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Citazione:
Dal Tourist Trophy, il giorno dopo. Perché?
"Con Brian salgono a tre i piloti deceduti durante l'edizione 2011 del TT. Pensieri e parole a ruota libera. Senza demagogia e con infinito rispetto"
C’è chi li chiama folli e chi li chiama eroi: di certo, a chi decide di sfidare le 37,73 miglia dello Snaefell Mountain Course non mancano né il coraggio, né un approccio alla vita particolare.
Il rischio di morte viene messo in preventivo, ed è un corollario della sfida che può portare a superare se stessi. A vincere, a ben piazzarsi, o - semplicemente - a concludere i quattro o sei giri del Tourist Trophy portando a casa la pelle. Non è la parabola di Icaro e nemmeno quella dell’aspirante vittima sacrificale. E' una storia di vita, di sport, di asfalto, di chilometri, di pericoli. Di motori cui viene richiesto di superare il proprio limite; di corpi che cingono le moto per essere un tutt’uno contro gli altri, il cronometro e l’imprevedibile. Ben poco possono in genere le protezioni d’ordinanza sulla tuta: il pilota è nudo di fronte a sé, tra marciapiedi e cartelli stradali potenzialmente assassini che spera siano guide verso la gloria.
Mentre scriviamo, è forte l’eco della terza vittima del Mountain in questa edizione 2011: l’irlandese Derek Brien, 34enne della Contea di Meath. Ha terminato la propria corsa durante la gara delle Supersport a Gorse Lea. Ha chiuso gli occhi per l’ultima volta, al pari dei sidecaristi Bill Currie e Kevin Morgan, caduti in prova pochi giorni fa. Non ha senso tenere il conto, non ha senso censurare come è prassi per molti organi di informazione. Il TT non rende? Non è il caso di entrare nel merito. Ne ha chiedersi il perché. Senza subire pedissequo il fascino del Mountain, il TT affascina. Non solo perché si può morire: sarebbe un fascino perverso. Perché racconta 37,73 miglia di storie. A lieto fine o meno, ma sempre vere. Perché non c'è nulla di più vero di chi affronta il Mostro armato solo del proprio coraggio e della propria perizia. Del proprio cuore, per fare opera di sintesi.
C'è chi parte per vincere. Chi per arrivare. Tutti per correre. Senza la fama di reietto: solo con la convinzione di sfidare se stessi e vincere. Una scommessa pulita - già, qui non si parla di calcio - e pericolosa. Personale. E, in quanto tale, da rispettare a priori. Nell'appuntamento-clou, la Superbike TT, erano in sessanta al via. Quindici i piloti, per contro, al via nel Gran Premio di Spagna in MotoGP. Numeri alla mano, chi ha affrontato il Mountain merita (almeno) quattro volte rispetto. E silenzio, se non se ne capisce lo spirito.