinarsi.
E’ un contadino che poco più in là sulla strada ha un piccolo banchetto di frutta.
E’ piccolo di statura, sulla 60ina, sorridente e con gli occhi buoni.
Mi chiede se è tutto OK e se ho bisogno di qualcosa. E una sigaretta.
Gliene giro una di tabacco e mi ringrazia due o tre volte mentre guarda ammirato la moto e
mi chiede da dove vengo e dove sto andando.
Gli rispondo anche se in quel momento preferirei la sana vecchia indifferenza europea,
ma la bontà che emana quest’uomo è irresistibile e non posso farne a meno.
Capisce che non sto messo bene e mi lascia riposare mentre fuma soddisfatto.
Ritorna dopo due minuti a portarmi delle piccole mele e un grappolo d’uva, che accetto sorridendo con grande piacere.
Mentre ne mangio un paio ritorna con una caraffa d’acqua che bevo a piccolissimi sorsi:
è fresca e dolce anche se non pare proprio pulitissima.
Sembra un infinito nulla quella distesa di campi, ma in quella mezz’ora è passato un mondo di persone:
a piedi, su side-car e motorette di epoca sovietica, trattori e muli.
Questa breve sosta mi rimette in forze quanto basta per proseguire, non senza essermi sparato due buste d’aspirina.

Nel pomeriggio sono a Dnipropetrovsk (che doveva essere la tappa del giorno prima, almeno)
dove trovo un temporale in avvicinamento. Mi fermo per un’oretta ad aspettare che il tempo si stabilizzi
mentre cerco un collegamento internet per parlare con la dolce metà ( in viaggio in Ecuador) e cercare informazioni sulla frontiera tra Russia e Georgia.
Avevo cercato informazioni sulla frontiera di Kazbegi, ma non era chiaro se fosse stata aperta ai cittadini non-CSI o meno. Non trovando connessione mando un sms a mio fratello per chiedere di fare lui una ricerca, metto su l’antipioggia e vado via. Alle porte della città il temporale ha fatto un po di danni e allagato le strade. Il paesaggio è piatto e quasi lagunare: Dnipropetrovsk è la città più grossa sul fiume Dnepr, la grande lama d’acqua che taglia in due l’Ucraina, da Kiev al Mar Nero. Arteria di collegamento principale e parte dell’identità nazionale, lo troviamo sia nei racconti di Gogol che in quelli del pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti che ai magistrati spiegò come le navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi raggiungessero su questa strada d’acqua il mar Nero da Kiev, prima di essere fatte affondare al largo delle coste italiane.
Insomma una fiumara di un certo livello.







In serata riesco a raggiungere Donetsk, dove giro un po per cercare un hotel a prezzi ragionevoli.
La città è grande e moderna ma troppo cara per le mie tasche.
Finisco per dormire al Volvo hotel alle porte della città: sostanzialmente un motel per camionisti, che per me è perfetto, vicino a una stazione di servizio. Prendo una stanza senza finestre ma con lucernaio e il bagno tutto per me .

Mangio l’ultimo scatolame rumeno insieme a tre camionisti della mia età e tre ragazze che credo essere le loro donne.
Gli uomini sono ospitali e, non ricordando i loro nomi, li chiamerò il boss, il bonaccione e il frustrato.
Il frustrato è quello che parla qualche parola d’inglese ma più di tutto ripete “I’m sorry”,
riferendosi al fatto che i suoi amici non parlino inglese ( a dire il vero neanche lui).
Dei tre è quello che dallo sguardo sembra patire di più la vita del camionista e la vita in genere.
Il bonaccione è quello che incalza sempre con le domande, anche quelle fastidiose tipo “quanto guadagni?”
ma ride sempre e ha gli occhi buoni.
Il boss è quello col fare più calmo e lo sguardo di chi sa il fatto suo e si capisce che la sua parola è sempre l’ultima.
Il frustrato si offre di accompagnarmi a prendere qualche birra insieme e non riesco a non farmela offrire mentre mi racconta che la madre vive e lavora in italia. Le chiacchiere durante la serata vanno tranquille, una delle ragazze parla un po d’inglese e quando non riesco in russo ho una lingua di scorta.
Mi accorgo che il frustrato quando dico di non conoscere le parole che pronuncia, mi guarda fisso negli occhi parlando con lo sguardo di chi ti dice qualcosa di brutto col ghigno sfottente, cosa che conosco bene perché quando ero bambino i bulletti usavano fare così, pronunciando frasi dialettali, con i "forestieri" in vacanza che non capivano una mazza di calabrese
(ma se fate un giro a piazza di spagna vedrete tuttora le stesse scene tra adulti romani e turiste straniere).
L’impressione è confermata dalla ragazza che lo rimbrotta a queste espressioni e quando chiedo cosa voglia dire,
lei svicola senza darmi spiegazioni. La conversazione rimane comunque tranquilla.
La cosa che sconvolge tutti non è il viaggio in solitaria o la destinazione (che pure interessano) ma il fatto che a 39 anni non sia sposato. La tipa parlante inglese mi chiede tre volte “why?” .
Io non posso che rispondere che in Italia ormai si usa così, che i tempi si sono allungati, che non abbiamo certezze economiche e tutta la catasta di scuse generazionali che faticosamente abbiamo costruito per cazzeggiare piu a lungo possibile in quest’epoca storica.
Si rassicurano quando dico che comunque ho una donna, anche se non convince il fatto che non sia in viaggio con me.
Mi spiegano che loro invece entro i 25 anni convolano a nozze e quando non succede ci si comincia a preoccupare.
In ogni caso tutto procede bene, fin quando non succede qualcosa di fastidioso:le ragazze mi chiedono cosa ne penso delle donne ucraine. Una delle tre scherzando palesemente mi dice di portarla con me in Italia.
Racconto loro (in Inglese) il fatto che nel loro paese ovunque mi hanno proposto di sposare una donna ucraina per portarla via e questo mi ha dato un certo fastidio. La ragazza parlante inglese dice: “che stupide!”
Quando mi viene chiesto di spiegare il perché del fastidio, dico che se tu vuoi scappare con me dopo un minuto che mi hai conosciuto, allora non sono io ad interessarti ma il mio passaporto e i soldi che credi io abbia, perciò tiè!
E faccio il gesto dell’ombrello.
A questo punto il frustrato comincia a borbottare sempre di più e si incazza proprio.
Capisco che dice qualcosa come: “Le nostre donne sono lì a pulire il culo ai loro vecchi e lui si permette di dire queste cose.” E altre amenità di questo tipo. Tutti lo cazziano e cercano di fargli capire che stavo parlando completamente d’altro,
provo a dirgli che anch’io sono migrante e so cosa significhi, ma gli altri mi dicono di lasciar perdere.
Lui a intervalli regolari di 20 secondi bofonchia qualcosa, seguito dalle cazziate degli altri. Anche se mi chiedono scusa a me non va piu di parlare: mi sento davvero urtato da questa persona che ha insistito per farmi stare con loro, poi mi prende per il culo e per giunta si incazza pure. Oltre a ciò la mia moto sta parcheggiata proprio lì dove stanno loro e comincio a temere di trovare brutte sorprese l’indomani.
Il boss mi chiede se è tutto ok, io rispondo che sì, ma che sono stanco e me ne ne vado a letto.
Tutti cercano di fermarmi, mi dicono di non prendermela, anche il frustrato cerca di scusarsi , ma ogni volta che dice qualcosa, gli altri lo cazziano (e quindi sta ancora sputando veleno).
Me ne vado dicendogli :” Scusami tu, se ti ho offeso non volevo. Io e te abbiamo un problema, solo uno, ed è la lingua.” Salgo in camera che ancora lo stanno cazziando tutti e vado a dormire stanco e, ora anche io, frustrato.
La frustrazione è decisamente contagiosa.

L’indomani a colazione scopro che le ragazze lavorano al ristornate del motel.
Le trovo indaffarate a cucinare e servire colazioni. Incontro e saluto il bonaccione e comincio a preparare la moto.
Una donna dell’albergo (che si atteggia a proprietaria) mi fa un paio di foto, ne facciamo un paio anche con le ragazze che lavorano (con la capa della cucina che le cazzia per la pausa).
Mi si promette che le foto arriveranno via facebook, ciò non è mai successo.
Ci metto un po a caricare la moto: inverto di posto le borracce con la borsa grande del cibo, che così mi fa anche da schienale sul sedile passeggero.
Quasi tutta l’Ucraina è stata una serie di rettilinei infiniti e ogni giorno
mi sono trovato ad alternare guida seduta a guida in piedi per riposare la schiena.
Attacco alla moto i regali ricevuti il giorno prima:
una bandiera ucraina regalatami dai camionisti e un piccolo portachiavi datomi da un signore poco dopo Dnipropetrovsk, in una sosta caffè. Gli ho chiesto se lui e la moglie fossero ucraini, credendo fossero tzigani sinti per i tratti somatici.
Mi ha risposto : “Niet, ya yivrei. No ya jiviosh v Ukraine”. “No, sono ebreo. Ma vivo in Ucraina”
“Ah, Ebreo di dove?”
“Di Israele, ma la mia famiglia ha sempre vissuto qui, e anche io.”
Chiaro, no?



In questi giorni mi sono rassicurato abbastanza sulla lingua: il primo vero exploit l’ho avuto un paio di giorni prima con la polizia per contrattare la mazzetta da lasciargli.
Non potevo evitare: eravamo solo io e tre poliziotti nel nulla dei campi di girasole.
Mi hanno contestato di non essermi fermato a uno stop, sempre nel nulla, dicendo che ero stato ripreso dalle telecamere sulla strada, indicandomele.
Il ragazzino maneggiava una handicam spenta per avvalorare il possesso di schiaccianti prove.
Quando gli chiedo di farmi vedere il filmato lui dice che no,ora non si può.
Ok, capito: vado dal capo e contrattiamo. Alla fine me la cavo con 15 euri, metà multa.
Mi incazzo un po ma mi passa subito.
Mentre bevo il terzo caffè della mattina guardo le mappe e calcolo percorsi.
Inconsciamente mi sto dirigendo più a sud di quanto previsto: sto puntando verso Astrakhan e non verso Volgograd.
A occhio vuol dire che passerò due volte per la stessa strada, ma devo accorciare le distanze.
Se dalla Russia potessi entrare in Georgia sarebbe ottimo, ma mio fratello non è riuscito a trovare nulla in merito e mi sta salendo una fretta del diavolo. La proprietaria dice che dovrei fermarmi a vedere Donetsk che è una bellissima città.

Ma è il 9 di Agosto e io non ne posso più dell’Ucraina, è tempo di entrare nella Grande Madre Russia.
Il collega mi chiama da studio e mi dice che mi hanno bonificato i soldi di luglio.
Con quest’ottima notizia e il cuore carico d’aspettativa mi dirigo verso la prima vera frontiera della mia vita.
 
13964254
13964254 Inviato: 29 Nov 2012 10:06
 

Ma ti possino acciaccatte non è possibile che sempre sul più bello smetti. icon_asd.gif
Scherzo ToTò un viaggio stupendo, sembra il viaggio della vita raccontato magistralmente, ancora complimenti, attendo eusa_drool.gif il seguito 0510_saluto.gif
 
13985176
13985176 Inviato: 8 Dic 2012 13:19
 

Ci siamo fermati? aspettiamo il seguito eusa_clap.gif
 
13985870
13985870 Inviato: 8 Dic 2012 18:51
 

Mi sono letto tutto in un botto. Bellissimo davvero 0509_up.gif . Concordo sul "Te possino" icon_asd.gif icon_asd.gif ....attendo il resto con trepidazione.
 
13988154
13988154 Inviato: 9 Dic 2012 23:37
 

Contento che vi stia piacendo icon_smile.gif
ok... copio/incollo la russia in questo momento....
 
13988331
13988331 Inviato: 10 Dic 2012 3:37
Oggetto: Capitolo 4_ A Ja Ljublju SSSR (Ma io amo l'Unione Sovietica)
 

Capitolo 4_ A ja ljublju SSSR (Ma io amo l'Unione Sovietica)

Come sempre, perdonate la prolissità se potete.

