gattapazza ha scritto:
ehmm..che cos'è? non lo chiedo per pigrizia di linkarci su ,ma perchè non me lo apre
Alessandro colombo ha scritto:
EVOLUZIONE DELLA TECNICA MOTOCICLISTICA
IN 120 ANNI
Conferenza di Alessandro Colombo
Milano, 25 marzo 2006
Pionieri e precursori
Secondo la storiografia “ufficiale”, il primo veicolo motorizzato a due ruote
risale al 1870-71, quando il francese Pierre Michaux applica ad una sua
bicicletta una piccola motrice a vapore ideata dal francese Louis Guillaume
Perreaux.
Naturalmente, come spesso succede, non tutti concordano su questa
priorità. Gli americani, ad esempio sostengono che Silvester Roper di
Roxbury nel Massachusset abbia costruito un veicolo a vapore a due ruote,
privo di pedali, tuttora conservato alla Smithsonian Institution di
Washington, già nel 1860, ma la data è stata oggetto di diverse
contestazioni.
Nel frattempo aveva inizio anche la sperimentazione e la costruzione dei
primi motori a combustione interna da parte di Barsanti e Matteucci in Italia,
di Lenoir in Francia, di Clerk in Inghilterra e di Otto e Langen in Germania.
Il primo veicolo a due ruote con motore a combustione interna, costruito nel
1885, con un anno d’anticipo sulla prima automobile, è il biciclo di Daimler,
un veicolo che alle due ruote principali aggiunge due ruotine laterali
stabilizzatrici, e che ha ben poco in comune con la struttura caratteristica di
una motocicletta. Il motore, monocilindrico a quattro tempi, ha un alesaggio
di 58 mm ed una corsa di 100 mm corrispondenti ad una cilindrata di 264 cc
ed una potenza di circa 0,5 CV a 600-700 giri/min.
Anche per questa priorità non mancano i contestatori. L'Inghilterra rivendica
la priorità di Edward Butler che disegna un triciclo con motore a combustione
interna nel 1884 e i disegni relativi vengono esposti in quello stesso anno in
un'esposizione, ma, in verità, l'esemplare fu costruito solo nel 1887.
Da segnalare anche il motoveicolo a tre ruote proposto dal francese Felix
Millet in un brevetto del 1888 con motore stellare rotante a cinque cilindri,
collocato nella ruota anteriore, e realizzato qualche anno dopo. Un
successivo veicolo a due ruote del 1894-95 con lo stesso motore montato
questa volta nella ruota posteriore ha partecipato alla Parigi-Bordeaux del
1895, ma si è ritirato dopo pochi chilometri.
I primi a tentare la produzione di serie di un veicolo motorizzato a due ruote
sono i fratelli Heinrich e Wilhelm Hildebrand che, con l'appoggio di Aloys
Wolfmüller e di Hans Geisenhof, fondano a Monaco la Hildebrand &
Wolfmüller per produrre una moto con un motore bicilindrico orizzontale
raffreddato da acqua. Con 90 mm di alesaggio e 117 mm di corsa per una
cilindrata complessiva di 1489 cm3 il motore sviluppa una potenza che,
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secondo alcune fonti, è di circa 1,7 CV e secondo altre di 2,5 CV a 600
giri/min.
Caratteristica peculiare di questo nuovo motore, è il collegamento diretto
delle bielle all'asse della ruota posteriore. La distribuzione utilizza un
comando delle valvole di scarico azionato da camme collocate sull'asse della
stessa ruota, mentre le valvole d’ammissione sono automatiche.
L'entusiasmo destato dalla sua apparizione nel 1894 fa raccogliere molte
prenotazioni e la produzione raggiunge il ritmo delle 10 unità giornaliere.
Anche se non sono state prodotte le 2000 unità di cui si parlava all'epoca,
sicuramente 800 furono costruite a Monaco ed una licenza di fabbricazione è
stata concessa anche in Francia, ma inconvenienti tecnici (difficoltà
d’accensione in primo piano, con il sistema a tubetto incandescente) e un
costo elevato di produzione, che sembra largamente superiore al prezzo di
vendita, portano presto la società alla chiusura. E' un "copione" che nella
storia del motociclismo troverà molte altre interpretazioni nell'ambito delle
moto di classe.
Nel 1894, George Bouton, già costruttore di un‘interessante motrice a
vapore di piccole dimensioni, viene invitato dal conte De Dion a progettare
un piccolo motore a combustione interna e l'anno successivo è già pronto il
primo triciclo con questo motore. La novità principale della piccola unità, che
con una cilindrata di soli 137 cc sviluppa mezzo cavallo, è da ricercare nel
regime di rotazione di 1800 giri/min, tre volte superiore a quello degli altri
motori costruiti nello stesso periodo.
Negli anni successivi verranno prodotti esemplari di maggiore cilindrata fino
ad un bicilindrico da 12 CV nel 1903.
La bontà del motore (che fin dalle prime unità montate sui tricicli adotta
l'accensione elettrica), la struttura semplice e razionale del veicolo e le
numerose vittorie nelle competizioni sono alla base di un grande successo
commerciale e di una schiera di imitatori.
