Ragazzi a vent'anni, parliamo ahimè del lontano 1984, avevo la mia prima vera moto (Kawasaki Klr 600 con avviamento a pedale). All'epoca andavano di moda le enduro, i figli di papà con Yamaha Supertenerè 750 e Honda African Twin 750, gli enduristi veri con Kawa klr 600, Yamaha TT 600, Honda Paris-Dakar 600, Suzuki dr 600, Gilera RC 600 e così via.
Non c'erano scale di Trani che non avessero assaggiato i tasselli della mia Kawa, da quelle della cattedrale, a quelle del monastero di Colonna.
La ruota davanti praticamente nuova, quasi mai toccava terra, quella di dietro praticamente slick e perennemente in derapata.
Sulle mie gambe ci sono ancora le innumerevoli cicatrici a ricordo dei bei tempi andati.
Le forze dell'ordine avevano rinunciato anche ad inseguirmi, allora non c'era ancora l'obbligo del casco, un pò per sfinimento, parecchio grazie al papà generale che poi sistemava tutto.
Dopo ogni incidente, la passione superava lo spavento e rimontavo su ancora più spavaldo, quasi per esorcizzare la paura.
Se facessi la lista degli amici persi in moto faremmo notte.
Nonostante ciò anche dopo il decesso dell'amico la passione prepontentemente mi riportava in sella.
Oggi ho 44 anni, una compagna stabile, due figli che anche se non sono miei è come se lo fossero, più responsabilità ma non è cambiato nulla.
La passione è la stessa, la testa fortunatamente è cambiata.
Quella febbre che sale in attesa del sabato e della domenica per reincontrarsi in moto, per parlare sempre delle solite cose, pneumatici, scarichi, forcelle, e poi girare, girare e ancora girare, con la consapevolezza che ogni uscita potrebbe essere l'ultima, è duro ammetterlo ma è così e sarebbe ipocrita negarlo.
Che bello essere un motociclista.
con la consapevolezza che ogni uscita potrebbe essere l'ultima, è duro ammetterlo ma è così e sarebbe ipocrita negarlo.
Che bello essere un motociclista.