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Non ho ancora capito perché ma, soprattutto da queste parti, i posti di frontiera sono preceduti da
immensi rettilinei che tagliano in due il nulla per terminare davanti a una sbarra sorvegliata da un ragazzino in uniforme.
Uscire dall’ Ucraina non ha preso molto tempo: mi dicono che devo fare l’assicurazione temporanea per la moto
ma al botteghino dell’agenzia mi confermano che posso farla dall’altra parte.




Appena arrivato alla sbarra russa il rispettivo ragazzino mi blocca e mi fa compilare il modulo in doppia copia riportante i dati del visto.
Con quello e il passaporto vado al controllo documenti e lì mi fanno compilare la dichiarazione della moto con tutti i dati del veicolo.
Questi due documenti saranno parte integrante della mia identità per i prossimi giorni e dovrò riconsegnarli in uscita dal paese.
Tutta l’operazione prende tre ore buone di un limbo fatto di carte compilate più volte e frasi misto-russo-inglese-calabro.
Guardo i russi superare rapidamente i controlli e spero che qualcuno attacchi bottone e mi dia una dritta per dormire o addirittura ospitalità.
Ma non è così: tutti hanno fretta di andare e la donna allo sportello è particolarmente incazzosa oltre che pignola.
Mi salva la pazienza del suo collega che mi spiega bene, libretto della moto alla mano, come compilare la dichiarazione.
Entro che il sole comincia a calare e mi fermo subito per un caffè e cambio di qualche spicciolo.



La strada d’ingresso è in corso d’opera e mi trovo con macchine in direzione contraria che
mi lampeggiano ma alla fine becco la statale per Rostov- na- Donu (Rostov sul Don).
Asfalto buono, a tratti 4 corsie, e tanto verde intorno.
Punto verso la città anche se di solito le evito, ma mi sembra l’unico posto sulla strada per trovare un internet point.
Ci arrivo che è praticamente il tramonto.
In realtà l’impressione che ho è quella di entrare a Roma da via Tuscolana:
quello che vedo è una serie di centri commerciali con le stesse catene presenti da noi:
Leroy Merlin, Auchan, Ikea, tutti in caratteri cirillici e scritti come si pronunciano ( cosa frequente nella lingua russa).




La città è bella e grande e il navigatore mi porta direttamente in centro.
E ora che faccio?
Inizia una serata vorticosa in cerca di un internet point prima e di un posto per dormire dopo.
Per il primo cerco quello indicto da Lonely Planet senza successo.
Nella strada indicata non solo non c’è un internet point, ma non c’è mai stato.
Per il secondo dei ragazzi per strada mi danno l’indirizzo di un posto dove si dovrebbe spendere poco.
Sta sulle colline dei ricchi in periferia e, ovviamente, costa troppo.
Ridiscendo in città e vedo un locale a metà tra un centro sociale e un club. Perfetto,mi dico.
Mi fermo a chiedere, incoraggiato dagli avventori che si dimostrano cordiali ma sbaglio decisamente posto:
mi accorgo subito di essere finito nel covo dei nazipunk della città.

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Loro sono accoglienti e nel giro di due minuti divento il loro eroe attirando gli sguardi carichi di ammirazione e curiosità delle signorine presenti.
Una in particolare è gentile e in inglese fa domande e da indicazioni, mentre mi dice di fermarmi almeno a mangiare con loro:
è chiaramente la donna di uno degli energumeni che si stanno facendo in quattro per aiutarmi, coinvolgendo un ragazzo che parla inglese.
La foga che hanno sti maschioni a petto nudo sudati e pluritatuati (anche con svastiche e roba celtica) è così tanta che che non fanno altro che urlarsi sopra mentre io non ci capisco una mazza.
Memore del malinteso della sera prima col camionista ucraino cerco di lasciare subito quel deposito di testosterone:
non vorrei ritrovarmi a suscitare le gelosie di un pugile professionista, credo sarebbe un problema avere i connotati diversi dalla foto del passaporto.
Vado comunque verso l’hotel Rostov, indicatomi da loro come il più economico della città.
Dalla hall non mi sembra proprio a buon mercato. E infatti la stanza meno cara e sfigata costa 60 (sessanta!) euri.
Ringrazio la tipa alla reception e vado via. Giro in lungo e in largo la città mentre le ore passano e il tempo peggiora. Dovrei anche mangiare.
Dei biker per strada mi portano verso un hotel dall’aria economica ma, con aria indifferente,
la receptionist mi dice che quel posto è solo per chi ha passaporto russo.
E così sarà in molti altri alberghi. Gli unici accessibili ai cittadini non CSI sono quelli costosi.
La guida dice che l’unico a prezzi accessibili è l’hotel dell’aeroporto ma anche lì non mi vogliono perche italiano.
Provo in un altro albergo per me improponibile, ma almeno qui la tipa della reception se la prende a cuore e fa una serie di telefonate,
senza però riuscire a trovarmi un posto da nessuna parte e dispiacendosi seriamente della cosa.
Chiedo in due pompe di benzina se posso accamparmi sotto la pensilina, visto che ormai piove regolare.
Mi rispondono che questo non è normale. ma va?.
Provo a tornare indietro sulla strada che ho fatto per arrivare in città, mi ricordo di aver visto un motel.
Lo raggiungo al buio pesto e sotto la pioggia, ma lì proprio non mi aprono nemmeno .
Torno bestemmiando in città al buio e sotto la pioggia che batte sempre più forte, seriamente tentato di fermarmi a dormire sotto una pensilina del bus. Ritorno sconsolato,fradicio e incazzato all’hotel Rostov che sono le 3.00 di notte, accolto dal sorriso beffardo della receptionist che mi dice “grazie per averci preferito!”. Vado a letto dopo aver pagato 60 euri di sangue e una doccia bollente di mezz’ora.
Ma io amo la Russia.

La mattina seguente (cioè 4 ore dopo) mi alzo in tempo per non perdere la colazione, che stupidamente presumo inclusa nel prezzo della camera.
Sono da solo in una sala da pranzo che qualcuno ha cercato di rendere elegante ma che in realtà sfiora la mediocrità pacchiana.
Mi appioppano una tipa che parla inglese la quale, mentre butto giu una colazione a base di uova, salumi industriali e nescafè a litri, mi porta il conto.
Quando le dico che non ho con me il portafogli mi obbliga ad andare in camera per pagarle il pasto.
La sua gentilezza svanisce quando, con un sorriso impeccabile sul volto, comincia a prendermi per il culo dicendo cose tipo:
“ma scusa, che ci fa un motociclista in un business hotel? E poi ti sembra normale andare a mangiare senza portarti i soldi?” .
Io le risponderei un educato e sorridente “ A fiss’i mammata!” ma dubito che ne comprenderebbe il senso.
Alla banca di fianco all’hotel provo invano a cambiare i soldi ucraini che mi sono rimasti, ma la cassiera mi dice che non valgono nulla e non me li cambiano. Mentre preparo i bagagli rifletto sul fatto che qui chiunque stia dietro una scrivania o
rivesta un ruolo in qualche modo ufficiale sembra essere selezionato in base alla capacità di essere s*****o col cliente,
a differenza della gente per strada che, nonostante i modi ruvidi, non lesina cortesia e cerca di aiutare lo straniero come meglio può.
La receptionist diurna mi indica i nomi di due internet point che, naturalmente, non riuscirò a trovare.
O meglio: riesco a trovarne solo uno che in realtà è un’azienda che in qualche modo lavora col web, o forse assembla computer.
Sto per andarmene quando uno dei tipi, Grigoriy, circa 20 anni, mi dice che posso usare il suo computer per connettermi. Riesco a pubblicare un aggiornamento di stato su Facebook e a fare una ricerca riguardo ai traghetti sul mar Caspio.
Devo necessariamente cambiare percorso se voglio rispettare i tempi per cui comincio a valutare l’ipotesi di fare una parte del rientro utilizzando traghetti. Come tutti i motoviaggiatori, so che esiste il traghetto da Baku(AZ) a Turkmenbashi (TM)
ma questo vorrebbe dire procurarsi visti turkmeno e azero a Shimkent (KZ) e dubito di riuscire ad averli in tempo breve.
E se ho programmato il giro in questo modo è proprio perchè so quanto sia difficile avere il visto turkmeno.
Scopro che esiste un traghetto che da Fort Shevchenko (KZ) porta ad Astrakhan (RU) ma anche questo, come l’altro, parte solo quando è pieno.
Che vorrebbe dire dover aspettare anche una settimana. Senza poi contare almeno un giorno per le operazioni di sbarco.
L’unica sarebbe un traghetto sul Mar Nero per non attraversare la Turchia, posto però di riuscire ad entrare in Georgia dalla Russia.
E naturalmente non ho nuove informazioni in merito a questa possibilità.
Alla fine mi innervosisco capendo che sto perdendo troppo tempo in pippe e supposizioni e che piu sto fermo peggio è.
Chiacchiero un po con i ragazzi che non vogliono una lira per la connessione, mentre fumiamo una sigaretta.
Grigoriy ,insieme agli altri, esprime stima profonda per quest’avventura,
e spera di riuscire a comprare anche lui una moto e fare un giro dell’Italia prima o poi.
Mi ha scritto qualche giorno fa, dicendomi di avere iniziato a mettere da parte i soldini per una R1: Daje Grigò! :caricaaa:

Mentre sono a riempire le borracce dell’acqua al chiosco di bibite di una ragazza,
il Cielo mi morde le caviglie per ricordarmi che è ora di andare:
io mi scuso per il mio cattivo russo, lei mi risponde che se riusciamo a parlare vuol dire che così cattivo non è ,
quando da un SUV sento urlare: “Adios Amigos!”
c***o! E’ l’energumeno della sera prima( quello con la fidanzata gentile) insieme ad altri fasci con
musica tecno a palla e un braccio tatuato fuori da ogni finestrino.
Ok Totò, vattene subito e falli andare avanti. Non sia mai ti invitino da qualche parte, stavolta ti tocca!

Rientro nella statale che attraversa splendide campagne.
Punto dritto verso Elista a cui seguirà Astrakhan, l’ultima città russa prima di entrare in Kazakhstan.


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E via di nuovo per campagne verdissime e pianeggianti: alberi ai bordi delle strade e alberi come quinte sull’ orizzonte.
Faccio il mio primo rifornimento di benzina e scopro che qui si paga prima, un militare in coda mi spiega come fare:
alla cassa dai una cifra ragionevole e dici che vuoi fare il pieno.
Se metti di più aggiungi la rimanenza, altrimenti ti danno il resto.
In ogni caso la cassa sta sempre dietro una finestrella protetta da solide sbarre.
Bevo un caffe e mi riposo un po dall’afa umida.
Chiacchiero con un militare in pensione in viaggio con i figli e i nipoti: quando gli dico che ho 39 anni lui orgoglioso risponde che a 55 è gia nonno.
E’ ormai chiaro che la mia situazione coniugale da queste parti verrà vista come un fallimento:
mi salverà ai loro occhi soltanto l’apparente eroicità dell’impresa che sto compiendo.
Solo questo farà di me una persona degna di rispetto.






Man mano che vado avanti mi chiedo se sia il caso di fare una tirata fino a notte per arrivare a Elista e dormire lì o fermarmi prima lungo la strada.
Non voglio bissare la serata precedente e trovarmi in una città senza posto dove dormire.
Il dubbio verrà sciolto dall’incontro con Pavel, camionista di ritorno in moto dalla Crimea (ma tutti in Crimea stavano?)
dove è andato a far visita ai genitori in vacanza. Viaggia su una Honda CB750 tenuta benissimo ed è diretto a Volgodonsk dove vive.
Pavel nel tempo libero pratica canottaggio sui fiumi che abbondano da quelle parti.
E’ lui a farmi rendere conto del fatto che gli alberi che vedo in lontananza da un bel po sono definiscono l’alveo del Don.
La regione è verdissima proprio per i corsi d’acqua che stanno ovunque.
E l’odore che non mi abbandona fin dal centro dell’Ucraina è quello dell’acqua di fiume, che forse è il ricordo più forte di questa parte del viaggio.
In una sosta di rifornimento chiacchieriamo del suo lavoro, del mio, delle nostre passioni e di come si vive nei nostri paesi.
E mentre parliamo penso a quanto siano strane le reciprocità nell’immaginario dei popoli:
Loro hanno il mito dell’Italia, del bel paese riscaldato dal sole, della bellezza delle donne italiane e
in molti sognano di fare un viaggio o magari di stabilirsi nel nostro paese.
In Italia siamo in molti ad avere il mito della Russia:
per la bellezza delle donne, l’energia della musica, le arti figurative, la letteratura, l’iconografia da guerra fredda.
Nei film americani di propaganda, dove i russi avrebbero dovuto essere i cattivi, a me stavano sempre più simpatici loro dei buoni americani.
E son cose che segnano, queste!
Facciamo insieme la strada fino a Volgodonsk che raggiungeremo al tramonto,
mentre piano piano gli alberi si diradano e l’acqua continua ad affiorare dal verde.