Nel 1896, sicuramente influenzato dalle soluzioni della Hildebrand e
Wolmüller, il colonnello inglese H.Capel Holden progetta e costruisce la
prima moto con motore a quattro cilindri orizzontali e contrapposti con
trasmissione diretta del moto dalle bielle alla ruota posteriore mentre, dalla
stessa ruota posteriore, una catena trasmette il moto all'albero a camme che
comanda le valvole di scarico (quelle di ammissione sono automatiche).
Le caratteristiche di base danno un alesaggio di 54 mm ed una corsa di 115
mm (cilindrata complessiva 1054 cc) e, con un regime di rotazione di 420
giri/min, una potenza di circa 3 CV. Con ruote di piccolo diametro ed un
passo di soli 1200 mm, la letteratura dell'epoca accredita a questa quattro
cilindri un peso incredibile di soli 60 kg ed una velocità massima di circa 40
km/h. Ne verrà costruito nel 1899 un secondo modello con raffreddamento
ad acqua che verrà venduto fino al 1902 poi la produzione cesserà per difetti
analoghi a quelli della Hildebrand e Wolfmüller.
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La moto prima della guerra 1914-1918
Gli anni a cavallo del nuovo secolo e quelli immediatamente successivi
vedono la nascita di alcune delle marche che saranno fra le più prestigiose in
campo motociclistico, come la PEUGEOT e la TERROT in Francia, la NORTON,
l'ARIEL, l’EXCELSIOR, la SCOTT, la DOUGLAS e la MTCHLESS in Inghilterra,
la INDIAN e la HARLEY DAVISDON negli Stati Uniti, la NSU in Germania, la
F.N., la MINERVA e la SAROLEA in Belgio, la MOTOSACOCHE in Svizzera, la
BIANCHI e la FRERA in Italia.
In campo motoristico, con la sola eccezione della SCOTT, tutte le grandi
Case sono orientate su motori a quattro tempi, una soluzione che
sicuramente può trarre maggiori vantaggi dal contemporaneo sviluppa dello
stesso tipo di motore in campo automobilistico e aeronautico.
Le tappe fondamentali nell'evoluzione dei motori sono sicuramente quelle
relative ad un ulteriore incremento dei regimi di rotazione, che si portano fin
verso i 3000 giri/min, e delle potenze specifiche che passano dagli 8-10
CV/litro di inizio secolo ai 20 CV/litro del 1914 con punte ancora più elevate
nei modelli da competizione.
Tutto questo è dovuto ad alcune innovazioni fondamentali come l'accensione
a magnete, la nascita dei primi carburatori a spillo, l'aumento dei rapporti di
compressione, il passaggio, anche per l'ammissione, a valvole comandate (e
non più automatiche con apertura in funzione della depressione nel cilindro)
e l'introduzione di pompe di lubrificazione per la maggior parte manuali.
Una menzione particolare meritano le unità a quattro cilindri della F.N. che
trovano presto seguaci negli Stati Uniti con la PIERCE e la HENDERSON.
La trasmissione, nella maggior parte dei casi, è a cinghia e collega
direttamente l'asse motore alla ruota posteriore. La trasmissione a catena,
che si diffonde immediatamente negli Stati Uniti, in Europa è ancora
relativamente rara e nel 1914 ed è presente solo su qualche unità con
cambio a due marce. Le quattro cilindri F.N. e Pierce optano invece, in
rapporto anche alla disposizione longitudinale del motore, per un
collegamento ad albero con coppia conica finale di riduzione.
Da segnalare anche i primi tentativi di variazione continua del rapporto di
trasmissione con pulegge a diametro d’avvolgimento variabile fatti dalla
ZENITH con il modello Gradua e dalla RUDGE con il modello Multi.
Il telaio assume, nella maggior parte dei casi, la forma classica derivante
dalla bicicletta con l'inserimento del motore al posto della pedaliera e con un
raddoppio del tubo superiore. Si generalizza l'adozione della sospensione
anteriore con l'impiego di forcelle che nella maggior parte sono del tipo a
corte levette oscillanti o, più tardi, a parallelogramma, mentre sono molto
rari gli esempi di sospensioni posteriori (NSU, Indian).
Scarsa l'attenzione alla sicurezza, con freni solo sulla ruota posteriore
costituiti da un pattino agente nella gola della puleggia di trasmissione o, nei
casi di trasmissioni finali a catena, da tamburi di piccolo diametro bloccati da
nastri esterni o da ceppi interni.
L'illuminazione è affidata a fari ad acetilene il cui montaggio è assolutamente
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opzionale.
Fra i fatti più importanti in questo periodo, dobbiamo segnalare, nel 1907, la
nascita di quella che diventerà la competizione più famosa in campo
motociclistico: il Tourist Trophy inglese, vinto dalla Matchless di Charles
Collier fra le monocilindriche e dalla Norton di Rem Fowler con motore
Peugeot fra le bicilindriche.
Sempre nel 1907, abbiamo anche il record dell'americano Glenn Curtiss,
pioniere dell'aviazione, che con un motore otto cilindri a V da 40 CV a 1800
giri/min destinato ad un aereo e montato per prova su un telaio da
motocicletta, raggiunge sulla spiaggia di Daytona l'incredibile velocità di
218,864 km/h. Anche se non ufficialmente omologato, il record, di cui
parlano ampiamente i giornali dell'epoca, rappresenta la maggiore velocità
fino allora raggiunta da qualsiasi veicolo e, in campo motociclistico, verrà
superato solo negli anni Trenta.
