La strada del ritorno la feci da solo: i miei amici restarono al bar, io non vedevo l’ora di rimettere il pignone “corto”.

Lungo la strada rivedevo i punti in cui poco prima ero passato dietro al “Bello” e rianalizzavo con la mente la reazione della moto. Non c’erano regolazioni da fare: tutto era fisso se non per le tre posizioni del cromato e bellissimo ammortizzatore posteriore che comunque lavorava decentemente solo con la più dura. La forcella non aveva nessun registro e quindi eri tu che ti dovevi adattare alla moto e non il contrario. Quella forcella è sempre stata un po’ troppo morbida e, a ripensarci ora, lavorava quasi sempre “a pacco”, ma chi ci pensava allora?

Le regolazioni di serie sulle moto da strada le hanno introdotte dopo. Esistevano moto che potevi “assettare” ma costavano “un occhio dritto”, come si dice da noi e, sinceramente, noi non ne sentivamo alcuna esigenza: era “il manico” che doveva venire fuori, la propria capacità di andare forte con quello che avevi a disposizione e quando non arrivavi davanti non te la prendevi con la moto, lei faceva parte di te ed eravate stati battuti insieme... almeno: per me era così.

Comunque, dicevo, rivedendo i punti lungo la strada, mi accorsi anche che sull’asfalto c’erano dei buchi “nuovi”. Li memorizzai.

Cambiai il pignone, regolai per bene la catena, la pulii con gasolio e, dopo averla asciugata la cosparsi con un velo d’olio. Misi la moto al suo posto e la coprii (l’ho sempre fatto con tutti i miei mezzi)

La notte, nel letto, rivissi quella salita: lui era stato più bravo ed io ero stato un coglione a farmi beccare con la moto in condizioni diverse da quelle a cui ero abituato.

L’occasione per la rivincita me la diede proprio lui: circa un mese dopo, seduti al bar, con le moto parcheggiate di fronte, mi guardò e sorridendo mi chiese se me la sentissi di riprovarci. Gli altri furono subito entusiasti dell’idea e io annuii senza scompormi. Partimmo e arrivammo in tanti al posto di partenza. Gli altri scelsero di andare avanti per posizionarsi nei punti strategici e godersi lo spettacolo. Aspettammo qualche minuto. Avanzando a moto spenta, mentre parlavamo, lo portai fino quasi sotto la prima curva...

Partimmo con un cenno della testa. La mia CB550 Four non si impenna. E' più pesante sull’anteriore e scarica molto bene a terra tutto quello che ha in corpo. Entrai per primo e piegai fino a strisciare la pedana destra a terra (a gomma fredda...) lo vidi con la coda dell’occhio arrivare un po’ troppo lungo ed allargare fin quasi all’altra corsia. Tirai il giusto la seconda e misi la terza, il quattroinuno aperto ruggiva in modo inconfondibile: ancora oggi potrei riconoscere il rumore della mia moto fra mille. L’altra curva arrivò in un attimo: non strafeci, la presi senza pensare a lui dietro di me, strusciando comunque la pedana sinistra. Lì entrai in sintonia con la strada: era questo che mi faceva e mi fa ancora venire i brividi al ricordo: diventavo tutt’uno con la moto su quella strada.

Alla sesta curva vidi i miei amici esultare oltre il ciglio della strada ma non capii subito perché: tirai dritto raccordando bene le curve e facendo le traiettorie provate e riprovate da solo. Mi voltai soltanto dopo l’ultima curva, sul breve rettilineo (una ventina di metri) prima del nostro immaginario traguardo: “il Bello”non c’era. Sbucò dalla curva dopo qualche attimo e venne a fermarsi vicino a me. “Ho sfollato dopo la prima curva” disse con il viso molto meno rilassato del solito. “Ho sfollato e dopo non ho potuto più fare niente”. “Che ne dici di tornare giù e risalire?” continuò mentre gli altri arrivavano. “Ok” dissi senza nemmeno pensarci un’attimo. Così, insieme ai nostri amici, ci riavviammo verso “la partenza”

madux