Sarei anche tentato di fermarmi in questa scialba cittadina industriale sul Volga proprio perché non ha nulla che possa attrarre un turista, ma non vorrei far sentire Pavel in obbligo di ospitalità: c’è stata una buona energia tra di noi e sento che è il momento di salutarsi così, senza forzature. Abbiamo fatto una strada secondaria e da lì in poi è avanti tutta per Elista, senza attraversare altre città che rallenterebbero il mio cammino. Ci salutiamo con un abbraccio sincero dopo aver ricevuto in dono da lui una bussola in plastica trasparente con scala graduata: una roba da due lire che tutto indica meno che il nord, ma per me preziosissima. Finalmente a 4000 km da casa sono entrato nella dimensione del viaggio: dopo i campeggi liberi rumeni, la sbronza ucraina, la notte di pioggia a Rostov e dintorni inizio a sentire che il tempo si muove con me e, di nuovo come negli altri viaggi, sono io l’artefice del rispetto o del diniego che mi circonda e della piccola società che di volta in volta si forma intorno a me. Mi sento di nuovo come se questa fosse la vita che ho sempre fatto e sempre farò. Sono attimi brevi, ma valgono quasi una vita.







Un immenso rettilineo nel nulla termina ad un incrocio dove a destra si legge chiaramente il cartello Gastiniza (albergo).
Sono qui da qualche parte in Russia e il sole sta calando, oggi mi fermo qui.
Mi farò una gran mangiata e una bella dormita e domattina ripartirò riposato.
Il posto è un motel semplicissimo a due piani con scala esterna e bagni in comune.

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Mentre aspetto che la signora mi faccia vedere la stanza, chiacchiero con un mio coetaneo con
la faccia da slavo allampanato, grandi occhi azzurri vagamente malinconici.
Non ricordo il suo nome ma lo ritroverò a cena mentre mangio in veranda con
il dizionario russo e le mappe seduto a un tavolo di metallo .
Mi chiede se può sedersi con me e gli do l’ok anche se provo un iniziale senso di fastidio.
Io sono riuscito ad ordinare della carne ed è stato un miracolo imbroccare l’ordinazione,
visto che la cosa che davvero non ho imparato sono i nomi dei piatti.
Lui si fa portare una sorta di zuppa in un tegame di coccio con dentro carne e verdure.
E una boccetta di vodka che berremo insieme.
La conversazione che nasce è sorprendentemente limpida e lineare, non tanto perché sia io diventato padrone della lingua,
quanto per l’empatia del mio interlocutore. Spesso trova lui le parole per me e mi suggerisce modi di dire.
Naturalmente è sposato e si meraviglia del fatto che io non lo sia. Mi chiede il perché in Italia funzioni così.
Gli rispondo che alla fine non c’entra ne la crisi ne l’incertezza del futuro
(che proprio a un russo questo non si può dirlo, ti riderebbe in faccia)
quanto il fatto che la società è cambiata senza prendere una direzione.
Gli spiego che negli anni ’70 c’è stata una rivoluzione dei costumi che
ha liberato uomini e donne dai rigidi ruoli che avevano prima, solo che non si sono definiti i nuovi.
Per cui abbiamo donne che non sanno cosa vogliono e uomini che non sanno come comportarsi.
E’ come entrare in un grande supermercato e perdersi tra mille prodotti tutti simili:
non sai quale scegliere e intanto si avvicina l’ora di chiusura.
Lui mi dice che qualcosa di simile sta avvenendo da loro per colpa della televisione.
Gli rispondo che capisco benissimo.
Coccolato dalla vodka e riscaldato dalla conversazione
vado a dormire nella mia stanzetta piccola e pulita dando appuntamento all’indomani al mio commensale.
Non lo rivedrò mai più.

Mi sveglio verso le 8.00 che c’è gran trambusto e movimento in albergo.


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Un paio di stanze al piano di sopra, dove sto io, sono state occupate da un gruppo di
donne che entrano vestite normalmente e ne escono che sembrano bomboniere.
Si danno tutte un gran da fare con phone, sottane e borsette.
Mi affaccio dalle finestre del corridoio e vedo una limousine bianca decorata con dei fiori.
Non c’è dubbio: è un matrimonio!
Scendo con macchina fotografica e dopo aver preso qualcosa che somigliava a un caffe per svegliarmi
chiedo il permesso di scattare qualche foto e tutti sono felicissimi di posare per l’italiano che è arrivato fin lì in moto.
Non è propriamente la festa di matrimonio, sarebbe troppo presto.
E’ un rinfresco pre-cerimonia dei parenti dello sposo.
Mentre cerco di metterli in posa sotto la veranda devo cazziare quella che pare la mamma per farla stare ferma,
dato che mi sta preparando un pacchettino di cibarie da portare con me in viaggio.









Credo sia inutile dire che mi tocca brindare a vodka anche se mi sono appena svegliato.
Dopo il (i) brindisi, le foto e gli auguri da una parte e dall’altra vanno tutti via, chi in auto chi in furgone.



Rimango solo io a consumare caffè a litri, dato che mangiare ho gia mangiato e pure tanto.

Vado via verso le 10.00 e mi rendo conto che il paesaggio cambia drasticamente man mano che vado verso Est.
Per raggiungere Elista attraverso circa 150 km di steppa piana e desolata.
Non c’è nulla se non mandrie di vacche, qualche corso d’acqua o laghetto e la striscia d’asfalto su cui corro.











Il nulla comincia a diventare così nulla che spesso a pochi metri dalla strada
si formano piccoli vortici che sollevano la sabbia, anche ravvicinati l’uno all’altro.

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La regione in cui mi trovo è la repubblica di Calmucchia, così detta perché abitata prevalentemente dai discendenti dei Calmucchi,
provenienti dalla mongolia occidentale che secoli fa decisero di stabilirsi al limite dell’impero russo.
Ebbero il permesso da Mosca in cambio della sorveglianza dei confini,
ma furono costretti a fuggire in massa per via degli attriti con i contadini locali per il possesso delle terre.
Così, in una notte del 1771 stabilita dal Dalai Lama, partirono tutti per tornare verso la Mongolia attraversando a piedi il Volga ghiacciato.
Essendo però troppo sottile lo spessore del ghiaccio, questo si ruppe e la gran parte di essi finirono nelle acque gelide.
I superstiti tornarono indietro e qui rimasero tranquilli fino agli anni ’20 quando i bolscevichi requisirono i loro possedimenti.
Alcuni di loro si arruolarono coi nazisti per contrastare il potere centrale e per questo
furono puniti da quel simpaticone del compagno Stalin con una gita di massa in Siberia.
Nel 1957 il compagno Kruscev riabilitò il nome dell’etnia e poterono ritornare in calmucchia.
E’ per questo che entrando a Elista si ha l’impressione di essere molto più a Est.
Ti guardi intorno e vedi per lo più gente dai tratti mongoli, la cui origine è conclamato motivo d’orgoglio.
Ci sono pagode buddiste e perfino un tempio buddista costruito nel 2005 e
inaugurato dallo stesso Dalai Lama (peccato per gli infissi in alluminio anodizzato).
Lì davanti mangio le cose datemi dalla mamma dello sposo (buonissime), faccio un giro e ritorno in centro a riposare.
Fa caldissimo e mi sparo un succo di qualcosa ghiacciato.









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Riparto in direzione Astrakhan, deciso a fermarmi lì anche l’indomani a prendere fiato.
Sto in giro senza sosta da 10 giorni e un giorno di riposo prima del Kazakhstan me lo sono dopotutto strameritato.
Sebbene mi stia dirigendo verso il delta del Volga il paesaggio diventa via via più aspro, finendo per essere un vero e proprio deserto sabbioso.
Sui velocissimi rettilinei che si susseguono la gente corre e oltre a un bel po di croci e lapidi sul ciglio della strada,
trovo anche un camion e un’auto usciti fuori strada a pochi km di distanza.
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La vicinanza al delta è dichiarata dalle formazioni saline che affiorano nella sabbia, come immensi pantani rinsecchiti:
la voglia di fuoristrada è tanta e non resisto a un paio di puntatine lì in mezzo mentre il sole va giu.













Arrivo in città che è buio e dopo un po di giri (temendo sul serio di ripetere la storia di Rostov) sbarco all’hotel più economico della città, vicino alla stazione. La stanza verrrebbe 25 euri, ma per 15 mi danno un letto in un appartamento a piano terra nelle case popolari della strada vicina.
L’aria si appiccica addosso per quant’è umida e ci sono nuvole di zanzare che ronzano ovunque.
L’appartamento non è pulitissimo ma va bene. C’è una cucina, il bagno con vasca e un’altra stanza occupata da un uomo che non vedrò mai.
Oltre che da un paio di blatte che ansiose di salutarmi trovano una fine spietata e indegna.

Sto fumando in cucina mentre sento aprire la porta:
è arrivato un altro ospite accompagnato dalla stessa signora tarchiatella e simpatica che si è accolate le mie borse.
Rizo è ceceno ma per via della guerra civile è dovuto andarsene in Kazakhstan, dove lavora come croupier in un casinò.
Si trova ad Astrakhan perché sta tornando a Groznyj per fare visita alla famiglia.
Ci troviamo a parlare di quello che è successo qualche anno fa nella sua terra e dell’accanimento del
governo centrale russo con quello che definisce popolo di terroristi.
Ho letto in passato qualcosa sull’argomento e capisco quanto possa essere difficile per lui parlare della cosa.
Si rianima quando la conversazione si sposta sulle popolazioni del Caucaso in genere :
gli riporto le mie impressioni sui georgiani e gli armeni e concorda con me quando gli dico di non essermi trovato bene con i secondi,
avendoli trovati un po truffaldini e opportunisti.
Beviamo insieme una birra mentre io mangio il pesce essiccato comprato poco prima al magazin:
stavo iniziando a mangiarlo con tutta la lisca quando mi ferma e mi fa vedere che bisogna trovarla e tirarla via con le mani.
Il pesce è buono ma per giorni me ne rimangono impregnate le mani.
Vi lascio quindi immaginare l’odore dei vestiti e dell’asciugamano lavati poco dopo cena.
Il ricordo di questa cena mi accompagnerà fino alla fine del viaggio ogni qualvolta aprirò le borse.

L’indomani Rizo riparte per Groznyj e io faccio il turista in città.
Dopo aver comprato due schede di memoria vado verso il centro in marshrutka (taxi collettivo) seguendo le indicazioni della padrona dell’albergo.





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Visita al cremlino e alla cattedrale, che stanno nella stessa cinta fortificata, dove silenziosamente mi godo lo spettacolo della devozione ortodossa.















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Lonely planet dice che l’internet point sta nell’ufficio postale a poche centinaia di metri ma la signorina all’assistenza clienti mi dice che non funziona.
Chiedo se ugualmente posso collegare la videocamera per guardare le foto, visto che i computer sono accesi, ma si incazza:
“ ti dico che non funziona nulla, non puoi fare niente” e ride di me insieme alla donna delle pulizie: “ E’ italiano!...”
Vado via incazzato, stavolta non risparmiando un accorato “vafanculu tu e a fiss’ i mammata!...” che viene inteso perfettamente.
Faccio un giro nella città vecchia, composta per lo piu da piccole casette in legno a uno o due piani che lentamente cadono a pezzi.