Sempre nel campo dei motoveicoli da competizione, dobbiamo ricordare la
prima comparsa delle quattro valvole radiali per cilindro sui motori Alcyon
del 1912 e l’originale bicilindrico Peugeot del 1914 con doppio asse a
camme in testa e quattro valvole per cilindro disposte a tetto secondo la
soluzione che lo stesso progettista, lo svizzero Henry, aveva sviluppato due
anni prima per i motori a quattro cilindri della vettura Peugeot L 76
dominatrice nelle corse in Francia e vincitrice con Emil Goux a Indianapolis
nel 1913.
Le novità del dopoguerra
Durante il primo conflitto mondiale, la moto è impiegata sia in versione
sciolta per mansioni di collegamento (porta ordini) che in versione con
sidecar. Quest’ultima configurazione è utilizzata, oltre che per unità dotate di
mitragliatrici, anche per il trasporto di feriti e per portare alti ufficiali in zone
non accessibili alle autovetture.
La ripresa produttiva dopo la guerra è affidata inizialmente a modelli che
ripropongono quelli in costruzione nel 1914-15, ma ben presto iniziano ad
affermarsi nuove realtà produttive.
In Italia nel 1919 appare la rivoluzionaria Garelli 350 a due tempi, frutto di
uno studio fatto negli anni di guerra, che, con il cilindro sdoppiato, introduce
un sistema di lavaggio unidirezionale molto più efficiente di quelli allora in
uso.
Nel 1921 nasce la Moto Guzzi con un innovativo motore a cilindro orizzontale
che presenta un rapporto corsa/alesaggio sottoquadro, in netto contrasto
con la tendenza in atto di motori a corsa lunga, e una lubrificazione forzata
con doppia pompa di mandata e ricupero, mentre nelle altre moto abbiamo
ancora lubrificazione a perdita con pompe a mano o con sistemi automatici
di dosaggio del lubrificante.
La distribuzione, che nel prototipo iniziale è monoalbero a quattro valvole,
sarà sostituita nella produzione di serie, per motivi economici, da un sistema
a valvole contrapposte.
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In Germania nasce la BMW con motori bicilindrici contrapposti su moto che si
distingueranno anche negli anni a seguire per originalità, livello di finitura e
grande affidabilità meccanica e, sempre in Germania, si sviluppa
l’applicazione del motore a due tempi alle piccole cilindrate con inediti
schemi costruttivi.
Questi sono anche gli anni del grande sviluppo dell'industria motociclistica
britannica che, pur non cercando schemi troppo innovativi (il contrapposto
ABC, il quattro valvole Triumph R e il quattro valvole radiale Rudge sono le
principali innovazioni di rilievo), raggiunge elevati livelli produttivi grazie ad
un prodotto qualitativamente molto curato e ad un'abile politica
commerciale. Sunbeam, Norton, Rudge, Velocette, B.S.A., Triumph e Ariel
sono i nomi di punta dello schieramento inglese.
Negli Stati Uniti, la Harley-Davidson esce rinforzata da una guerra che l'ha
vista fornitrice dell'esercito americano. I suoi modelli, come quelli
dell’Indian, sua diretta concorrente, vengono perfezionati e sono fra i primi a
montare un impianto elettrico di serie.
Nel campo delle quattro cilindri, si affermano Henderson, A.C.E. e Cleveland,
ma le difficoltà derivanti da prezzi vicini a quelli di automobili di buon livello
e la crisi finanziaria del 1929 segnano praticamente la fine di questo settore
con la sola A.C.E. che sopravvive dopo essere stata assorbita dalla Indian.
Da un punto di vista tecnico, per quanto riguarda i motori, sono da
segnalare il passaggio dalle valvole laterali alle valvole in testa soprattutto
per i modelli sportivi mentre nei motori da competizione si affermano, nella
seconda metà degli anni Venti, modelli con distribuzione monoalbero.
L'Italia è in certo qual modo all'avanguardia con il bialbero Bianchi 350 nato
nel 1923 e con la riapparsa, nel 1924, sulle Moto Guzzi 500 da competizione,
della distribuzione monoalbero a quattro valvole. In Inghilterra, la Matchless
è la prima ad adottare una distribuzione monoalbero seguita dalla Velocette,
che adotta il monoalbero sulle 350 serie K del 1925 e dalla Norton che lo
impiega sui modelli CS1 e CJ, disegnati da Walter Moore, nel 1927.
Sui motori di serie scompare progressivamente negli anni Venti la
lubrificazione a perdita per lasciare il campo alla lubrificazione forzata. I
rapporti di compressione, per i motori di serie, salgono, con le valvole in
testa attorno a valori di 6:1 e le potenze specifiche passano dai 20-25
CV/litro dell'inizio degli anni Venti ai 30-35 CV della fine degli anni Trenta.
Valori più elevati vengono raggiunti dai modelli da competizione, che
impiegano carburanti speciali e possono quindi avvalersi anche di rapporti di
compressione più elevati, con punte di potenza specifica, alla fine del
periodo in esame, di 50-60 CV/litro.
