Il sole di luglio riscaldava forte l'aria e lui svelto salì lo scalino dell'autobus
per cercare la frescura dell'aria condizionata...
Erano anni, forse anche un decennio, che non saliva su un mezzo pubblico, e le uniche occasioni
che aveva a che fare con loro era quando gli svicolava a fianco nel traffico metropolitano con
la sua Honda CBR 1000. Oggi invece la quattrocilindri dagli occhi a mandorla riposava in garage
e lui si accingeva alla ricerca di un posto libero in quell'autobus affollato. Non ci sarebbero
state le solite accelerazioni bruciasemafori con le quali il mondo si riduceva a un tunnel
frenetico attraverso l'angusta visuale del casco, oggi il paesaggio scorreva placido lungo il
finestrino aeroso dell'autobus. Eppure era bello lo stesso, il mondo, anche osservandolo
lentamente, anzi se ne coglievano nuovi particolari e da questa nuova prospettiva il sapore
della vita cambiava, e forse migliorava. Lui cominciava a pensare che essersi comprato
l'abbonamento ai mezzi pubblici non era stata un'idea così malvagia, in fondo.
Terminate le sue commissioni, tornò a casa, scese i garage e si fermò a
osservarla. Un raggio di sole trapassava le grate della saracinesca e si scagliava su di lei,
illuminandola come neanche in uno studio fotografico sarebbe riuscito un professionista. Lei se
ne stava là, con le sue linee spigolose tese a fendere l'aria, il gommone posteriore
lucido e i suoi dischi freno maggiorati. Traspirava movimento da ogni suo bullone, e ogni sua
parte era stata studiata per la potenza e la velocità. Lei rappresentava la massima
espressione della produzione in serie di moto sportive, frutto collettivo della mente umana,
qualcosa che andava oltre l'oggetto e sconfinava nell'opera d'arte. Lui la accarezzò sul
cupolino e col cuore pieno d'amore le disse dolcemente '' ci vediamo presto, piccola''. Poi
raggiunse il suo appartamento e si distese sul divano. Era stata proprio una bella giornata.
Il mattino seguente la sveglia gracchiò mezz'ora prima, prendere i mezzi pubblici vuol
dire allungare leggermente il tempo, ma questo non lo scoraggiò. Prima di uscire,
istintivamente si infilò le chiavi della Honda in tasca e imbracciò il casco.
Fatti due passi, si bloccò, sorrise e posò l'adesso inutile elmetto. Prima di
recarsi alla fermata dell'autobus scese in garage a sbirciare tra le automobili parcheggiate la
sua dueruote . La salutò da lontano un po' a malincuore, poi si riversò
nell'affollato marciapiede.
Lei passò tutta la giornata ferma in garage, al buio, illuminata solo ogni tanto dai
freddi neon automatici che le segnalavano un avventore del garage. Il condominio aveva una
cinquantina di appartamenti e vi era un discreto via vai da e verso il garage, ma per tutto il
giorno mai venne l'uomo col casco che l'aveva salutata la mattina alla buon'ora. Passò la
notte, fredda e solitaria, un giorno e una notte ancora. Nessun uomo col casco era più
sceso nel garage. Nessuno le stava prestando attenzioni. Nessuno la piegava sull'asfalto,
nessuno la portava al limitatore.
Lui aveva passato due giorni rilassanti, il lavoro era scivolato senza problemi, e ora attendeva
la visita di una sua nuova fiamma. Si erano conosciuti a casa di amici qualche settimana prima,
poi un paio d'uscite in due, e infine l'invito a cena a casa di lui. Stava giusto riordinando
l'appartamento quando il cellulare notificò un messaggio. La cena era saltata, anzi era
finito tutto, ancora prima di iniziare. La sua nuova fiamma aveva declinato, motivando la sua
assenza a una fase confusionale della sua vita. Inutili i suoi successivi messaggi di
dissuaderla. Qualcuno in garage gioì di questa notizia, qualcuno che gridava attenzioni.
Un po' deluso dall'infausto esito della serata, lui decise che un giretto in moto, appena il
traffico serale fosse defluito avrebbe lo avrebbe sollevato di morale.
Lei lo vide arrivare, il casco già infilato, il giubbotto chiuso e i guanti che
stringevano la chiave. Un rombo spaccaorecchie si diffuse con fragore nel garage, anche questa
volta qualche condomino avrebbe sussultato. La strada preferita per la scorribanda notturna era
la tangenziale, priva di incroci a raso e oramai quasi vuota di lente e imprevedibili
automobili. Il posto ideale per far frullare in alto i motori. Lei urlava disperata quando
salendo di giri la lancetta del contagiri sfiorava la zona rossa e secchi boati esplodevano a
ogni rilascio del gas. L'avantreno solido tagliava l'asfalto, mentre i fari arancioni
illuminavano per sbiego il guardrail. Una trentina di kilometri tra curvoni veloci, saliscendi,
compressioni e staccate. Mai l'uomo era stato così un tutt'uno con la macchina, uno
completare all'altro, uniti in una mitologica chimera. Lui si fidava ciecamente di lei,
affidandogli le sue emozioni e la sua stessa vita. Lei lo assecondava, dando il meglio di se
stessa, facendo quello per cui era stata progettata e costruita. Tornarono insieme a casa,
rilassati e euforici allo stesso tempo. Lui la salutò accarezzandole il serbatoio e la
ringraziò. Lei trascorse una notte tranquilla, lasciando che il calore dei copertoni e
delle sue parti meccaniche la riscaldassero durante il freddo della notte. Lui sarebbe tornato
presto, non l'avrebbe più lasciata sola. Lei non lo avrebbe più permesso.