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Sosta caffe in un bar e poi mi decido per una botta di terme.
Al bar mi dicono che delle vere e proprie terme non esistono, ma si trovano piccoli “banya”.
Il primo che trovo è ancora chiuso ma mi fanno entrare lo stesso,
però rifiuto per il prezzo troppo alto anche se è molto gradevole e pulito e sono l’unico cliente, col bagno turco tutto per me.
Più avanti sulla strada ne trovo uno più economico ma un po cadente.
Non c’è hammam ma solo sauna.
Va benissimo: purchè sia caldo e mi sciolga i muscoli di braccia, schiena e collo induriti da giorni di vento e moto.
Mi danno una stanza tutta per me composta da una sala relax e una zona doccia con dentro una gran vasca d’acqua (dall’odore credo di fiume).
Dalla stessa stanza si accede alla sauna vera e propria, e la brace è aromatizzata con foglie di conifere e di eucalipto.
Trovo il braciere in piena attività che sembra di stare all’inferno.
Potrà sembrare strano che ad Agosto con 35 gradi uno vada a farsi una sauna,
ma sento piano piano il corpo rigenerarsi man mano che
i muscoli si distendono, la schiena, le scapole cominciano a scrocchiare fino a ritrovarmi molle e rilassato.
Di tanto in tanto mi immergo nella vasca o apro la doccia o mi lancio secchiate d’acqua direttamente dentro la sauna.
Esco dopo un ora col morale alle stelle ma ritorno in terra quando
la signora del chiosco dove compro da bere mi urla ripetutamente quanto pagare perché non capisco.
Bevo il mio litro d’acqua e integratori vari nella piazza Lenin, da solo, osservando lo struscio della gente del posto.



Mi sento davvero uno straniero in terra straniera e la malinconia mi sale addosso che neanche me ne accorgo.
Mi chiedo cosa ci faccia io qui da solo e la mia donna a sette ore di fuso orario,
quando potremmo stare insieme con gli amici a sguazzare nel mare salentino o dovunque ci sia una spiaggia.
Penso alla famiglia che non vedo mai, a mio padre che invecchia senza di me e al fatto che ogni viaggio è tempo che tolgo agli affetti,
e arriverà il giorno in cui mi pentirò di questo.
Mando qualche sms e con questi pensieri vado a cercare un posto dove mangiare.
Da molte auto c’è gente che continua a scandire slogan agitando bandiere russe e altre che non conosco.
Un uomo all’hotel dove prelevo un po di contante mi spiega che oggi è l’anniversario dell’aviazione russa e
questi sono fanatici nazionalisti mbriachi persi dalla mattina.



Mi fermo a cenare su una nave ristornate attraccata sul lungofiume e finalmente riesco ad isolarmi dalla caciara dance dei locali dello struscio serale.
Mangio un ottimo piatto di carne e patate coperte da una sorta di besciamella,
bevo un vodka al banco bar e mentre rimetto le mie cose nel borsello vengo circondato dalle cameriere che mi portano alla cassa (che si trova a un metro) intimandomi di pagare: direi degna conclusione della serata.
Torno all’albergo in taxi e lascio felicemente una discreta mancia al tassista che non rifiuta di fare conversazione e si sforza di parlare inglese.
Gli chiedo a cosa serva la piccola videocamera che accende alla partenza. Mi risponde che vale come prova in caso d'incidente.
Rimango un po deluso da questa città, in passato snodo importante della via della seta più settentrionale.
Mi aspettavo di trovare l'ospitalità schietta della Georgia o qualcosa di simile a quella turca, ma mi sbagliavo.
Vado a dormire pensando al fatto che nelle città minori della Russia, per quanto grandi, non sono ancora pronti per il turismo internazionale e
forse non gliene frega neanche granchè.
Mi chiedo da dove nasca questa diffidenza verso lo straniero che, anche se vestito decentemente, è un potenziale imbroglione che scappa senza pagare.
Ho i documenti in regola, una macchina fotografica e soldi per pagare un albergo e un ristorante.
Però posso avere una vaga idea dell’avere addosso il pregiudizio sullo straniero.
Mi hanno stufato le città di questa nazione.
Il capitale vi si è abbattuto di colpo e in vent'anni ha reso tutto un surrogato dell'occidente,
ma in questa parodia rimane forte il ruolo da protagonista del funzionario,
ora interpretato da chiunque abbia una divisa, anche da supermarket.

Ma alla fine tutto questo è secondario:
Come ho scritto a mia sorella per sms,il vero viaggio comincia domani.
Domani entro ufficialmente in Asia Centrale.
 
13988802
13988802 Inviato: 10 Dic 2012 12:30
Oggetto: Re: Capitolo 4_ A Ja Ljublju SSSR (Ma io amo l'Unione Sovietica)
 

Letto e piaciuto tutto, come sempre del resto. 0509_up.gif

toto_le_moto ha scritto:
Come sempre, perdonate la prolissità se potete.

Quando il prolissità è causata da foto, adeddoti storici e personali è cosa buona...
Avanti così... 0509_up.gif
 
13991025
13991025 Inviato: 11 Dic 2012 11:32
 

Spettacolo! 0509_up.gif
 
14035879
14035879 Inviato: 4 Gen 2013 1:10
 

bello affacciarsi sul forum dopo un po' e trovare un bel report di un grande viaggio

complimenti

attendo con ansia il seguito

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14041950
14041950 Inviato: 7 Gen 2013 2:58
Oggetto: buon anno
 

e bentrovati. scusate per l'assenza, ma natle è natale...
ricomincio da dove ho lasciato e spero di continuare decentemente...
allora... sparatevi sto kazakhstan atto 1
 
14041951
14041951 Inviato: 7 Gen 2013 3:00
Oggetto: Capitolo 5_ Kazakhstan Atto I- Il m*****a Del Deserto
 

Capitolo 5
Kazakhstan atto I- il m*****a del deserto




La notte non passa tranquilla. Fa caldo ed è umido e, anche se interamente cosparso di autan, le zanzare non mi danno tregua.
Sento la presenza dell’ospite ignoto che dorme nell’altra stanza ma non mi da nessun fastidio.
Riesco finalmente a chiudere gli occhi quando, verso le 2 o le 3, sento aprire la porta della stanza e una voce sommessa e un po’ ebete dire :
”Hallo, Antonio!”:
E’ Rizo! Arrivato dalle sue parti l’hanno fatto tornare indietro per documenti non in regola.
Deve tornare in Kazakhstan , sbrigare non so quale formalità, e poi ripresentarsi.
Ripartirà di nuovo prestissimo, come l’altra volta senza darmi il minimo disturbo.
Al risveglio, neanche tanto presto, la tensione si mescola all’entusiasmo.
Cambio un po di dollari al vicino centro commerciale, mi faccio due o tre macchinette del caffè, riempio le valigie ridistribuendo i pesi ancora una volta.
Caricata la moto passo dall’ albergo per connettermi via wifi e mettere un post su facebook sugli ultimi giorni per
tranquillizzare parenti e amici e, sono sincero, ricevere un po d’incoraggiamento da tutti.
Dopo un the, saluto e vado via.

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Come sempre uscendo dalle grosse città il problema è trovare la direzione per la tappa successiva.
Oggi dovrebbe essere semplice, ma non lo è.
Non trovo nessun cartello indicante atyrau se non dopo qualche km di periferia.
Per giunta, la sera del mio arrivo qui, Copilot è saltato e non si apre più: poco male perché aveva comunque le mappe fino alla Russia, ma dover cambiare navigatore forzatamente non è gradevole.
Da oggi inizio ad usare OsmAnd+ , basato su mappe opensource, abbastanza preciso ma molto lento nel calcolo dei percorsi oltre i 200km. Finalmente in una pompa di benzina mi indicano la strada giusta e mi incammino verso il confine kazako.
La strada attraversa la riserva fluviale del Delta del Volga.



Il vento è forte e mi spinge lateralmente di continuo, ma nulla di cui non abbia già avuto esperienza in questi giorni.
E’ singolare la commistione di paesaggi diversi nello stesso colpo d’occhio: dune sabbiose in mezzo al verde e ai corsi d’acqua e progressiva prevalenza di elementi desertici man mano che ci si avvicina al confine.
Del resto se si da un’occhiata alle viste satellitari si vede chiaramente come
il verde del territorio russo viri progressivamente al giallo in prossimità di quello kazako.

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Arrivo finalmente al ponte galleggiante in metallo A Krasniy Yar.
Pago il pedaggio e gasatissimo lo attraverso sferzato dalle raffiche di vento che,
insieme alla corrente fluviale, fanno ondeggiare armonicamente la strada .

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Subito dopo mi fermo a mangiare una scatoletta riparato dal vento e dalla sabbia
sotto una pensilina del bus sotto lo sguardo incuriosito di un autista.



La giornata sarà lunga e un sacco di tempo lo perderò alla frontiera, meglio ristorarsi ora.
Sono ancora in territorio russo ma già si respira la sabbia del deserto verso cui sto andando incontro e
i tratti somatici delle persone intorno sono ormai decisamente orientali.
All’ultimo pit stop per acquisto scatolame quasi mi dispiace andarmene da questo paese:
sono riuscito ad entrare in sintonia con i loro modi e ho capito come comunicare rapidamente.
Che poi le domande sono sempre le stesse: da dove vieni, dove vai, quanto costa la moto, quanto fa all’ora, dove dormi etc.
Uscire dalla sbarra russa non prende molto tempo, o forse mi sono abituato ai tempi biblici delle dogane.
Di certo rimane a me la dichiarazione di proprietà del veicolo.



Esco dal cancello che dà (guarda un po) su un lunghissimo rettilineo, quando da una delle macchina in fila sento la voce un pò ebete della scorsa notte che dice “Hallo Antonio!”
m*****a! Rizo di nuovo! Sta in macchina con due amici o cugini e insieme rientrano in Russia:
o ha risolto coi documenti, o si è portato l’amico influente. Fatto sta che a sto giro entra,
e prima di salutarci per l’ultima volta facciamo una foto insieme come era giusto fare.



La terra di nessuno in questo posto di frontiera è molto estesa e la particolarità è che il preziosissimo talloncino che mi consegnano alla dogana, attestante la verifica della mia piena regolarità,
lo devo consegnare qualche chilometro più avanti all’ultima garitta che sta in mezzo a un ponte sul fiume che fa da confine ai due stati.
Mi fermo in equilibrio precario e contromano su questo cavalcavia dove le raffiche di vento arrivano come sventagliate di mitra,
cercando di tagliare corto alle domande del funzionario baffuto e panzuto che, dopo il terzo grado sulla moto e sul costo del mio abbigliamento,
mi dice che anche lui è motociclista.
Arrivo finalmente alla frontiera kazaka che dà subito l’impressione di essere più tosta delle precedenti .
E infatti passo in questo posto dimenticato da Dio almeno un’ altra ora e mezzo o due, tra controllo dei documenti e ping pong tra un ufficio e l’altro. Non per particolare cattiveria dei funzionari, quanto per la procedura che è lunga, molto lunga.
Il funzionario mi chiama per nome “ Antonio?, Antonio Banderas!”.
“Fottiti” penso, mentre sorrido fintamente rispondendo che” Banderas ricco, io no ricco!”.
Uscito dal cancello trovo i soliti personaggi di frontiera che agitano soldi e vendono assicurazioni.
Mi fermo per cambiare i rubli che mi sono rimasti e non so come mi viene di fare anche l’assicurazione temporanea
(che in Russia non avevo fatto, anche se obbligatoria).
Inizia una lunga trattativa con due tipi dentro un lercissimo botteghino di lamiera.
Dentro c’è un piccolo desk, ad altezza banco reception, consumato e spellato.
Dietro di questo la scrivania in metallo dell’Assicuratore e dietro di questa, neanche tanto nascosta da un piccolo separèe in laminato sporco e scorticato, una branda a castello da cui sporge un ragazzotto dalla faccia rincoglionita e brufolosa che ogni tanto lancia qualche voce e ride con voce da adolescente.
Io contratto in simultanea sia per i soldi, con il tipo in piedi a fianco a me, sia per l’assicurazione col tipo dietro il desk.
L’Assicuratore sfotte il Cambiavalute indicandomelo e scuotendosi il lobo con l’indice della mano destra: quello che da noi indica “ricchione” da loro vuol dire “imbroglione”.
Alla fine esco da lì con un’assicurazione per 15 giorni e qualche tengè, convinto di aver fatto un affare ma con la profonda certezza di essere stato fregato.
La rottura di c***o finale me la da la guardia che esce dall’ultima garitta a 100 metri dal botteghino dell’assicuratore.
E’ poco più di un ragazzino con un timido accenno di baffi sul viso e credo che mi stia per chiedere dei documenti quando mi dichiara l’intenzione di fasi un giro. Gli dico di no ma come una gazzella sale dietro e non posso fare altro che accontentarlo.
Faccio un centinaio di metri e torno indietro.
Vorrebbe arrivare fino al cancello per far vedere a tutti che è salito sulla moto dell’italiano,
ma smorzo la sua gioia infantile facendolo scendere urlandogli cose tipo :
“Mò scinda ca mi cacast’u cazzu, và hatica vahanculu tu e ssu stupidu, ca ccà siti tutti hor’e testa!”
Siccome anche il calabrese è una lingua turcofona mi capisce perfettamente e rapidamente esegue, anche se a malincuore.