Nel settore delle trasmissioni, dopo la scomparsa della cinghia, si generalizza
l'impiego di cambi a tre marce e fanno la loro apparizione anche diversi
cambi di velocità a quattro marce. Si tratta in generale di cambi separati con
trasmissione primaria a catena dal motore al cambio (a secco o a bagno
d'olio), ma non mancano esempi di cambio in blocco (come sulle Moto
Guzzi). Verso la fine degli anni Venti, il comando a mano lascia il campo al
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comando a pedale con selettore.
Poche le novità nei telai, se si eccettuano le modifiche alla parte superiore
quando i serbatoi "sottocanna" lasciano il posto a quelli a sella. Da segnalare
anche l'introduzione della sospensione posteriore sulle Moto Guzzi G.T. nel
1928.
Maggiore, in rapporto alle più elevate velocità e ad una maggiore densità di
traffico, l'importanza data agli impianti di frenatura. Dopo un periodo di
presenza del solo freno posteriore (talvolta integrato all'anteriore da freni a
cerchietto), nella seconda metà degli anni Venti si generalizzano i freni a
tamburo sulle due ruote.
Si tratta, in generale, di tamburi in lamiera di piccolo diametro, chiodati al
mozzo o fusi in ghisa (soprattutto il posteriore quando deve portare gli
attacchi della corona di trasmissione).
Da segnalare anche qualche esempio di freni a comando integrato (Rudge).
Alla fine degli anni Venti, si generalizza anche in Europa l'adozione di un
impianto d’illuminazione elettrico con batteria a bordo e di sistemi di ricarica
con dinamo separate o in blocco con il magnete.
La velocità massima delle moto di serie passa dagli 80-90 km/h del 1919 ai
120-130 km/h alla fine degli anni Venti.
La moto negli anni Trenta
All'inizio degli anni Trenta, il mercato europeo presenta una vasta gamma di
modelli che vanno dalle piccole motoleggere con motore a due tempi a
modelli di grossa cilindrata che, nella maggior parte dei casi, hanno motori
monocilindrici a quattro tempi da 500 cm3 o al massimo di 600 cm3 per le
unità destinate all'accoppiamento ad un sidecar.
Fra le più importanti eccezioni a questa regola, possiamo citare le
bicilindriche contrapposte della BMW, le bicilindriche a V di Brough Superior,
H.R.D.-Vincent, A.J.S. e B.S.A., il bicilindrico parallelo di Triumph e l'Ariel
Square Four 1000 con due alberi a gomito accoppiati ed i quattro cilindri
verticali disposti in quadrato.
Il mercato USA, dopo la crisi del 1929 che ha portato alla chiusura di molte
fabbriche, è più che mai imperniato sul binomio Indian Harley-Davidson,
pure non esenti da problemi di carattere economico.
Dal punto di vista dell'evoluzione tecnica, il periodo che va dal 1930 all'inizio
del secondo conflitto mondiale non presenta, per i motori di serie grandi
novità, se si eccettua un passaggio sempre più netto dalle valvole laterali
alle valvole in testa anche nei motori a quattro tempi dei modelli da turismo,
la già citata introduzione del bicilindrico parallelo operata dalla Triumph e,
nei due tempi, l'applicazione da parte della DKW del sistema di lavaggio a
correnti tangenziali (tipo Schnürle) che caratterizzerà poi tutta la produzione
duetempistica negli anni successivi alla seconda guerra mondiale.
Le potenze specifiche alla fine degli anni Trenta toccano per i motori di serie
i 35-40 CV litro.
Nel settore delle trasmissioni, si diffondono i cambi a quattro marce ed il
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comando a pedale mentre, per quanto concerne la ciclistica, le novità più
importanti sono senz'altro la comparsa della forcella telescopica sulle BMW
(a cominciare dal modello R 12 del 1935) e la generalizzazione delle
sospensioni posteriori nella seconda metà degli anni Trenta, con una
marcata preferenza per soluzioni a scorrimento verticale o a "ruota guidata"
(forcellone oscillante con guide nel telaio e molle separate). Le velocità
massime su modelli in vendita toccano, all’inizio del 1940, i 135-140 km/h.
Grandi novità nelle moto da competizione
A fronte di una relativamente contenuta innovazione nei modelli di serie,
abbiamo invece una prorompente evoluzione dei modelli da competizione.
La novità principale è quella offerta dalla sovralimentazione. Sperimentata
inizialmente verso la fine degli anni '20 su qualche modello da record, negli
anni '30, soprattutto in Italia ed in Germania, si diffonde sui modelli da
competizione.
I più importanti, fra i motori a quattro tempi, sono il quattro cilindri Rondine
(poi Gilera) che adotta un compressore volumetrico tipo Roots, il bicilindrico
BMW con un volumetrico a palette calettato direttamente sulla parte
anteriore dell'albero motore ed il monocilindrico Moto Guzzi 250 dove le
prove portano all'inserimento di un polmone di grande capacità fra motore e
compressore per compensare la discontinuità ciclica tipica dell'alimentazione
di un monocilindrico quattro tempi.
