La Ghezzi-Brian Fionda ti riporta agli Anni '70, quando le cafe-racer facevano bella mostra di sé fuori dai locali. Come da tradizione, la sella è rigorosamente monoposto, alta e ha un'imbottitura dura che aiuta il pilota a "sentire" meglio la moto. La posizione di guida è obbligata, perché il rialzo posteriore del sellino costringe a stare vicino al serbatoio. L'impugnatura del manubrio è lontana, oltre che bassa, spiovente e chiusa, per cui la schiena si trova a essere inclinata e il suo peso grava totalmente su avambracci e polsi. Le pedane sono correttamente arretrate, ma piuttosto basse, di conseguenza le gambe restano rilassate e le ginocchia troppo distese. Un appunto: con il busto così vicino al manubrio, le pedaline dovrebbero essere più alte.
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In puro stile Anni '70 e assolutamente minimalista, il quadro strumenti è costituito unicamente dal contagiri analogico rotondo, con un grintoso quadrante bianco. Del tutto assenti le spie, riserva compresa. Abbastanza funzionali i blocchetti elettrici, anche se, su quello di sinistra, la posizione dei pulsanti delle frecce e del clacson è invertita rispetto al solito. La regolazione della distanza dalla manopola è presente su entrambe le leve (freno e frizione), come sulle più moderne sportive.
Non occorre molto sforzo per muovere la Fionda a motore spento, perché la moto è veramente leggera. L'angolo di sterzo, però, è ridottissimo e bisogna fare innumerevoli manovre per svoltare negli spazi ristretti: tra l'altro, quando il manubrio è girato tutto da una parte, il palmo della mano viene a trovarsi chiuso tra la manopola e il serbatoio (se poi si tratta della destra, diventa anche difficile usare il gas). La stampella laterale (il cavalletto centrale non è previsto), è facile da estrarre ma difficile da ritrarre: la sua distanza dalla sella e la mancanza della leva di ritrazione obbligano il motociclista a protendersi quanto più è possibile con il piede. I retrovisori offrono un buon campo visivo, ma quando il motore è acceso vibrano un po'. Molto efficace l'avvisatore acustico. Peccato che questa muscolosa sportiva non abbia spazio per i piccoli oggetti: anche i documenti della moto vanno tenuti addosso. Altro appunto: la mancanza della spia della riserva, del rubinetto della benzina e del contachilometri rende difficile valutare l'autonomia residua.
E passiamo ora al propulsore. Il bicilindrico a V di 90° trasversale di 1064 cc, è l'ormai noto V11 di Casa Guzzi: alimentato a iniezione elettronica, ha teste a 2 valvole e raffreddamento ad aria. Nel caso della Ghezzi-Brian, però, si è lavorato sulla mappatura della centralina elettronica per migliorarne le prestazioni: il motore di Mandello è quindi più aggressivo. Il V11 si avvia prontamente con il classico scuotimento di tutto il mezzo, tipico dei due cilindri Guzzi. E, particolare di queste moto, a ogni colpo di gas la Fionda tende a inclinarsi a destra a causa della coppia di trascinamento del propulsore. Una volta acceso, il V11 ha un minimo leggermente zoppicante, intorno ai 1100 giri/minuto. Diversamente da quelli giapponesi, a volte perfetti sino alla noia, il due cilindri di Mandello sembra avere vita propria. Il suono dello scarico è decisamente pieno e grintoso, la rumorosità meccanica elevata, soprattutto a causa del cardano e della frizione: questa, stranamente, sferraglia quando la leva è tirata, esattamente al contrario dei motori Ducati. Ovviamente, non ci si devono aspettare prestazioni esasperate: la potenza è ben inferiore a quella dei quadricilindrici di pari cilindrata. Le accelerazioni sono vivaci ma non brucianti.