E finalmente sono in Kazakhstan.

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Per i primi km il paesaggio si mantiene timidamente verdeggiante: ci sono corsi d’acqua ed estese macchie di vegetazione.
Niente di più alto di cespugli o arbusti.
I centri abitati sono per lo più piccoli agglomerati di case simili a baracche, col tetto in lamiera e intonacate all’esterno.
Ogni tanto si intravede qualche piccolo pozzo di petrolio o gruppo di cisterne.
Stranamente dal punto di vista urbanistico paiono più strutturati i cimiteri che non i centri abitati:
Questi ultimi stanno buttati in maniera quasi casuale a pochi metri dalle strade senza un ordine preciso,
al contrario dei primi che hanno una vera griglia urbana, sono recintati e le tombe e cappelle ben rifinite,
con le loro mezzelune svettanti sulle false-cupole che compongono le coperture e che le rendono simili a dei trulli pugliesi.







Gli animali stanno in giro liberi a pascolare: sulla statale incontro branchi di cavalli, mandrie di mucche e finalmente quei quadrupedi che, da quando ero bambino, lego nel mio immaginario al viaggio d’avventura: finalmente i cammelli!

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Non posso fare a meno di fermarmi e guardarmi negli occhi con quello più vicino alla strada, che mi fissa con aria interrogativa e un po strafottente, ignaro del perché un umano stia lì a fissare lui con aria da c******e gongolante.
Mai potrà capire cosa sto provando, e di certo non vado a spiegarglielo.



La cosa che nei video delle paris-dakar e dei film d ‘avventura non si sente, ne tantomeno ti dicono, è l’odore nauseabondo di queste bestie. Probabilmente è dovuto all’ urina stracondensata che producono dovendo il più possibile trattenere i liquidi.

Nel giro di un centinaio di km il paesaggio cambia decisamente verso il desertico o giu di lì.
L’unica cosa che rimane costantemente malefica è la fattura dell’asfalto:
decisamente il più brutto che abbia mai visto in vita mia su una statale.
Non ci sono soltanto buche e sabbia: la cosa apparentemente più pericolosa sono i solchi lasciati dai camion, qui più profondi che altrove.
E l’asfalto sbriciolato dagli sbalzi termici non aiuta di certo.



Però la strada è dritta invita a correre, e una volta trovato il tuo solco vai che è una bellezza.
Di tanto in tanto qualche saltino, che con la moto carica non è proprio il massimo della sicurezza.
Dopo una ventina di giorni senza piscina e avvolto dall’ afosa umidità delle regioni attraversate non sono più tanto in forma,
ma ancora riesco a spingere sulle pedane e a tirare il manubrio.
Fa molto caldo, ma finalmente è caldo secco.
La temperatura percepita è più sostenibile, ma in moto sembra di stare di fronte a un asciugacappelli gigante,
e il fatto di avere solo una canottiera sotto il giubotto traforato aumenta questa percezione.
Non ho dubbi fin da ora: questa è una terra tosta, e ora sono davvero nel viaggio che avevo immaginato.
Il mio instant road book prevede che in serata arrivi ad Atyrau, la prima città grande sulla strada,
per poi andare verso Aktobe, a nord, e scendere poi verso Aral.
Ma a viaggiare verso est si perde sempre tempo perché si corre in direzione opposta al sole e, aggiungendoci l’ora in più di fuso orario, la giornata sta per finire.
Quando viaggi in moto sei come lo gnomone di una meridiana grande quanto il mondo:
per tutta la giornata insegui la tua ombra e quando la vedi stagliarsi lunga davanti a te, allora vuol dire che è tardi e devi fermarti.

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Riesco a raggiungere la cittadina di Aqqystau e inizio a cercare da dormire che è gia crepuscolo.
Provo a chiedere per strada ma nessuno mi vuole dare indicazioni, sono molto diffidenti.
Sto per entrare in un posto quando un Suv si ferma e l’uomo alla guida mi chiede se ho bisogno di un hotel.
Con lui ci sono una donna giovane e un bambino, seduto dietro.
Lo seguo e mi porta in una locanda a due piani.
All’interno trovo due ragazze sui 16 anni e due uomini della mia età , di cui uno visibilmente ubriaco.
Comincia a contrattare e a ripetermi che lui è il padrone del posto.
Ok per il prezzo, ma la moto dove la metto?
Mi dice perentoriamente di seguirlo e mi apre un cancello di ferro rosso sbiadito chiuso con un grosso travetto in legno.
Non ha pazienza per le mie difficili operazioni di manovra a moto carica.
Continua a dirmi di stare tranquillo per la moto in maniera molto fisica, avvicinandosi molto al mio viso, dandomi pacche sulle spalle e abbracciandomi.
La conversazione è difficile perché il suo russo ha una forte inflessione kazaka: e il kazako sembra un misto tra turco e cinese, parlato molto velocemente, quasi incazzoso.
Per farvi capire: in russo “mille” si pronuncia “tìzici”, loro dicono “tìsci”.
Metteteci che è pure mbriaco , devo farmi ripetere più volte le cose.
Quando finalmente va via provo a comunicare con le ragazze ma colpo di scena: le ragazze non parlano russo!
E sì! Succederà spesso qui, che i giovani non parlino russo.
Ci si arrangia a gesti come una volta.
La camera sta di sopra, e la ragazza mi fa togliere gli stivali sul pianerottolo.
Lo faccio stando attento a non far cadere il rotolo dei soldi che proprio lì tengo nascosto.
L’unico ospite sono io e il bagno in comune è solo per me. Ovunque mosche, di quelle fastidiose.
Dopo una doccia scendo a mangiare e riesco a ordinare un piatto di ravioli e una birra, ma devo stare accorto perché non ho cambiato molti soldi. Vogliono che le paghi prima di avere il mio piatto, e sconcertato lo faccio. Ma non eravamo sulla via della seta qui? Mah!
Mangio studiando guida e mappa.
Voglio capire se c’è un’altra strada più corta per arrivare al lago d’Aral senza per forza salire a nord: la mappa indica delle strade sterrate e qualche nome di località ma devo essere sicuro.
Provo a chiedere a delle ragazze che nel frattempo sono arrivate a bere e una di loro parla russo, ma mi dice che non sa.
Il gruppetto di nuove arrivate scherza su di me insieme alle due di casa, ma non ho nessuna voglia di cazzeggiare:
questa non è l’ucraina, sono musulmani, e non si è mai visto un posto dove mi fanno pagare prima di mangiare.
Nel frattempo arrivano due uomini che si siedono al tavolo vicino al mio e , non resistendo alla curiosità, attaccano bottone.
E cominciamo a chiacchierare e a brindare con vodka.
Chiedo a loro se è possibile fare quel percorso: uno mi dice di sì, l’altro dice di no.
Quando vado fuori a fumare mi raggiungono e si continua a scherzare ma il loro alcoolismo comincia ad avere la meglio,
facendoli diventare fastidiosi. Iniziano le domande scorrette, le pacche, il contatto fisico.
Basta! Sono stanco e ho bisogno di dormire, se il caldo mi da tregua.
Saluto e vado a nanna mentre continua ad arrivare gioventù locale in cerca di vodka e fregna morigerata.
E mentre la tamarrissima musica dance pompa sempre più forte,
il mio piatto sporco sta ancora sul tavolo ormai conquistato da un’armata di mosche inferocite.
Di sotto, i bassi dell’impianto fanno tremare le finestre. Io crollo come un bambino.


Mi sveglio non molto presto e ho subito motivo d’incazzarmi: non è possibile avere caffè.
Thè quanto ne vuoi, ma caffè scordatelo.
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Il caldo è bello tosto e solo ad aprire il cancello e tirare fuori la moto sono già stanco e fradicio di sudore.
La tipa del turno di mattina, che parla russo, mi spiega dove trovare la banca per cambiare denaro.
Trovo il centro del paese, che chiaramente è una lottizzazione a maglia ortogonale di epoca sovietica con tanto di blocchi numerati.
Gli unici edifici di rilievo in quanto a dimensioni sono quelli di posta e banche.
Mi dicono di cambiare i soldi alla posta. Provo a chiedere allo sportello postale ma lì non è possibile cambiare, non so per quale ragione.
Chiamano qualcuno e una signorina mi accompagna alla banca che sta all’isolato vicino.
Lascio la moto aperta, temendo un po ma sapendo nello stesso tempo che a nessuno verrebbe in mente di portarsela via.
In coda allo sportello di banca noto la giovane donna che stava nel suv della sera prima, quello che mi ha portato all’hotel.
Mi guarda ma fa finta di non riconoscermi come se quel buco di paesino fosse pieno di motociciclisti europei.
Chi invece non nasconde la curiosità è il ragazzino che stava con lei in macchina e che ora è in coda anche lui.
Faccio un piccolo sorriso a lui, ma non mi filo di striscio lei, ne nessun altro:
sto incazzatissimo e il mio mal di testa da astinenza da caffeina non è stato minimamente placato dalle 3 o 4 tazze di the prese un’ora prima. Cambio sti c***o di soldi finalmente ed esco casualmente insieme ai due.
Il ragazzino mi chiede se l’albergo era buono. Io stronzamente gli rispondo che no, non era buono.
Il poverino ci rimane male, e ancora quando ci penso mi si stringe il cuore per la mia cattiveria:
crescerà con l’antipatia per i viaggiatori stranieri. E in quel paese di tutto c’ è bisogno meno che quello.

Mi fermo ad una pompa di benzina abbandonata poco fuori il paese a mangiare scatolame e farmi due macchinette di caffè,
riuscendo a conversare quasi piacevolmente con il conducente di una macchina che si ferma per la curiosità.
Sarà una giornata fatta di tante soste per il caldo che letteralmente mi prosciuga.
La prima in una chaikhana sulla strada, affollata di camionisti, dove prendo un the bollente insieme a una tavolata di loro.
Uno vuole farsi le foto con me e lo accontento.











Raggiungo Atyrau che è da poco passata l’ora di pranzo e un po mi dispiace di non aver fatto tappa qui la sera prima.







Mi fermo per capire cosa fare guardando mappa e navigatore, di fronte a un centro commerciale.
Due ragazzi si fermano a chiedere se ho bisogno di aiuto.
Secondo quanto dicono, la strada che vorrei fare è ok e ci stanno sia benzinai che centri abitati,
ma il fatto che dicano essere la strada asfaltata non mi convince affatto:
da che mondo è mondo sulle mappe i tratteggi neri e grigi indicano sterrati e piste, e la legenda della mia mappa conferma questa simbologia.
Mi indicano un bazar dove comprare una tanica per la benzina, ma non riuscirò a trovarlo.

Devo decidere entro la prossima città che è Dossor: lì la strada si divide e puoi andare a nord verso Aktobe o a sud verso Beyneu, l’ultima città prima dell’Uzbekistan.



A Dossor faccio benzina e decido che andrò verso sud: il tempo stringe e se dopo 14 giorni sono ancora qui corro il rischio di non riuscire a tornare nel tempo previsto.



Male che vada farò la stessa strada al ritorno.
Mi maledico per essermi messo in testa questa destinazione così lontana.
E maledico anche il mio orgoglio che mai mi farebbe tornare indietro.

Poco prima di entrare a Dossor vedo sulla sinistra un tumulo di pietre con sopra una scultura raffigurante un’aquila.
Mi fermo a scambiare quattro chiacchiere con gli uomini che armeggiano lì intorno e
scopro che Dossor è il centro urbano che si scorge in lontananza.