In Inghilterra, oltre che sui motori di grossa cilindrata destinati alla
conquista del record assoluto, la sovralimentazione, provata anche dalla
Velocette su un bicilindrico in linea, verrà impiegata in corsa solo nel 1939
su un quattro cilindri realizzato dalla A.J.S. per il campionato europeo.
Non mancano, comunque, schemi originali anche fra i motori che rinunciano
alla sovralimentazione per puntare a veicoli più semplici e leggeri, come nel
caso della bicilindrica della Moto Guzzi o del bialbero 250 della Benelli.
Da segnalare anche la grandissima varietà di schemi tentati dalla DKW sui
due tempi sovralimentati che, sempre con motori a cilindro sdoppiato e
manovellismo biella-bielletta, vanno dal compressore con pistone pompa,
controllato da lamelle o da valvola rotante, al compressore volumetrico.
Le potenze specifiche dei modelli da competizione nel 1940 toccano i 150-
160 CV/litro per i motori sovralimentati e i 90-100 CV/litro per i motori non
sovralimentati (anche questi comunque agevolati dalla libertà del carburante
che consente rapporti di compressione fino a valori di 10:1 ed anche oltre).
A fronte di una relativa stasi innovativa nei modelli da competizione
dell'industria britannica, le industrie italiane e tedesche ottengono importanti
vittorie anche nella gara più esclusiva per gli inglesi: il Tourist Trophy
dell'Isola di Man. Infatti, dopo la doppia affermazione della Moto Guzzi (250
e 500) con Stanley Woods nel 1935 e quella di Omobono Tenni (Moto Guzzi
250) nel 1937, abbiamo quella della DKW di Sigfried Wunsche nelle 250
(1938) e quella clamorosa di George Meier (BMW 500) nel 1939.
Come vedremo anche in seguito, gli anni 1930-1937 continuano quella che
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può essere definita come l'epoca d'oro dei grandi records mondiali il cui
significato, come quello di molte vittorie sportive di grande prestigio, tende
ora ad assumere anche chiare valenze politiche.
Poi, il conflitto mondiale, oltre a paralizzare ogni attività sportiva, porta
anche alla sospensione delle produzioni di serie lasciando spazio solo a moto
per impiego bellico. Fra queste ultime, accanto a moto di serie con piccole
modifiche, troviamo unità costruite in funzione di specifiche esigenze
d’impiego tattico. Tipici esempi di questi modelli speciali sono le
motocarrozzette a trazione integrale BMW e Zündapp, destinate ad operare
su terreni ad aderenza ridotta come le nevi di Russia o le sabbie dei deserti
del Nord Africa, e le piccole unità pieghevoli e paracadutabili sviluppate
dall'industria inglese.
La motorizzazione popolare
La ripresa dopo la parentesi bellica avviene in un periodo di marcate
ristrettezze economiche e pertanto la motorizzazione individuale,
indispensabile anche per sopperire alle grandi deficienze nei trasporti
pubblici, non può che essere affidata a mezzi di piccola cilindrata con costi
contenuti.
Le tre tipologie principali sono costituite dai motori ausiliari, dalle
motoleggere con cilindrate fino a 125 cm3 e dagli scooter. I primi motori
ausiliari a grande diffusione sono, in questo periodo, il Mosquito della
GARELLI in Italia e il Velosolex in Francia, mentre fra le motoleggere il
primato di diffusione va alla Moto Guzzi 65, il popolare "Guzzino". Negli
scooter, alla Vespa della Piaggio si contrappone la Lambretta della Innocenti.
Il loro grande successo, oltre ad innegabili doti in termini di praticità di
impiego, è dovuto soprattutto ai prezzi resi possibili da un'impostazione
industriale delle produzioni in contrasto con quella ancora sostanzialmente
artigianale di molte motoleggere.
Sono questi gli anni di un netto predominio dell'industria italiana, meno
danneggiata dai bombardamenti e quindi agevolata da condizioni più
favorevoli per la ripresa di quanto non fosse quella inglese o tedesca ed
anche, negli anni successivi, dalla tendenza dell'industria britannica a
disinteressarsi delle piccole cilindrate per concentrarsi sulle grandi e da una
maggiore attenzione dell'industria tedesca, ripresasi in tempi più lunghi, alla
produzione automobilistica che a quella motociclistica.
Nell'ambito del ventennio considerato, il motorino ausiliario lascia presto il
campo a ciclomotori con telaio elastico e con cambi a due o tre marce per
tendere, alla metà degli anni Sessanta a soluzioni con variatore continuo.
Le motoleggere presentano, in particolare sul mercato italiano, un rapido
passaggio dai motori a due tempi a quelli a quattro tempi ed un aumento
delle cilindrate da 125 a 175 cc. Anche negli scooter abbiamo un aumento
delle cilindrate fino a 200 cc, ma i motori sono sempre a due tempi ed i
modelli più diffusi diventano quelli con una cilindrata di 150 cc, sufficiente a
consentire l'accesso alle autostrade.
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Le moto di grossa cilindrata, trascurate in Italia dove si continuano, con
alcuni perfezionamenti, modelli anteguerra, trovano sviluppo in Inghilterra
dove le bicilindriche, che si affacciano anche sul mercato Nordamericano,
aumentano le loro cilindrate fino a 650 cc, e in Germania con l'evoluzione dei
modelli BMW.
