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Inviato: 8 Gen 2007 23:38
Oggetto: nostalgia e ricordi (lungo)
Ivo era arrivato ai primi di giugno alla fine degli anni ‘60. Era più giovane di me ma doveva imparare in fretta a fare, come me, un po’ di tutto in quella piccola agenzia viaggi che ci pagava una miseria ma ci dava modo di fare un po’ di pratica con le lingue straniere.
Era arrivato davanti all’ufficio in sella ad una specie di chopper che di moderno aveva il manubrio alto, un altissimo poggiaschiena imbottito e la verniciatura di un bell’azzurro metallizzato. Però, se cominciavi a guardare meglio, ci mettevi poco a renderti conto che, con quel disco massiccio che girava sul fianco del motore, la valvola in testa al cilindro orizzontale con la molla esterna - una di quelle molle che sembravano una spilla di sicurezza formato gigante – e la marmitta col terminale a coda di pesce, non poteva essere altro che una vecchia Guzzi.
“ Ma di che anno è?”
“Non ne ho idea. Era nel garage di mio nonno, tutta arrugginita. Lui non la usa più da una decina di anni e mi ha detto che gli facevo un favore se la buttavo dal ferrivecchi. Ci ho dovuto lavorare un bel po’ ma per fortuna ho un amico meccanico che ha una vera passione per le moto vecchie. Praticamente ha fatto tutto lui, compresi i documenti.”
In pochi giorni eravamo diventati buoni amici ed un pomeriggio, dopo molte esitazioni, Ivo mi chiese in prestito la mia Fiat 500 fino al mattino dopo.
“C’è una francesina che promette bene ma è in albergo con due amiche ……. sai com’è….mica possiamo chiuderci in camera e lasciare fuori le altre due….già sono gelose perché loro non se le fila nessuno……hanno già minacciato di raccontare tutto al suo ragazzo quando tornano a casa …. con la macchina diventerebbe tutto più facile……. puoi usare la mia moto, se per te va bene”
“Ma figurati!!! Certo che mi va bene! Guarda che quella macchina, se tiri un po’ troppo, beve come una spugna. Finisce che ti giochi lo stipendio in benzina. E poi sei proprio sicuro che non ti dispiace lasciarmi la moto?”
“Mi sa che ho fatto uno sbaglio, con quel coso lì. Ormai è più il tempo che passo dal meccanico che quello che ci giro sopra.”
“Secondo me pretendi troppo. Mica ci puoi fare le corse, con un motore così vecchio!”
Effettivamente in meno di un mese aveva piegato tre volte la stessa valvola ((quella con la molla esterna) ma questo non giustificava il fatto che definisse la vecchia Guzzi “quel coso lì”.
Mi piaceva l’idea di andarmene un po’ in giro chiedendo a quella moto solo un’andatura tranquilla, senza ambizioni velocistiche Per quelle avevo la cinquecento, quella che avevo prestato ad Ivo e che un amico meccanico mi aveva trasformato in una piccola bomba da 135 km/ora (quaranta km in più della originaria velocità massima fornita dalla Fiat). Anche io, con la mia “cinquina” avevo più o meno gli stessi problemi che aveva Ivo con la Guzzi, solo che invece di piegare valvole io distruggevo giunti elastici per colpa di uno con una Mini Cooper che mi sfidava ogni volta che ci trovavamo fermi ad un semaforo. Mi si affiancava e cominciava a sgassare guardandomi con un sogghigno. Il semaforo diventava allora lo “starting tree” delle corse di dragster americane. Tre volte su quattro lo bruciavo (la quarta volta bruciavo i giunti)
Da quel momento, per qualche tempo, la vecchia Guzzi dal look ringiovanito divenne la mia compagna di lavoro e di divertimento mentre Ivo si godeva il comfort (?) della mia Cinquecento.
Probabilmente quella specie di comproprietà dei due mezzi sarebbe andata avanti fino alla fine dell’estate se, una sera, fuori dalla balera in cui avevamo accompagnato una comitiva di turisti, Ivo non si fosse reso conto che un paio di trentenni tedesche si stavano giocando a testa o croce il ritorno in albergo sulla moto con me invece che sul pullman.
Quando lui si offrì di accompagnare la perdente con la mia Fiat, lei accettò, ma con una espressione piuttosto delusa sul volto. E siccome io non ero sicuramente più attraente di lui, era evidente che era il mezzo di trasporto a fare la differenza.
Dopo quella sera, le mie uscite in sella alla Guzzi diventarono piuttosto rare. In compenso crebbero le occasioni in cui vedevo Ivo, nei momenti in cui era libero dal lavoro, passare davanti all’ufficio con le braccia appese all’alto manubrio ed il sorriso stampato sul volto. E come avrebbe potuto essere altrimenti con una bella figliola in minigonna - mai la stessa per più di un paio di settimane - sul sellino posteriore che lo abbracciava stretto godendosi le vibrazioni del vecchio monocilindrico?
Easy rider, in quei giorni stava spopolando nei cinema di tutto il mondo e gli Steppenwolf avevano messo una pietra miliare nella storia del rock con “Born to be wild”.
Gli alberghi di Rimini non erano le rocce rossastre dei deserti americani e al posto di stelle e strisce, sul serbatoio, c’era un’aquila tutta italiana ma né io né Ivo ci sentivamo inferiori a Peter Fonda o a Dennis Hopper quando scalciavamo sulla messa in moto della vecchia Guzzi e la sentivamo prendere vita con l’allegria di una ragazzina.