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Di buono c’è che da Dossor la strada diventa un tavolo da biliardo e per niente stancante.
Mi fermo per l’ennesima sosta poco dopo questa città per comprare acqua e bere un the bollente,
che da due giorni è l’unica cosa che mi dia un attimo di refrigerio.
Mi accorgo che in poche ore ho prosciugato i miei tre litri d’acqua e continuo ad avere sete.
E mi accorgo anche che la doppia presa usb pagata 15 euro si è rotta per le buche e le vibrazioni:
f*****o voi e i vostri negozi di accessori “adventure” .
Nella chaikhana ci sono due donne anziane e due giovani, molto carine, e una di loro mi porta il the al tavolo fuori.
Sono fiaccato dopo soli 200 km e questo mi preoccupa molto.
In questo momento si manifesta palese il retropensiero che scava profonde buche in un angolino del mio cervello da giorni:
la libertà non esiste ed è solo una presa per il culo momentanea.
Tutto questa sensazione di catene spezzate, gabbie aperte e bestie in libertà ha una scadenza precisa nel tempo e anche a prenderla larga,
mi dico duramente, tra qualche settimana sarai di nuovo seduto al tuo PC a disegnare e a dare conto a persone che non ti sei scelto nella vita ma ti danno da lavorare e da campare.
E sarai anche felice di ritornare ad una vita che, neanche tanto in fondo, sai che non ti piace perché vorrà dire che sei tornato vivo e sano.
E’ un brutto momento e non dura neanche poco.
Ma appena in sella mi torna in mente che fin quando sono qui tutto può succedere,
e tutto quello che sto vivendo ora vale il peso dei tormenti della vita di ogni giorno.
Potrei andare direttamente a Beyneu dato che, arrivato a Qulsary, ho ancora un paio d’ore di sole fino al buio, ed entrare l’indomani in Uzbekistan. Ma gli eventi decidono per me: mi fermo a calcolare col navigatore quanta strada mi rimane da fare, quando due uomini mi si avvicinano a fare le solite domande. Io ripeto la domanda con cui stresso tutti da giorni a questa parte.
Stavolta, a differenza degli altri, questi conoscono il territorio e sono sicuri di cosa dicono.
In particolare quello tra i due che pratica la caccia.
Mi invitano a prendere una birra nel bar di fronte.
Ci sediamo al fresco e insieme alla birra ci portano un piatto di un formaggio salatissimo che somiglia a una sorta di scamorza filata ed essiccata.
Il Cacciatore è sicuro che la strada che ho in mente si possa fare, a maggior ragione con una moto.
L’altro, che si chiama Ekhemet, mi dice che stasera sono ospite da lui. E daje!
Ora si che comincia ad essere figo! Con uno slancio riesco a pagare il giro di birre,
ma il Cacciatore si alza e cazzia duramente la ragazzina che ci ha servito per aver accettato i soldi da me che sono l’ospite.

Casa di Ekhemet ha camere molto grandi, un soggiorno immenso pieno di tappeti e uno spiazzo sul retro molto grande con
un piccolo palco di legno anch’esso pieno di tappeti e cuscini. I bambini rimangono esterrefatti di fronte a me e soprattutto alla moto.
Il figlio del padrone di casa è contento ma perplesso quando lo faccio salire su Sofia.







Chi letteralmente cambia faccia per la libidine sono gli adulti quando faccio accendere la moto ad Ekhemet:
nei suoi occhi si legge tutto il senso di potenza fallocentrica dell’avere un motore che romba in mezzo alle gambe,
oltre alla vaga idea di stare a perdersi qualcosa nella vita.

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Chiacchieriamo delle nostre vite, ma la comunicazione non è sempre fluida. Anzi spesso ci sono intoppi.
E’ così che Ekhemet decide di invitare a cena Samat, un suo amico che parla molto bene l’inglese.
Ci raggiunge mentre siamo a cena.
Samat ha più o meno la mia età e i suoi tratti sono un misto tra lo slavo e il kazako.
Il suo arrivo è provvidenziale e la serata prende un’altra piega.
Mi spiega che per la loro religione quella è una notte speciale perché vengono giù gli angeli e i desideri si realizzano.
E se c’è un ospite vale di più e i loro desideri si realizzano prima e più facilmente.
Gli chiedo se vale anche per me che non sono musulmano. Mi dice che vale anche per me se ci credo.

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Andiamo di brindisi vari. Quando tocca a me brindo all’amicizia che non ha bisogno di lungo tempo per essere vera e profonda.
Ma, sarà per l’improprietà della traduzione o perché più semplicemente era un brindisi del c***o,
non sortisco l’entusiasmo e la commozione che speravo di suscitare.
Niente di grave comunque, solo rimangono un po perplessi.
A fine pasto il capofamiglia recita un brevissimo ringraziamento mentre
tutti ci guardiamo i palmi delle mani e alla fine facciamo il gesto di lavarci il viso, con un solo movimento dall’alto verso il basso.
Poi i bambini a letto, la donna a rassettare, gli uomini in giardino.


Dalla vostra sx: L'Amico, Ekhemet, io, il Cacciatore, Samat.

In giardino il Cacciatore mi spiega la strada e Samat traduce in inglese.
Disegniamo sulla mia mappa la strada e i segni che dovrebbero guidarmi.
Mi dicono che la strada è praticabile e in moto non avrò problemi, essendo più agile di un auto.
Mi rassicurano sul fatto che è terra dura e pietre, e non c’è sabbia fine sulla quale rischio di sbandare o di insabbiarmi.
Di centri abitati non ce n’è:
ci sono fattorie, ricoveri per i cammelli e si trovano cacciatori e gente che utilizza le piste per andare da un posto all’altro senza usare
la statale che fa davvero pena.E per un tratto di un centinaio di km non c’è nessuno proprio.

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Secondo loro questa è la strada migliore per andare ad Aral, dato che la statale che passa da Aktobe è veramente infernale e , a detta loro, tutti gli abitanti della zona usano quelle piste per spostarsi.
Mi parlano di rilievi montuosi che dovrebbero apparire sulla destra,
di pozze d’acqua termale che al mattino presto sono ancora piene, di fiumi di pietre e di tracciati trasversali come punti di riferimento.
Il Cacciatore vuole sapere perché voglio andare ad Aral.
Il voler vedere il cimitero delle navi e il lago che si prosciuga è una risposta sufficiente, anche se, a giudicare dalla sua espressione,
un tantino da squilibrato per lui.
Chiaramente devo portare con me una riserva di benzina e acqua.
Samat parla di 20 litri d’acqua, ma gli faccio notare che ho una moto e non un suv.
Considerando i consumi di questo spettacolo di moto che mi ritrovo, con i miei 23 litri di serbatoio e 5 o max 10 litri di tanica dovrei farcela, tenendo conto dei 23/24 km/ litro degli ultimi giorni.
Se considero una velocità media di 40/50 kmh, partendo presto e senza distruggermi, fino al tramonto dovrei fare circa 400 km,
dormire nel nulla e poi il giorno dopo essere al cimitero delle navi.
Di conseguenza le mie due borracie da 1.5 litri, insieme a una damigiana da 5 litri, è una riserva d’acqua sufficiente.
L’idea mi attizza tantissimo. Gia mi vedo come un puntino nero nel deserto in mezzo alla polvere a dormire nel nulla più nulla.
Quello che mi preoccupa è la possibilità di poter essere soccorso in caso di problemi.
E’ regola numero uno che non si vada mai in fuori strada da soli.
Un conto è stare su una strada: anche se sterrata e nel nulla, qualcuno prima o poi passa.
Samat mi dice, quasi seccato, che qualcuno lo incontrerò di sicuro per i motivi di cui sopra, ma sta a me decidere.
E decido che ci vado.
Beviamo l’ultima birra cazzeggiando e parlando della bellezza delle donne italiane.
Mi dicono che il loro amico vorrebbe venire da noi e sposare una donna come la Bellucci.
Mi chiedono se secondo me è fattibile. Senza dubbio, tovarish! Vieni e ne troverai decine pronte a sposarti!
Samat mi lascia il suo numero di telefono e si raccomanda di chiamarlo se succede qualcosa e, in ogni caso, quando arrivo a destinazione.
Ekhemet sequestra tutti i miei dispositivi elettronici e li mette a caricare da qualche parte in casa.

Io ottengo di dormire sul palco in giardino, sotto le stelle.
Solo ora la temperatura è perfetta, con un venticello mite che mi accarezza sotto un cielo pieno di stelle e
nessun materasso varrebbe questo spettacolo.
E’ la notte del 14 Agosto 2012, penso agli amici che in questo momento , in Italia, allestiscono falò sulla spiaggia,
alla mia metà nel bel mezzo della sua giornata in Ecuador.
Io sono in Kazakhstan, Asia Centrale, e sto per addormentarmi sotto le stelle di un cielo che non ha confini.
E domani vado nel deserto.
 
14042069
14042069 Inviato: 7 Gen 2013 9:01
Oggetto: Re: Capitolo 5_ Kazakhstan Atto I- Il m*****a Del Deserto
 

toto_le_moto ha scritto:
......... e sto per addormentarmi sotto le stelle di un cielo che non ha confini.

Sto leggendo passo dopo passo il tuo fantastico report:non lo voglio sminuire con la frase che ho quotato, ma quelle poche parole, credo che possano bastare come report.... icon_wink.gif
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14042378
14042378 Inviato: 7 Gen 2013 12:03
 

Grazie icon_biggrin.gif
è quasi più duro scriverlo che farlo sto viaggio...
 
14043060
14043060 Inviato: 7 Gen 2013 17:22
 

Citazione:
Quando viaggi in moto ... per tutta la giornata insegui la tua ombra e quando la vedi stagliarsi lunga davanti a te, allora vuol dire che è tardi e devi fermarti.


bella questa, la metterei come firma 0509_up.gif

comunque, è molto interessante un aspetto del viaggio che ogni tanto mostri, ovvero i momenti di solitudine e sconforto

è una cosa che non ho mai provato nei miei viaggi perché non l'ho mai fatto da solo, ma avendo messo nella wish-list anche un'esperienza del genere, confesso che è un fattore che non avevo messo in conto

tuttavia, dall'entusiasmo che traspare dal tuo racconto, sono certo che quei momenti di "stanchezza" siano un prezzo onesto per tutta la nuova esperienza che si acquisisce e che rimarrà parte importante del proprio bagaglio personale

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14043580
14043580 Inviato: 7 Gen 2013 20:51
Oggetto: Re: buon anno
 

toto_le_moto ha scritto:
ricomincio da dove ho lasciato e spero di continuare decentemente...
Molto decentemente direi...!! 0509_up.gif
 
14049593
14049593 Inviato: 10 Gen 2013 3:56
Oggetto: Capitolo 5_ Kazakhstan Atto I- Il m*****a Del Deserto
 



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Sarà per il lieve freschetto sopraggiunto verso le 4.00, più probabilmente per l’emozione, fatto sta che alle 5.00 sono gia pienamente operativo.
Il sole non è ancora emerso dall’orizzonte che io sto cercando un angolino riparato dal vento per fare la prima macchinetta di caffè .
Inizio con i preparativi: oliare la catena, dare una scrollata al filtro dell’aria in cartone ancora pulito (quello in spugna della touratech non arrivò mai), caricare la moto in maniera più equilibrata possibile.
Dedico qualche minuto alla vestizione: oggi niente canottiera ma maglia in cotone a maniche lunghe,
in modo da riparare la pelle dall’azione diretta dell’aria rovente.
Tolgo gli stivali Soho della Alpinestar , egregi su strada anche con queste temperature( viva il Gore-Tex) ma con suola pressoché liscia.
Metto gli anfibi della Magnum, più caldi ma di sicuro più fascianti alla caviglia e con una suola più adatta al fuori strada.
Metto su anche il foulard rosso e grande lasciatomi dalla mia bella, che in caso di sosta al sole è abbastanza grande da coprirmi viso e testa.
L’unica cosa che non posso cambiare è il giubbotto NL5 della Spidi che, anche se traforato, è comunque nero e fa caldo solo a guardarlo
( cosa di cui mi rimproverava il giorno prima il Cacciatore, dicendomi che ho bisogno di indumenti chiari per girare a queste latitudini).
Alle 6.00 sarei gia pronto per partire, ma non ho idea di dove siano tutti i miei dispositivi
(telefono, fotocamera, videocamera) e il padrone di casa ancora non si vede.