Da un punto di vista tecnico, in campo motoristico sono da segnalare una
maggiore frequenza di distribuzioni con assi a camme in testa anche su unità
di piccola cilindrata, l'introduzione da parte della Ducati della distribuzione
desmodromica e la comparsa dell'avviamento elettrico su alcuni scooter con
gruppi dinamotore.
Le potenze specifiche dei motori di serie sono particolarmente elevate
nell'ambito delle piccole cilindrate dove, alla metà degli anni Sessanta si
raggiungono gli 80-90 CV/litro.
Nel campo della ciclistica, sulla scia degli sviluppi delle bicilindriche inglesi, si
generalizza l'adozione di telai a doppia culla con telescopica anteriore e
forcellone oscillante posteriore dotato di elementi molla-ammortizzatore
idraulico sviluppati da ditte specializzate. Nei freni assistiamo ad una
progressiva diffusione di tamburi centrali in lega leggera.
La velocità massima delle moto di serie alla metà degli anni Sessanta è
attorno ai 180 km/h.
I cambiamenti nelle moto da competizione
Il dopoguerra segna anche la ripresa in grande delle competizioni dove è
stata abolita la sovralimentazione. Dominano, in questo periodo, i motori a
quattro tempi e fra gli esemplari più importanti sono da ricordare
inizialmente le quattro cilindri Gilera ed MV, le bicilindriche Moto Guzzi ed
A.J.S. e le monocilindriche Norton Manx, con il loro eccezionale telaio
elastico, fra le 500. Le monocilindriche Moto Guzzi e Benelli e la biciclindrica
NSU si distinguono nelle 250 e le monocilindriche Mondial, Morini, MV ed
NSU nelle 125.
Alla metà degli anni Cinquanta le potenze specifiche delle moto da
competizione raggiungono i 130 CV/litro per le 500 ed i 150 CV/litro per le
125.
Con l'innovativa “Otto cilindri” della Moto Guzzi la potenza specifica di una
500 si avvicina ai 150 CV litro, mentre nelle piccole cilindrate cominciano ad
affacciarsi le nuove due tempi MZ a disco rotante, che nel 1958 hanno, nella
125, una ventina di CV (160 CV litro), ma sarà solo nel 1962 che un motore
a due tempi vincerà il suo primo mondiale con la Suzuki 50 guidata dal pilota
e tecnico Ernst Degner, che aveva lasciato la MZ, seguita l'anno dopo dalla
Suzuki 125 guidata da Hugh Anderson.
Gli anni Sessanta vedono il frazionamento della cilindrata toccare limiti
impensabili nei modelli Honda con un’unità a due cilindri, distribuzione
bialbero e quattro valvole per cilindro su una 50 cm3 nel 1964, che ruota a
20.000 giri/min, e con un cinque cilindri 125 l'anno successivo toccando
limiti di potenza attorno ai 300 CV/litro, un valore allora impensabile anche
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se riferito all'albero motore e non più alla ruota come si usava in ambito
europeo.
Sempre nel campo delle competizioni è da segnalare l'impulso dato dalla
galleria del vento della Moto Guzzi allo sviluppo di carenature, che
consentono notevoli incrementi delle velocità massime, e la conseguente
rapida generalizzazione del loro impiego. Importante anche l'affermarsi di
una più netta specializzazione dei "fuoristrada" nelle tre diverse tipologie:
motocross, enduro e trial.
Nel campo del record assoluto, l'attività subisce un rallentamento, ma è
importante ricordare i brillanti risultati conseguiti dalla NSU nel 1956 sul
Lago Salato dove la massima velocità è stata portata da Herz ad oltre 338
km/h e dove sono stati conseguiti altri importanti primati anche nelle minori
cilindrate con gli speciali veicoli a ridotta sezione frontale e pilota sdraiato
ideati da Gustav Adolf Baumm.
Il dominio delle moto giapponesi
Nella seconda metà degli anni Sessanta assistiamo ad un rapido declino della
tradizionale industria motociclistica europea. L'aumento del potere d'acquisto
e il grande sviluppo dell'industria automobilistica contribuiscono ad assestare
il colpo di grazia ad un’industria che, nata in tempi lontani, non aveva mai
saputo, salvo rare eccezioni, impostare programmi a lunga scadenza che le
consentissero quell’ industrializzazione del prodotto che era indispensabile
per ridurre i costi.
L'offensiva dell'industria giapponese che si scatena sui mercati alla fine degli
anni Sessanta trova quindi un terreno estremamente favorevole.
Si salvano solo poche zone protette, come l'Italia, da forti dazi doganali e le
produzioni di scooter e di ciclomotori, impostate su una più solida base
industriale.
Armi principali della penetrazione nipponica, sapientemente annunciata da
una netta supremazia nelle competizioni, sono: la mancanza di preclusione
nei confronti di schemi meccanici anche complessi, un'attenzione scrupolosa
alle specifiche esigenze dei diversi mercati con uno studio dettagliato di tutti
i settori, compresi quelli di nicchia, ed una spinta industrializzazione del
prodotto che porta a prezzi estremamente competitivi.
