Un piccolo aneddoto, un francobollo dedicato a chi è appassionato di "moto vecchie ma vive" e che spero si ritroverà leggendo queste poche righe.

Sono normale.
Lavoro, produco, sono felicemente sposato, ho una vita sociale appagante, mi sento bene, con me stesso e con gli altri.
Mi sento a posto, OK per gli amici.
Ma ultimamente ho passato un momento di dubbi sulla mia persona, su come mi pongo e su quello che pensano di me gli altri.
E vi assicuro che non sono il tipo.
Quella domenica a Caorle alla mostra-scambio, una bella giornata di fine settembre.

C’era una vecchia cassetta di legno.
Per il colore rosso sembrava caduta da Marte e riposta su quel muretto al riparo da ispezioni indiscrete.
Chi la “deteneva” non aveva la minima idea di cosa contenesse, né di chi l’avesse riempita e poi lasciata lì, al debole sole di fine estate. Nulla di nulla.

Dovevo stare attento perché traballava.
Il peso era eccessivo e stava scivolando dal muretto, dalla parte ormai ceduta. Insomma bastava poco e si sarebbe rovesciata sul prato sottostante, magari sui miei piedi.
Messo il ginocchio sotto per sostenerla, ho cominciato a rovistare a mani nude, spostando di qua e di là il contenuto e facendo tintinnare il ferro che c’era dentro.
Avevo le mani un una cassetta di rovine, di ferri rossi e pezzi storti, di un’accozzaglia di cose non ben definite ma tutte avvolte da una patina di profonda ruggine, ecco il perché del colore… ma ancora non sapevo dove sarei arrivato… e non mi serviva nulla di particolare.

A forza di ravanare ad un certo punto raggiungo il fondo con le mani. C’era un dito di “terra” rugginosa piena di viti, dadi, rondelle, scaglie di ferro.
C’era anche una chiave, in realtà uno di quei semplici pezzi di ferro storto che facevano da ponte per l’accensione delle moto di tanti anni fa.

La tiro fuori e ci soffio su. Una chiave che si potrebbe fare da soli con niente, un pezzettino di ferro ed una limetta.
Ne avevo in tasca una simile perché, causa la solita fretta, mi era rimasta nella tasca delle braghe dopo il giretto serale con l’Airone, e mi dava pure fastidio perché era “pungigliosa”.

Ora con quella dei jeans nella mano destra, bella calda e lucida, l’altra nella mano sinistra, fredda e completamente arrugginita è scattato il confronto : erano identiche, incredibile, ho trovato la chiave di scorta, ... eccome ... e come l’ho trovata !!
Forse era un richiamo, il richiamo del ferro.
Il tutto sarà durato qualche minuto, tanto che “quasi” non avevo nemmeno le mani sporche.

E ritorno al prologo ed al perché dei miei dubbi.

Per la prima volta in vita mia m'ero accorto d’essere osservato “in attività”.
Sarà sicuramente già successo ma non me n'ero mai accorto fino a quel momento almeno, e con tale mia sorpresa.
Avete presente la sensazione di quando qualcuno al bar mentre state leggendo il giornale, si avvicina e “ve” lo legge dietro la schiena ? Ecco, sensazione molto simile.

Dietro a me c’era un distinto signore, sulla cinquantina, con una corta bisaccia a tracolla e gli immancabili sacchetti di nailon che nelle mostre-scambio ognuno di noi raccoglie.
Mi sono girato e l'ho guardato negli occhi.
Lui ha annuito e calato gli occhi. Stava fermo e non proferiva parola.

Per due secondi ho rivissuto “l’attacco alla cassetta" e quanto i miei movimenti e le mie espressioni avessero potuto sconvolgere la persona che avevo dietro. Probabilmente m’aveva preso per uno strano ho pensato, sicuramente, almeno per quanto stavo elaborando, m’aveva preso per uno non con tutte le rotelle a posto.
Non sapevo che dire, per fortuna il personaggio lo sapeva bene tanto che, con voce sommessa e preso coraggio m’ha detto “Scusi, posso?”. E lì mi sono liberato dai pensieri, dai deliri dovuti all’”attività” appena conclusa, da una situazione che sostanzialmente non avevo capito.

“Prego, si accomodi” ho risposto, spostando il ginocchio da sotto la cassetta e lasciandola alla stabilità del nuovo “ravanatore”.
Una vera liberazione.

Finiti i dubbi mi restava l’ultima impresa : chiedere al proprietario di quel “parco giochi” quanto volesse per la “chiave”, semprechè sapesse cosa quell’oggetto che ancora tenevo in mano fosse.
Per me. comunque, 5 minuti di totale appannamento cerebrale.

Pensandoci bene, 5 minuti ben spesi. In tutti i sensi…