Né tantomeno mi hanno detto dove comprare la kanistra per la benzina, avendo ricevuto promessa di averla in dono da Ekhemet.
Sono le 7.30 passate quando finalmente il mio ospite compare in giardino e , letteralmente, mi ordina di andare a fare colazione.
Scopro a mie spese quello che avevo intuito l’anno prima in Turchia, ovvero che l’ospitalità islamica può diventare
un piccolo e benevolo sequestro di persona.
Dopo la colazione si va a prendere la tanica e a riempirla di benzina.
Non prima che il mio amico abbia fatto tutti i suoi giri di lavoro, mentre si alza una discreta tempesta di sabbia.
Mentre siamo fermi non so dove, vedo passare due moto da enduro, e vorrei correre da loro e dirgli di fermarsi e aspettarmi .
Sto per diventare preda di un’ angoscia sottile e penetrante: sarei pronto da ore per partire,
ma sono costretto a subire un’ ospitalità che non ammette deroghe e deve essere attuata fino in fondo con
tempi e modi che cominciano a diventarmi nocivi.
Alla fine, come promesso, è lui a darmi una delle sue taniche in acciaio,
recuperata in una sorta di officina TIR di sua proprietà,
non prima di aver diretto le operazioni di carico di un intero motore sul pianale di un cassone scoperto di
un minaccioso camion Kamaz di epoca sovietica.
C’è solo un problema:la tanica è da 20 litri, per me pesantissima!
Un’ altra mezz’ora o poco più va via mentre facciamo la fila per riempirla. Io sono incazzatissimo e nervosissimo.
Anche perché devo di nuovo sistemare i bagagli, avendo preventivato 10 litri di tanica e non più.
Alla fine riesco a partire che sono le 12.00 ora locale. Ho con me 20 litri di benzina e, non avendo più posto, solo 4 di acqua in totale
(le due bottiglie in alluminio della Quechua da 1.5 lt e il rimasuglio di una bottiglia ghiacciata).
Ci metto poco a trovare la strada da fare: mi viene indicata una strada bianca che si dirama a destra della strada per Enbaaul.
Si tratta di un rilevato stradale molto ampio di fango rinsecchito, in alcuni punti davvero impraticabile per le buche e i solchi dei veicoli.
Credo risalga ai tempi dell’URSS, visto che di tanto in tanto si scorgono brandelli di asfalto ingrigito e sbriciolato.





La cosa più conveniente da fare è utilizzare una delle centinaia di tracce che corrono nella stessa direzione
utilizzando la strada bianca come riferimento.
La cosa è fattibile: la consistenza del terreno è buona e anche quando si incontrano dei tratti sabbiosi,
questi non sono mai così soffici da farmi rischiare una caduta.
Occorre però stare attenti: quando si comincia a prendere velocità i ciuffi di sterpaglie sono abbastanza duri e destabilizzano un po’.
Ma il problema vero non è questo, affatto.
La vera difficoltà è data dal peso complessivo della moto:
prima ero pesante ma ora, con 20 litri di benzina sul sedile posteriore,
ho completamente annullato l’agilità di un mezzo nato per queste cose.
E’ come se mi portassi dietro due serbatoi invece che uno.
Certo, il peso è ben bilanciato: su asfalto sarei un proiettile di una stabilità invidiabile.
Ma in questa situazione ogni avvallamento o buca fa scendere vicino al fondo corsa l’ammortizzatore posteriore.
Per di più in diversi tratti devo rallentare l’andatura per l’incertezza e il peso,
e il fatto di essere così pesante mi rende difficile manovre repentine che sarebbero necessarie a evitare intoppi.
Provo a salire per un paio di volte sulla dura pista fangosa, ma i profondi solchi lasciati dai SUV e
la superficie generalmente dissestata mi fanno ridiscendere.
La pista a lato è divertentissima da guidare e tutta la situazione lo sarebbe, ma io non me la sto affatto spassando.
Sono pensieroso. Sono preoccupato. Di colpo mi si chiarisce cosa non mi convinceva finora.
Tutte le raccomandazioni e dritte che mi hanno dato vengono da persone che si muovono in auto:
i venti litri di benzina, farmi partire a mezzogiorno, usare una tanica in plastica
(“quando la svuoti poi la bruci”, diceva Samat) sono tutte cose che fai tranquillamente se hai 4 ruote e un climatizzatore.
Oltretutto in 30 km di pista non ho incontrato essere vivente se non mandrie di bovini e di cammelli.
Un fil di ferro arrugginito che mi finisce tra i raggi mi fa temere il peggio ma è un falso allarme.
Poco più avanti scorgo i volumi di una fattoria che spiccano scuri contro l’azzurro del cielo.
Devio e mi fermo nella speranza che ci sia qualcuno a dirmi se la direzione è giusta.
E’ completamente deserta e dal puzzo acido è sicuramente un ricovero per cammelli.
Ricevo un sms di mio fratello, il più grande, che mi chiede se sono gia di ritorno.
E tutto questo mi fa agitare ancora di più, arrivando in questo momento di perplessità come un segno del Cielo.
Telefono a Samat per sapere se la direzione è corretta e mi risponde affermativamente,
anche se non lo convince il fatto che all’una stia ancora lì.

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Riparto seguendo la bussola in direzione sud-est.
Il caldo si sente tanto, ma l’accorgimento della maglia mi fa sopportare meglio il vento arido.
Nonostante questo, tiro le somme e mi convinco che è il caso di tornare indietro.
Mentre vado in linea retta a bassa velocità mi dico :
” No, non è il caso di continuare. Metti che succede qualcosa…
non tanto bucare che pure sarebbe una rottura di palle, ma se cado e mi rompo qualcosa chi mi recupera?
E metti che poi…”

VRROOUUUUMMMMM BL BLSSTCIUFF SPUTT!!!!!

Sento la moto e tutto me stesso arrestarsi e sprofondare come se una mano gigantesca fosse sbucata da sottoterra a tirarci giù.
In un attimo le mie scarpe poggiano sul fango mentre io urlo le mie Madonne al deserto indifferente.
Sì, c***o! è successo quel qualcosa che non doveva succedere:
Mi sono impantanato nel fango di una delle migliaia di croste essiccate su cui sono passato.
Solo che questa era essiccata in superficie e fresca sotto: le pozze termali piene al mattino, v********o!
Smonto dalla sella e provo inutilmente a spingere mentre do gas.
Nulla!
Scende ancora di più.
Provo a mettere sotto la ruota un pezzo di legno trovato lì vicino dopo aver provato con una pietra piatta.
Nulla!
Anche togliendo i carichi dalle valige e gli strafottutissimi venti litri di benzina.
Sprofonda fino a toccare con le valigie mentre io sono un pezzo di fango maleodorante fino alle ginocchia, assalito da mosche assetate.
Era meglio bucare, molto meglio!
Non c’è copertura GSM ma niente panico:
considerando che dalla fattoria ho fatto non più di 10 km tutta questa situazione si traduce in
una enorme, grandissima, incommensurabile rottura di c***o e niente più.



Mentre metto insieme bagagli e giubbotto e copro la tanica di benzina,
maledico me stesso per la mia stupidità e penso che se fossi stato insieme a un’altra moto,
tutto questo sarebbe stato motivo di gran risate e divertimento.
Mi incammino alle due del pomeriggio con macchina fotografica,
portafogli e borraccia da un litro e mezzo sotto il sole cocente, la testa avvolta nello scialle.



Mentre vado controllo spesso il telefono per verificare la copertura.
Ma nulla per km e km.
La borraccia si svuota rapidamente, anche se centellino ogni goccia.
Più che bere, mi inumidisco bocca e labbra.

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Dopo forse un’oretta comincio a sentire voci di donna in lontananza,
ma intorno non c’è nessuno: è lo sciacquio della poca acqua nella borraccia e,
anche se ho scoperto da dove proviene, continuo lo stesso a sentire voci di donna che cantano lontane o mi sussurrano all’orecchio.
Così come sento suonare il telefono, anche se so di essere fuori campo.
E alle allucinazioni si aggiungono i miraggi.
Sulla sommità di una piccola collinetta vedo dei volumi scuri apparire nell’aria ondeggiante per il caldo.
Credo sia la fattoria; in fondo non ho fatto molti kilometri da lì prima di affondare la moto.
Ringalluzzito dalla meta che si avvicina accelero il passo ma, man mano che mi avvicino,
mi accorgo che la vista è solo una visione che svanisce al mio approssimarmi.
E questo per altre due o tre volte almeno, tanto che alla fine non ci credo più.
In tutta questa desolazione neanche un albero, un cespuglio, un arbusto più alto di un ciuffo dove ripararmi.
Sfilano davanti a me animali come lepri , in lontananza vedo qualcosa somigliante a una volpe.
In cielo volano un paio di quelli che sembrano falchetti e mi viene da ridere pensando ai western in cui
il malcapitato sta per morire nel deserto e gia gli avvoltoi sono pronti a far banchetto con la sua carogna.
Penso che a quest’ora i miei stanno per scendere a mare mentre mia cognata prepara, insieme alla madre,
un pranzo che farà crollare i commensali per sopraggiunti limiti di capacità gastrica.
Penso che la mia metà sta ancora nell’ultima fase R.E.M. prima del risveglio tra i monti dell’Ecuador,verdi e umidi,
e magari sogna un deserto ingiallito da un sole spietato con in mezzo una strada bianca.
E mi chiedo che m*****a ci stia facendo io quì.
Dopo tre ore e mezzo di cammino sono alla fattoria dei cammelli puzzoni e finalmente posso mettermi all’ombra.
La mosca con cui ho fatto amicizia nel fango tuttora non mi molla.
Mi ritrovo a parlare con lei e a chiederle di lasciarmi perdere per qualche minuto.
Sarà stata un’allucinazione anche quella, ma mi ha accontentato.





La prima telefonata a Samat non va a buon fine.
Sono comunque pronto al piano B, ovvero riposarmi e raggiungere la città di notte.
Al secondo tentativo risponde e gli spiego la situazione chiedendogli di venirmi a prendere con
un mezzo capace di tirare la moto e di portare anche un cavo di traino.
L’impressione che ho è quella di procurargli un certo fastidio e me ne dispiaccio.
Mi aspetto che inizi un giro di rimpalli tra lui e i suoi amici e che alla fine sbuchi il Cacciatore con un SUV clamorosamente attrezzato.
In realtà al mio istinto di sopravvivenza poco importa di rompere le palle:
sarei tornato indietro da me se non avessi avuto quel contrattempo.
E comunque mi ha dato disponibilità e l’ho allertato.
Su sua richiesta gli invio le coordinate gps e mi dice che entro un’ oretta dovrebbe essere lì.
Il tempo non passa più. Mi sento completamente arso e neanche fumare mi da sollievo.
L’unico punto in cui il telefono funziona è in pieno sole e ogni volta che vado a vedere se ci sono novità è una tortura.
E’ chiaramente visibile al centro dello spiazzo della fattoria un pozzo.
Se non avessi trovato Samat al telefono, avrei tirato su l’acqua per i cammelli e bevuto per poi arrivare in città e ricoverarmi per epatite e tifo, anche se vaccinato per questo.

giusto per capire :



Vedo all’ orizzonte una nuvola di polvere sfrecciare lontano da me verso delle casupole e chiamo samat credendo sia lui.
Non è lui che vedo ma mi dice che arriveranno con un “truck with a blue cabin” entro pochi minuti.
Alla fine arrivano con una UAZ grigia degli anni forse 60.
E’ bellissimo vedere arrivare in mezzo alla polvere quattro ruote amiche.
Ed è ancora più bello trovare dentro questo furgone 10 litri d’acqua:
la più buona e fresca e dolce di tutta la mia vita anche se discretamente calda.
Salgo dietro nel furgoncino guidato dal fratello, che ovviamente conosce quella zona come le sue tasche.
Sono stupefatto dall’agilità di questo scassone di 50 anni che con 4 ruotine si arrampica ovunque.

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Ilmio punto di riferimento sono tre cespugli in fila.
Percorriamo 15 km prima di raggiungere la moto.
Per prima cosa il fratello di Samat apre lentamente, facendola sfiatare, la tanica di benzina, ormai pronta esplodere dopo ore sotto il sole.
Samat mi dice, un po ridendo un po incazzandosi:
“ Antonio, sei nel deserto perché sei passato da qui? Potevi andare lì, o lì, o lì! Proprio qui dovevi passare?”
“Samat, sono una persona precisa, se vedo un bersaglio miro al centro!”
Comunque sia, attacchiamo il cavo al gancio di emergenza sulla forcella e io e Samat restiamo nel fango a spingere.
Dopo un po di Madonne riusciamo a tirarla fuori e
dopo le foto di rito stiamo per qualche minuto a togliere il grosso del fango infilatosi in ogni cavità.