Passarono i giorni e le notti, ma dell'uomo col casco neanche l'ombra. Lei era ancora ferma
nella posizione in cui era stata lasciata dopo quella corsa notturna sulla tangenziale e della
polvere grigia stava ricoprendo le sue plastiche. Lentamente qualcuno non si stava più
occupando di lei.
Lui passò quei giorni e quelle notti lavorando e leggendo libri poiché il tempo
passato sui mezzi pubblici aveva riacceso in lui la voglia di lettura, sopita da troppo tempo
dalla passione mopolistica delle dueruote. Riscoprì anche la gioia delle passeggiate nei
parchi e del curiosare tra le vetrine. Osò comprare anche dei vestiti, con i soldi
risparmiati della benzina.
Lei passava le giornate fissa, immobile, in un continuo stupro della sua missione di vita,
sempre più disperata sempre più folle. Cominciò a odiarlo, dal profondo dei
suoi ingranaggi.
Un giorno come tanti lui trovò sulla scrivania nel suo ufficio una lettera della
direzione. Era stato licenziato. La crisi del sistema capitalistico incombeva e stavolta la
ruota della ristrutturazione aziendale aveva deciso di fermarsi sul suo nome. Lui fu travolto
dalla disperazione, da un implacabile senso di impotenza. La sua vita sarebbe cambiata, in
peggio. Qualcuno invece gioì di questo. Qualcuno che ora gridava vendetta per i dolori
subiti.
Dal giorno dopo sarebbe stato senza lavoro. Il conto già in rosso. Non restava che
venderla.
Lei lo rivide apparire, stavolta senza casco e affiancato da un altro uomo che si dedicò
a scrutarla nei minimi dettagli. Non erano gli occhi amorevoli di un appassionato, erano gli
occhi avidi e severi di un commerciante. Lei non si era mai sentita così sporca e non
volle accendersi ai ripetuti tentativi dell'oramai imbarazzato proprietario. Lei ora era in
guerra, troppo dolore era stato versato, non più possibile tornare indietro e alcun
perdono poteva ora aleggiare.
Due giorni dopo lui ricevette una telefonata. Suo fratello, il suo unico fratello era morto
improvvisamente, folgorato da un fulmine mentre pescava dagli scogli in una serata piovosa. Lui
si disperò, racimolò i soldi del funerale e si chiuse in sé stesso affranto
dal dolore. Qualcuno nel garage invece si nutriva del disperato pianto e ne gioiva.
La solitudine, la perdita del lavoro e l'improvviso lutto lo avevano ridotto a una larva umana,
erano mesi che non usciva di casa, che non si lavava, che non parlava con nessuno. Era sdraiato
sul divano, vegetando e circondato da avanzi di cibo e bottiglie di whisky, quando a un tratto
fu travolto da quello che gli alcolisti definiscono il ''momento di lucidità''.
Scese in garage e capì tutto. La causa delle sue disgrazie era lei, la sua passione
tradita, la sua parte di se stesso abbandonata, il suo sogno irrealizzato. Troppo odio reciproco
li separava, niente avrebbe potuto ricongiungerli, ora dovevano solo distruggersi a vicenda: la
resa dei conti era arrivata. Lei lo vide e capì tutto. Lui le si avvicinò e
cominciò a colpirla con i pugni, lei reagì accendendosi all'improvviso e bloccando
il freno anteriore, si drizzò dal cavalletto e accelerò iniziando a derapare. Con
un'abile scartamento sul fianco lo colpì e lui cadde a terra. Lei impennò come un
purosangue impazzito e calando come un'ascia la sua ruota anteriore su di lui lo colpì in
pieno petto. Lui sentì le costole fratturarsi e il respiro affannoso si confuse con un
dolore lancinante. Si trascinò nel freddo garage a circa una decina di metri da lei,
strisciando come verme, in attesa del colpo finale. Lei prese la rincorsa e si lanciò su
di lui. Con le ultime energie lui scartò di lato e lei si schiantò in prima piena
sul muro del garage. L'ultima cosa che i sensi di lui avvertirono furono un enorme boato e
frammenti di plastica e gomma piovergli addosso, prima di collassare privo di coscienza.
Si riprese dopo un tempo indefinito. Lei era contorta in un ammasso di ferraglia e plastica, con
i liquidi tutti riversati sul cemento del garage, in una pozza di olio e benzina. Il suo motore
e i suoi ingranaggi erano corrosi, fortemente arrugginiti e non per lo schianto. L'odio, il
rancore la avevano corrosa da dentro, trasformando quel capolavoro tecnico in un ammasso di
pezzi di ferro da sfasciacarrozze. Lui capì che non era ancora tutto finito. Doveva
compiere l'ultimo gesto. Estrasse l'accendino e incendiato un pezzo di carta lo gettò
sulla pozza di olio e benzina. Le fiamme avvolsero il rottame e un urlo alieno echeggiò
nel garage.
Lui scoppiò in lacrime e stringendo forte un pezzo di cupolino maledisse
sé stesso e la sua vita, che mai era stata così difficile.