Arriva fino a Ponte Tresa, appena prima del confine con la
Svizzera.
E’ una buona strada da percorrere con una buona
moto.
Ci sono rettilinei ampi, piccoli paesini, curve.
Non
curve strette o pericolose o cieche.
Curve larghe e percorribili.
Una buona strada, quindi...
Per riconoscerla bisogna averne
percorse molte, provando.
Così, con una moto si può
decidere di affrontare questo percorso osservando il lago e lo
splendido panorama delle montagne che lo circondano e lo sovrastano.
Si può decidere di essere soli o in compagnia di qualcuno.
Magari la propria ragazza seduta sul sedile posteriore,
aggrappata stretta stretta a te
Oppure si può decidere di
essere soli e di ascoltare l’asfalto e la moto, sapendo che
ognuno ha le sue curve da affrontare.
E il proprio essere che,
sospeso tra loro, cerca il suo posto.
Una curva si può
pensare, negare, mettere in ordine, correggere, evitare, aggredire,
invidiare, subire, distruggere.
Si può decidere di fermare
la moto e tornare indietro, arrabbiati con il percorso troppo
difficile. Si può decidere di essere il passeggero. O lo
spettatore, immobile nel tempo, delle moto altrui che passano
lanciate.
Si può portare la moto al limite della
trazione.
Arrivare alla corda decelerando e frenando e,
sorpassato il punto critico, scatenare di nuovo il motore fino allo
spasmo, oltre il limite dei suoi giri.
Si può farlo
impostandola male. O seguendo qualcun altro, troppo sfiduciati che
quella sia l’esatta natura di ciò che si sta per
compiere.
Si può farla dunque rischiando, provando,
imparando e a volte, anche, piangendo.
Credo.
Oppure una
curva, sul versante italiano del lago di Lugano, si può
percorrere la mattina presto.
Consapevoli del proprio mezzo e del
desiderio di percorrerla.
Quando l'aria è fresca al punto
giusto da permettere una "giusta carburazione".
Conoscendo
ascoltando il tipo di asfalto e il percorso e lo stato delle gomme.
Sapendo che ogni motore ha una sua specifica elasticità e
che, per ogni curva c’è una marcia giusta e personale
che aspetta di essere trovata.
Forse così una buona
curva non si cerca e non si pensa.
Si lascia semplicemente che ci
sia.
E’ dentro quell’insieme unico e particolare e
irripetibile composto dalla moto e dal guidatore. E dal tempo
trascorso insieme attraverso la loro storia.
E’ l’attimo
esatto e sospeso in cui il mezzo, dolcemente si lascia scivolare un
po’ di lato assecondando la forza centrifuga.
Il motore
dolcemente decelera. Gli ammortizzatori e le forcelle si flettono
leggermente. E il corpo, utilizzando l’interno del ginocchio
per puntellarsi, si appoggia lievemente al serbatoio.
Il busto
così si sporge verso l’interno senza paura di cadere
come a dire: "Io voglio andare di lì".
Mentre
l’insieme recupera la timida sensazione di provarci e di
farcela.
La mano destra, così, dà un colpetto e
accarezza l’acceleratore e il motore risponde con un brontolio
roco: “Si. Sono qui.”
La mano sinistra, allora, tira
leggermente la leva della frizione utilizzando due sole dita.
Il
piede sinistro preme la leva sotto di lui, scalando una marcia,
mentre i destro si tiene pronto a frenare, in caso di necessità.
Ben
sapendo che nessun errore è irreparabile, e che ogni buona
moto è in grado di sopportare un certo numero di eventuali
errori e tentativi.
Così tutto può diventare un
sincrono armonico. Un insieme significante.
Poi il rettilineo
che riappare e il motore che, con quella voce profonda e baritonale e
costante che fa vibrare tutto quasi cullando il guidatore, riprende a
fluire secondo la sua natura.
Le forcelle si distendono e la
velocità aumenta leggermente.
Il guidatore e la moto,
così una mattina di un giorno qualsiasi, sul versante italiano
del lago di Lugano, possono lasciarsi scivolare lungo il percorso
cercando la propria velocità. In un buon posto, circondati da
un buon panorama. In una buona mattinata.
Ripetendo
avidamente in silenzio: “Io sono nato per questo... Ancora...”
Per me, la curva perfetta...