Caricate le borse e la benzina sul furgone vado dietro a loro per ritornare a qulsary.
E mi sembra un'altra moto: altissima, leggerissima e guidabilissima.
Mi rendo conto che se non avessi avuto tutta quella benzina probabilmente sarei uscito dal fango senza affondarci.
Magari sarei sbandato, avrei dovuto forzare un po ma non ci sarei finito dentro così.
Passiamo dalla fattoria perché Samat vuole finire la sua predica.
Mi indica il lastrone di cemento al centro del piazzale chiedendomi se so cos’ è quello.
Gli dico che lo so, ma lui alza lo stesso la botola e tira su un secchio di acqua piena di mucillagine
facendomi lezione sulla transumanza dei cammelli:
Quel ricovero è abitato d’inverno quando i cammelli stanno al chiuso.
Ora è estate e sono liberi e per questo non c’è nessuno a viverci.
Gli dico che tutto questo l'avevo capito e che i ricoveri invernali delle bestie ce li abbiamo anche noi , ma prima di beccarmi l’epatite ti chiamo e ti chiedo se ci sei. Se so che vieni non bevo, altrimenti bevo. Lui mi risponde secco: “This is not Italy. This is the real world.”

Vorrei rispondergli che quello è il terzo mondo, ma la mia autostima dopo quest’ultima stoccata crolla a livelli sotterranei.
Con la coda tra le gambe e le orecchie basse accendo la moto e seguo la UAZ con dentro i fratelli Kushembaev
mentre solca le piste migliori di quel deserto che non ho saputo prendere bene.

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Il tramonto è fantastico coi suoi rossi intensi e blu sul pallore della sabbia.
Non ho mai visto questi colori e lo spettacolo mi ripaga di tutta la fatica del viaggio fatto finora.
Seguo la nuvola di polvere davanti a me cercando di non avvicinarmi troppo per non respirarla.
Questo polverone ha un aspetto amichevole e familiare.
La sera prima, com’è ovvio, non potevo fidarmi completamente di queste persone, anche se ho dato credito alle loro parole.
Quando mi chiesero quanto costasse la mia moto ho detto qualcosa come 1500 euri mentendo spudoratamente:
subito mi hanno proposto di iniziare un import export di moto usate dall’Italia al Kazakhstan.
Mi chiedevano quanto guadagno, come vivo. domande normali ma la situazione non era normale.
Non è cattiveria, ma sono da solo a migliaia di km da casa, dove nessuno mi rivendica,
e questi potrebbero benissimo farmi trovare qualcuno 10 km più avanti sulla mia strada,
fottermi tutto e farmi sparire nel nulla.
Non li conosco, eppure mi sono venuti a salvare.
Sembrerebbe di vivere uno spot dell’amaro Montenegro, se non fosse per il fatto che invece di archeologi cazzuti e anfore da salvare
quì c’è un cretino su una moto venuto da lontano per cacciarsi nei guai.
Mentre finalmente mi godo la sabbia del deserto, zompettando e sgommando sugli avvallamenti, penso che
Cristo dopo quaranta giorni di deserto è tornato da Messia, io dopo tre ore ritorno da c******e.

Ci avviciniamo alla città in un punto diverso da dove ero partito e andiamo verso casa del fratello di Samat.
Lì vengo accolto dalla moglie, dal figlio e dalla madre.
Sono tutti sorridenti e ospitali e anche se Samat continua a infierire con il suo sguardo e le battute,
la disavventura non sembra aver scalfito l’immagine del viaggiatore avventuroso mentre io vorrei solo sprofondare.
Samat insiste perché io sia suo ospite per la notte e non accetta storie.
Carico la moto e per ringraziare lascio la tanica di benzina al fratello.
E do 20 euro come souvenir al ragazzino, facendo un po indispettire la nonna che mi chiede se ho bisogno di soldi.

Samat vive anche lui in una casa a un solo livello con ampio soggiorno ma,
a differenza di Ekhemet, non ha un bagno interno in costruzione, cosa che qui è una vera schiccheria.
Faccio una doccia nel bugigattolo in legno nel giardino e l’acqua del boiler solare è davvero a temperature da ustione.
Il mio amico vive con la giovane moglie dall’aria dolce e gentile, le due bambine e il padre, un simpatico signore sui 70 anni circa.
La moglie di Samat, a differenza di quella di Ekhemet, porta il velo.
Prima di cena Samat mi mette a disposizione il suo computer con skype e finalmente riesco a vedermi via monitor con la mia metà che,
appena vista la mia cera, ha subito avuto bisogno di rassicurazioni che non fosse successo niente di grave.
Le dico della disavventura e del fatto che non mi sento così convinto di andare avanti,
che la meta è troppo lontana e a questi ritmi non è più una vacanza.
Non nego di innervosirmi un po quando mi chiede lumi su tempi e modalità del mio ritorno,
se via terra o via mare e quando. Non ho la più pallida idea di che direzione prendere né di quanto tempo avrò bisogno.
E forse la cosa che più mi infastidisce è che tutti mi ricordano che devo tornare, prima o poi.
La conversazione dura comunque pochi minuti, dato che la cena è pronta e arriva l’ordine di andare a mangiare.
La padrona di casa ha preparato una cena davvero squisita,
ma la cosa che di più gradisco è il thè bollente che facciamo raffreddare in tazze simili a dei piattini alti.
L’insalata è addirittura condita con olio d’oliva di cui i padroni casa vanno fieri, anche se da noi farebbe ridere definirlo tale.
Samat conosce molto bene l’inglese perché rappresentante di una ditta che costruisce ricambi di parti meccaniche e
per lavoro viaggia spesso in tutta l’Europa.
La moglie non sta ferma un attimo, provvedendo sempre a portare altro the o acqua e pietanze.
Quando mi alzo per riempirmi da solo il bicchiere d’acqua, lui quasi si offende dicendo che dev’ essere La moglie a farlo per me.
Capisco che quello che per me è un normale gesto di cortesia, in quella casa diventa mancare di rispetto a un ruolo preciso e importante.
Dopo cena usciamo in giardino con le bambine dove, a stomaco pieno, posso fumare finalmente con gusto una sana sigaretta di tabacco.
I suoi modi sono schietti e diretti.
Mi chiede secco: -“Allora Antonio… hai una fidanzata ma hai 40 anni e ancora non sei sposato. Perché non sei sposato?”
Dico anche a lui quanto detto al commensale in Russia, la storia dei costumi che sono cambiati etcetera.
Lui mi risponde: -“ E’ per questo che non lasciamo libere le nostre donne, così la società va avanti senza problemi!”
Non posso non pensare ai dispiaceri che tra qualche anno gli provocheranno le due splendide bambine,
quando diventeranno adolescenti incontenibili nell’era dell’internet 2.0 mentre lui invecchierà rammaricandosi del mondo che cambia.
Parliamo un po della sua nazione. Mi dice che in quelle zone ci sono escursioni termiche di 100 gradi.
Anche se stiamo sotto il livello del mare in inverno si a arriva a -40 gradi.
Mi informa che la giornata appena passata ha toccato punte di 60 gradi.
Non ci sono tensioni separatiste in nessuna regione del Kazakhstan,
il popolo è abbastanza compatto e non dice niente di spiacevole nei confronti del presidente Nazarbaev che dal 1989,
con vari stratagemmi, governa incontrastato.
Del resto il Kazakhstan è un’invenzione dell’URSS per dare un’ inquadramento a una confederazione di tribù nomadi (raggruppati in tre Orde) che nel 18° secolo giurarono fedeltà alla corona russa.
E’ sempre stato un tratto distintivo di questo popolo la multi etnicità, e l’attuale governo tende a fare di questo tratto un motivo d’orgoglio.

Dopo altre chiacchiere in giardino insiste per mettere le mie cose in lavatrice e guardare insieme il da farsi per il prosieguo del mio viaggio.
Valutiamo il trasporto aereo dall’Uzbekistan o dal Kazakhstan ma costa un fottìo.
Dice che dovrei contattare uno spedizioniere amico suo per mettere la moto su un tir,
ma l’ipotesi è improponibile per me: è il mio unico mezzo di trasporto e deve tornare a Roma con me.
Quando poi cominciamo a guardare googlemaps succede qualcosa che ancora non mi spiego completamente.
Praticamente inizia a bloccare tutte le mie alternative:
Mi sconsiglia di andare in Uzbekistan da Beyneu dicendo che la strada è allucinante.
Mi parla di sabbia alta e tir che alzano polveroni impenetrabilii.
Gli dico che allora vado nel Mangystau a vedere le moschee sotterranee:
-“Peggio! Anche se segui le Uaz che portano i fedeli in pellegrinaggio non è sicuro che ci arrivi perché anche loro ci si perdono.
E poi ci sono dei canion che si aprono dal nulla e corri il rischio di caderci dentro.”
-“ Sì, ma da fort Schevchenco potrei prendere un traghetto che mi porta in russia.”
-“ Si ma non sempre ci sono e non portano passeggeri. Ma poi… perché vai in Uzbekistan? Lì c’è miseria, la gente scappa da lì per venire qui da noi. E’ tutto deserto, sono rozzi e arretrati, nessuno parla russo e non troverai un collegamento internet. E poi c’è sempre quella strada maledetta da fare: sono 600/650 km senza benzina ne civiltà.”
-“ Ok, ma è una via di collegamento principale e io ho visto foto di quella strada ed è asfaltata.”
-“ No, non lo è. E’ solo sabbia.”
-“Allora vado su una pista parallela”
-“Guarda quante sono, corri il rischio di perderti”
-“Allora mi oriento con la ferrovia”
-“La ferrovia? Mai sentito di qualcuno che si orienta con la ferrovia.”
-“…”
-“che cosa strana! Orientarsi con la ferrovia!”
-“E allora che faccio? Torno a casa?”
-“Sì, secondo me è meglio se torni a casa.”
-“…”
Quest’ultima conversazione ha letteralmente distrutto la mia ormai tentennante voglia di andare avanti.
Se qualcuno che è nato e cresciuto in quei posti mi dice queste cose, vuol dire che non è cosa mia attraversare quei territori.
Se tutte le strade sono delle piste e il clima è così inclemente,
che possibilità posso avere io di andarmene tranquillamente in giro, per di più da solo?
C’è una vocina che mi sussura l’incongruenza con i suggerimenti di ieri sera,
quando mi si diceva di andare tranquillamente nel deserto vero,
mentre adesso anche le strade principali sono impraticabili e pericolose.
La cosa non quadra proprio alla vocina. Ma non la ascolto.
Mando un sms alla mia bella dicendole che non me la sento, che torno indietro e che vado a finire la mia vacanza nel Caucaso,
per poi prendere un traghetto sul mar nero che mi porti da qualche parte verso ovest.
Ottengo anche in questa casa di dormire sul palchetto in giardino, sotto le stelle.
Rimaniamo d’accordo che l’indomani andremo a lavare la moto, prima di ripartire verso ovest.
Forse per la stanchezza della camminata nel deserto a 60 gradi, forse per il sole che ho beccato,
la prospettiva di tornare indietro non mi sconvolge più di tanto e
mi addormento nella brezza notturna che per qualche ora mi accarezzerà infarinandomi leggermente con la sabbia del deserto.
Un sms della mia bella mi dice che per andare avanti qualche volta bisogna tornare indietro.
Questo mi rasserena facendomi dormire un sonno tranquillo e ristoratore.
-“ Non devo dimostrare niente a nessuno se non a me stesso”, mi dico mentre scivolo nell’oblio,
” e se a me sta bene non importa cosa ho detto al mondo prima di partire.
Quindi f*****o tutto: Samarcanda, il viaggio, l’avventura e tutte queste minchiate.
Ora dormo e domani torno indiet…..RONF!”-
 
14050158
14050158 Inviato: 10 Gen 2013 11:40
 

fantaStico. doppio_lamp_naked.gif doppio_lamp_naked.gif doppio_lamp_naked.gif
 
14050290
14050290 Inviato: 10 Gen 2013 12:23
 

Grazie! icon_mrgreen.gif
 
14051532
14051532 Inviato: 10 Gen 2013 19:33
 

Stica...!! icon_eek.gif icon_eek.gif
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