toccalenuvole ha scritto:
Molti di noi hanno subito l'incanto di "I diari della motocicletta", un film di respiro, dove le
coordinate geografiche si confondono con quelle umane e l'itinerario diviene percorso di vita. Forse
pochi sanno che Ernesto aveva già affrontato un viaggio precedente, a cavallo di una bicicletta su
cui aveva montato un motore, probabilmente garelli, anche se qualcuno parla di un "cucciolo".
C'ha percorso più di 4000 Km, il suo nome era "la poderosa". Poi venne la stranota norton 500, "la
poderosa II", con la quale intraprese una peregrinazione che gli cambiò la vita.
Ho da poco dato via la mia multistrada, "tamata II" ormai piuttosto malconcia. Difficile per me dire
cosa significhi ritrovarsi improvvisamente a piedi quando un tempo scrissi che mi sarei sempre
sentito libero con una moto e una strada da percorrere. Per me che proprio come nel film, navigare
la geografia di un posto somiglia a indovinare quella di una mano. Ogni tanto mi si affastellano
frammenti di ricordi dei miei viaggi, l'odore dei boschi nel Nurburgring, la luce del deserto des
agriates, la lavanda croata, l'appennino meridionale, ... Ricordi umani che ci legano ad un mezzo
meccanico a cui si è soliti attribuire un principio incorporeo. Che sia insito un archetipo
animistico, dove tutto ciò che condiziona la vita quotidiana ed è fondamentale per la sopravvivenza
assume un valore vitale (anima). Forse a questo si deve aggiungere anche la componente di necessità
di un rapporto, di una vicinanza in un momento in cui veniamo così fortemente restituiti a noi stessi.
Mi viene in mente il marinaio e la sua barca. Forse c'è più di quanto pensassi nell'aver battezzato
la multistrada "tamata II".
Se ora chiudo gli occhi mi vedo su una strada tuffato tra le colline, in discesa, a motore spento.
Ricordo una delle prime cose che ho imparato andando in moto. La notte estiva può essere davvero
fredda se si percorrono vie periferiche. Ricordo di aver imparato che non bisogna mai avventurarsi
in montagna vestiti leggeri e senza parapioggia, che il freno posteriore serve e che a volte lasciar
scorrere la moto piuttosto che frenare può salvarti da una caduta. Pian piano che prendevo
dimistichezza e si liberava la mia attenzione, sommavo sempre più particolari alle mie impressioni.
Gli aerei scoppiettii delle fredde mattine, le brevi gioie, le luci incerte, gli odori umidi e di
cenere dei paesi, le arie terse, il cromatico dissolversi e ricomporsi di paesaggi mutevoli, che
scorrono sulla stessa visiera di sempre. Le curve tratteggiate e i placidi rettifili nelle valli, il
punto di arrivo che si smarrisce in quello di partenza, le contrazioni del metallo che si raffredda,
il giorno che si sedimenta nell'aria fresca della sera. Andare in moto mette sempre più in atto il
particolare, l'immediatezza, l'evanescenza dell'immagine che subito lascia il posto alla successiva,
in un susseguirsi continuo e necessario. E mentre si va non si mette mai a fuoco la pioggia, ma la
si conosce meglio di chiunque altro.
Ho lasciato la mia moto con un po' di benzina nel serbatoio, un gesto propiziatorio, perchè ho
imparato che basta una manciata di carburante per scoprire ciò che la strada ha ancora da proporre.
Domani andrò a ritirare una GT1000, usata ma praticamente immacolata, bicolore, bellissima con cui
traccerò un discorso diverso, un ritmo più sgombro. Domani il fragore metallico spingerà ancora più
lontano, denunciando un'assenza non vera, forse solo un malinteso.
Quando la moto libera il meglio di noi stessi.... bravo!, e benvenuto in un gruppo che "vive" la moto, proprio come te