Partita nel Sud Est asiatico e negli Stati Uniti, l'offensiva giapponese si
trasferisce presto nell'America Latina ed in Europa dove a farne le spese è
soprattutto l'ormai agonizzante industria britannica. L'ascesa è rapidissima e
nel 1981 vengono prodotti in Giappone oltre sette milioni e mezzo di unità.
Un ridimensionamento del mercato americano porterà comunque negli anni
successivi la produzione a livelli decisamente più bassi.
Fra i pochissimi produttori di moto di grossa cilindrata che sopravvivono, sia
pure su livelli produttivi di ordine completamente diverso, sono da citare la
BMW in Germania, l'Harley-Davidson negli USA e la Moto Guzzi, con le V7, e
la Ducati in Italia.
A questi si deve aggiungere l’Aprilia che, dopo il successo delle sue due
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tempi da competizione, entrerà anche nel campo delle grosse cilindrata
assumendo anche l’onero del rilancio della Moto Guzzi e della Laverda, prima
di essere lei pure vittima di difficoltà finanziarie e di passare con questi
marchi nell’ambito del gruppo Piaggio.
Da un punto di vista tecnico, le principali innovazioni portate dall'industria
giapponese sono: l'introduzione di unità pluricilindriche di serie con motore
a quattro tempi con distribuzione ad assi a camme in testa e quattro o
cinque valvole per cilindro, il perfezionamento nei motori a due tempi con
largo impiego di ammissioni a lamelle, del raffreddamento ad acqua e di
valvole di controllo allo scarico, l'adozione di pneumatici di maggior sezione
e con nuove mescole per migliorare l'aderenza trasversale, e di conseguenza
quella di telai dotati di maggiore rigidità torsionale, il perfezionamento nelle
sospensioni con unità posteriori ad azione progressiva e forcelle anteriori con
dispositivi anti-dive, l'adozione in serie dei freni a disco e la generalizzazione
dell'avviamento elettrico.
Sulla scia di quanto avviene nell'auto negli anni Ottanta, le Case giapponesi
tentano anche la via della sovralimentazione con turbocompressore anche
sui motori da moto, ma sarà un'esperienza di breve durata per la maggiore
facilità di ottenere le stesse prestazioni, senza sensibili penalizzazioni in
termini di peso e con costi inferiori, ricorrendo semplicemente a motori
aspirati di maggiore cilindrata.
In questi anni, caratterizzati da un indirizzo sempre più sportivo della
motocicletta, assistiamo anche ad una sempre maggiore specializzazione dei
modelli, con un filone “entro-fuori strada” ispirato ai grandi Rallies africani
ed un altro più marcatamente stradale, con unità completamente carenate,
chiaramente ispirate alle moto da Gran Premio od alle Superbikes.
Nelle cilindrate minori, un eccesso di sofisticazione porta le moto a prezzi
proibitivi lasciando sempre maggior margine allo scooter che, anche in
funzione di leggi specifiche, come quella sul casco, si sviluppa dapprima
soprattutto nel settore con motori da 50 cm3 e poi anche con unità di media
e grossa cilindrata.
Negli anni Ottanta, l'elettronica fa il suo ingresso anche in campo
motociclistico, oltre che nelle accensioni, dove era già presente con unità a
scarica capacitiva, anche con sistemi combinati di accensione ed iniezione.
Oltre a quanto messo in atto dai costruttori giapponesi, in Europa abbiamo il
Bosch Motronic, impiegato sulle pluricilindriche BMW (che controlla anche la
sonda Lambda del catalizzatore sullo scarico) e il Weber-Marelli impiegato da
Moto Guzzi e Ducati.
Da segnalare anche l’intervento dell’elettronica nel controllo della valvola allo
scarico sui motori a due tempi, nell'autoregolazione delle sospensioni in
qualche unità da competizione e nei sistemi ABS di controllo della frenata.
La moto oggi
Le potenze delle moto di serie, che già avevano toccato livelli prossimi ai
260-280 CV/litro nelle sofisticate 125 due tempi di qualche anno fa, sono
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oggi attorno ai 150-160 CV/litro per le quattro cilindri quattro tempi, con
velocità massime largamente superiori ai 250 km/h e con punte di 300.
Per quanto concerne le tipologie, oltre alla continuazione della tendenza
verso la moto sportiva, con un sensibile declino per le versioni da
fuoristrada, è da segnalare un recente indirizzo verso moto nude con motori
di cilindrata inusitata come il Triumph tre cilindri in linea Rocket III da 2294
cm3 o il bicilindrico a V Kawasaki VN 2000 con motore di 2053 cm3, che
hanno largamente superato i 1450 cm3 della Electra Glide Ultra Classic
Harley-Davidson ed anche i 1832 cm3 del sei cilindri boxer della Honda Gold
Wing.
Un’altra delle formule più recenti è quella delle “motard”, con telai e aspetto
tipico da fuoristrada accoppiati a ruote stradali e motori monocilindrici di
media cilindrata. La loro diffusione ha portato anche alla creazione di modelli
potenziati (“supermotard”) e di apposite competizioni.