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In compenso, l'erogazione è molto lineare: la spinta cresce progressivamente superati i 2200 giri/minuto, regime oltre il quale si può aprire il gas a fondo senza incertezze del motore. La scalata dell'ago del contagiri verso la zona rossa è interrotta a "quota 8000" dall'intervento del limitatore: ma è preferibile cambiare marcia intorno ai 7000, perchè oltre i giri aumentano con molta meno verve. Il propulsore non entusiasma per l'allungo, ma la spaziatura delle marce gli permette comunque di avere un certo respiro nell'andatura. Le riprese conquistano senza riserve: la notevole coppia massima a bassissimo numero di giri dà molto carattere a questo bicilindrico. C'è veramente gusto a utilizzare i regimi medio-bassi, quelli che più si usano in strada. E raggiunto il punto centrale del contagiri basta aprire il gas per schizzare in avanti. Non occorre usare molto le marce: se il percorso lo permette, si può inserire la terza o la quarta e guidare semplicemente "giocando" con l'acceleratore. Quanto al cambio, è la parte della moto che ci piace meno (questi dispositivi marchiati Guzzi hanno bisogno di almeno 2000 chilometri per funzionare al meglio e l'esemplare della prova ne ha solo poche centinaia all'attivo): ogni cambio marcia è molto laborioso e difficoltoso (la tendenza a "fare scalino" ne limita inoltre la precisione), gli innesti sono lenti, rumorosi e vanno anticipati da un paio di decisi colpi di acceleratore. La corsa della leva è poi piuttosto lunga e bisogna accompagnarla sino in fondo per non incappare in sfollate. La frizione, dal canto suo, è pastosa negli attacchi, ma la leva è veramente dura da azionare e quando si guida nel traffico la mano si stanca molto presto. Il cardano, invece, svolge un lavoro egregio: morbido nel trasmettere il moto, non strappa e non s'impunta nemmeno se si usa l'acceleratore oppure il cambio con decisione. Con un minimo di gas al rilascio della frizione, anche le scalate più violente vengono "digerite" dalla trasmissione senza drammi.
Su strada, la Fionda è coinvolgente e assicura una montagna di emozioni. E' una moto che richiede una condotta aggressiva e decisa, ma ripaga con sensazioni uniche. Certo, non è una bicilindrica da passeggio: il divertimento arriva con le andature vivaci, che richiedono però impegno fisico e azioni energiche sul manubrio. Si tratta di un mezzo prettamente sportivo, che soffre lontano dai "suoi" percorsi: le strade tutte curve. La Fionda non ama la città: ha poco sterzo, sospensioni rigide, frizione dura e cambio capriccioso. Questa Ghezzi-Brian è dedicata ha chi in moto ci sa andare davvero.
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Forte di una ciclistica a dir poco rigorosa, scende in piega rapidamente e si arresta come per incanto all'inclinazione ideale. Sullo stretto, bisogna usare un piccolo accorgimento per esaltare le doti del telaio. Se si entra infatti in curva con un po' di motore, è leggermente dura da inclinare avvicinandosi all'angolo massimo di piega: in questo caso basta lasciarla scorrere in mezzo alla svolta a gas chiuso e diventa subito docile agli ordini del pilota. La stabilità è eccellente: è raro guidare una moto con questo assetto. Per forza, la forcella Marzocchi e il monoammortizzatore Öhlins sono sospensioni da competizione, rigide e coordinate tra loro: riassorbono in un batter d'occhio qualsiasi imperfezione del fondo stradale e mantengono la Fionda come su una rotaia, sul rettilineo e in piega. Altro punto di forza della moto è la neutralità di comportamento: in uscita di curva la bicilindrica non allarga rispetto alla traiettoria impostata. L'agilità è molto buona, anche grazie alla leggerezza del mezzo: se le pedane fossero un po' più alte per sfruttare meglio la spinta dei piedi, la maneggevolezza sarebbe di prim'ordine. Ottime le doti di inclinazione: con la Fionda si può piegare a volontà senza che si corra il rischio di toccare l'asfalto con le pedane o altre parti della moto.
Per quanto riguarda i freni, la cafe-racer lombarda merita la lode. L'impianto anteriore è decisamente racing: due dischi di grande diametro, pinze a 4 pistoncini e 4 pastiglie con attacco radiale, pompa freno radiale. E' naturale che la frenata davanti sia potentissima, immediata e modulabile: in più, è sufficiente la forza di un solo dito per ottenere spazi d'arresto davvero ridotti. Il disco posteriore "wave", dal caratteristico profilo a onda (da qui il nome) non è da meno e si blocca solo quando lo decide il pilota. Inoltre, la poderosa forcella Marzocchi limita moltissimo il trasferimento di carico sull'anteriore: così l'assetto è stabile anche nelle staccate più cattive.
Anche gli pneumatici Dunlop D208 di primo equipaggiamento soddisfano su tutti i fronti: si scaldano facilmente, offrono un ottimo appoggio e grip anche al massimo della piega, tengono bene sul bagnato e ti avvisano per tempo nelle condizioni di aderenza limite.
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Infine il comfort. La naked Ghezzi-Brian è una sportiva senza compromessi, quindi non è una moto comoda. La posizione al manubrio affatica presto i polsi e gli avambracci se si guida rilassati, le ginocchia urtano i coperchi delle punterie quando si affrontano buche profonde, le vibrazioni ad alti regimi sono davvero fastidiose, le sospensioni trasmettono al pilota ogni malformazione stradale e i cilindri riscaldano molto le gambe durante le soste ai semafori. L'aerodinamica, invece, è una bella sorpresa: le forme complesse del serbatoio riparano cosce e ginocchia dal vento, mentre il piccolo cupolino protegge dall'aria la parte centrale del busto e quasi tutto il casco anche in velocità.