Nel settore dei motori da competizione, fin dal 1974, anche con la complicità
della limitazione del numero dei cilindri imposta dalla FIM, tutti i Mondiali,
fino al 2001 sono stati vinti da motori a due tempi. L'approfondimento degli
studi sulla dinamica delle reciproche influenze di aspirazione e scarico ha
portato, infatti, ad ottenere pressioni medie effettive di un livello che fino a
qualche anno fa era esclusivo dei motori a quattro tempi e così, con un ciclo
utile per giro, si possono avere potenze massime elevate anche a regimi non
particolarmente alti.
Oggi, le potenze specifiche dei motori a due tempi da Gran Premio delle
classi 125 e 250 sono attorno ai 360-380 CV/litro mentre quelle delle
quattro tempi della Formula GP, varata nel 2002, sono dell’ordine dei 240-
250 CV/litro e quelle dei quattro tempi per le Superbikes, più vincolate dai
regolamenti, sono comunque oltre i 170-180 CV/litro.
I record di velocità
Nel campo dei record, è l’americano Don Vesco a stabilire più volte i nuovi
record assoluti portando il limite per veicoli con trazione sulle ruote a
512,746 Km/h nel 1978. Meglio di lui hanno fatto l’americano Dave Campos
nel 1990, portando il record a 518,449 km/h con un veicolo dotato di due
motori Harley-Davidson da 1491 cm3 ciascuno e l’americamo Sam Wheeler,
il 19 agosto 2004, con il veicolo E-Z.Hook dotato di un motore Kawasaki
sovralimentato di 1107 cm3 e di un coefficiente di resistenza aerodinamica
pari a 0,1007, il più basso finora riscontrato, portando il record a 534,847
km/h. Velocità di gran lunga superiori e prossime alla velocità del suono
sono state raggiunte da veicoli a tre ruote che sono dei veri e propri
aerogetti senz’ali, ma riteniamo che queste esibizioni, benché omologate
dalla F.I.M. abbiano ben poco a che vedere con le moto. Per questo motivo
limitiamo la nostra tabella delle massime velocità motociclistiche ai soli
mezzi con trazione su ruota.
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LE PIÙ ALTE VELOCITÀ RAGGIUNTE DAL 1900 CON TRAZIONE SU
RUOTA
Anno Pilota Marca Cilindrata Località Media (km/h)
1901 Rigal Darraq 1400 Achères (F) 108,433
1902 Rigal Darraq 1727 Achères (F) 109,090
1904 Lanfranchi Peugeot 1489 Dourdan (F) 123,287
1905 Giuppone Peugeot 1489 Ostenda (B) 132,352
1905 Cissac Peugeot 1489 Blackpool (GB) 140,625
1907 Curtiss Curtiss V8 - Daytona (USA) 218,864
1914 S.George Indian 1000 Brooklands (GB) 152,44
1920 E.Walker Indian 1000 Daytona (USA) 166,67
1920 Parkhurst Harley-Dav. 1000 Daytona (USA) 168,466
1923 C.F.Temple British-Anzani1000 Brooklands (G.B.) 174,58
1923 J.Wudverton A.C.E. 1300 Filadelfia (USA) 204,80
1924 H.Le Vack Brough Sup. 1000 Arpajon (F) 191,59
1924 F.Ludlow Henderson 1300 Daytona (USA) 215,51
1926 C.F.Temple OEC Temple 1000 Arpajon (F) 195,39
1928 O.Baldwin Zenith-JAP 1000 Arpajon (F) 200,56
1929 H.Le Vack Brough Sup. 1000 Arpajon (F) 207,73
1930 G.S.Wright OEC Temple 1000 Arpajon (F) 216,48
1930 G.S.Wright OEC Temple 1000 Arpajon (F) 220,99
1930 E.Henne BMW 750 Monaco-Ingolstadt 221,54
1930 G.S.Wright OEC Temple 1000 Cork (IR) 242,59
1933 Henne BMW 750 Tat (H) 244,4
1934 Henne BMW 750 Gyon (H) 246,069
1936 Henne BMW 500 Frankfurt (D) 272,006
1937 Fernihough Brough.Sup. 1000 Gyon (H) 273,244
1937 Taruffi Gilera 500 Brescia-Bergamo (I) 274,181
1937 Henne BMW 500 Frankfurt (D) 279,503
1951 W.Herz NSU 500 Monaco-Ingolst. (D) 290
1955 R.Wright Vincent HRD 1000 Christchurch (NZ) 297,640
1956 W.Hertz NSU 500 Bonneville (USA) 338,092
1965 B.Johnson Triumph Sp. 750 Bonneville (USA) 361,4
1966 R.Leppan Triumph 2x650- Bonneville (USA) 395,3
1970 Don Vesco Yamaha 2x350 Bonneville (USA) 405,543
1970 C.Rayborn Harley Dav. 2x925 Bonneville (USA) 424
1974 Don Vesco Yamaha 2x750 Bonneville (USA) 453,278
1975 Don Vesco Yamaha 2x750 Bonneville (USA) 487,078
1978 Don Vesco Kavasaki 2x1016 Bonneville (USA) 512,746
1990 Dave Campos Harley Dav. 2x1491 Bonneville (USA) 518,449
2004 Sam Wheeler Kawasaki 1107 Bonneville (USA) 534,847
I record in corsivo non hanno omologazione F.I.M. Quelli americani, tranne il record di Curtiss del
1907, hanno omologazione A.M.A. o di altre associazioni riconosciute
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