- Allora domani andiamo su?
- Sì, dai, io passo a prendere Iano alle otto, alle otto e mezza ci vediamo in piazza e poi partiamo.
- In un paio d'ore ce la facciamo no?
- Ah, io e Iano di sicuro, con la moto. Tu, con quello scooter, non lo so.
- Cretino...
- Ma sì, dai, tanto lo sai che vado piano, poi con quel balengo di Iano dietro che non sa fare il passeggero, rischierei solo di tirar dritto ad ogni curva.
Inizia e finisce così, in sei frasi di un sabato sera di metà ottobre, l'organizzazione di una gita a Pian della Mussa, 1850 metri di quota, ultimo avamposto della val d'Ala (una delle tre valli di Lanzo); meta di gite domenicali per tanti torinesi e sede delle colonie Sigismondi, in cui da bambino ho passato le mie vacanze estive, quando mia madre lavorava come operaia. E' grazie a quelle colonie, che ho conosciuto queste montagne e me ne sono innamorato.
Sarà forse l'ultima gita dell'anno; a breve chiuderanno la strada dopo Balme e fino a primavera si potrà salire solo a piedi o, una volta arrivata la neve, con gli sci e le pelli di foca.
Alle otto e mezza di domenica mattina si dovrebbe partire ma Iano, alle otto, è ancora a letto e Vola deve aspettare che l'amico ritorni nel mondo dei vivi ("Eh, ieri sera mi son fermato a bere qualcosa ed ho fatto tardi...") alla fine, alle nove, riusciamo a partire.
La moto di Vola (unico elemento del gruppo conosciuto - chissà poi perché - col solo cognome) a fare da battistrada con Iano (Liliano) seduto dietro ed io che seguo con lo scooter.
Li guardo fare strada... li conosco da vent'anni, è dalle elementari che cresciamo insieme e frequentiamo la stessa piazza a Cavoretto (è anche l'unica piazza di Cavoretto...).
Vola, Iano ed io... tre "amici della piazzetta", quei tre che invece di passare il sabato sera a ballare, aspettano la domenica per andare in montagna... a camminare d'estate, a sciare d'inverno.
Vola, di famiglia benestante ma al quale i genitori hanno insegnato a non dare tutto per scontato... fa il saldatore in una piccola fabbrica perché non ha voluto proseguire gli studi e con i primi soldi guadagnati si è comprato prima uno scooter (stortato contro un palo della luce un paio d'anni prima) e poi quella moto di terza mano che lucida ad ogni ritorno da una gita.
Iano, il balengo del gruppo. Ventisei anni di follia purissima e lucida, di stramberie, di coraggio quasi incosciente.
Come quella volta che a Balme partì alle 5 del mattino per salire a piedi con gli sci in spalla su quel costone perché "Voi dite quel che volete, ma di lì ci si può scendere..": scese, in effetti, ma rotolando e strisciando per il 90% del tragitto... e arrivato al fondo aveva i pantaloni stracciati dal ghiaccio.
E dietro io, che per oggi ho lasciato a casa la morosa per uscire con loro... Io che già so che nel pomeriggio passeremo da "Peru 'l rus" (Pietro il rosso, per via dei capelli), a chiacchierare e berci un Genepy, quello che prepara lui con le piantine che va a raccogliere su a Pian Gias.
Passiamo Germagnano, la strada da qui in poi inizia a salire e Vola deve mollare un po' il gas: io ho il mio ferraccio (e lo zaino con le provviste) e lui ha Iano che sta rigido come il pennone di una bandiera sul sellino... vai a curvare bene con quello lì.
Ma non c'è fretta, ormai siamo a metà strada, ancora 30 Km e ci siamo.
E poi è così bello, qui, che andare di fretta sarebbe un delitto: boschi di castagni, il profumo dell'autunno che si preannuncia, la Stura lì a sinistra che scorre verso la città... non c'è motivo di tirare il collo ai nostri mezzi (specialmente al mio).
I due tornanti di Ceres, poi tappa ad Ala di Stura a comprare il pane fresco (privilegio dei paesi di montagna... pane fresco tutti i giorni); un po' di miscela per me e di benzina per Vola, una sigaretta in piazza e si riparte.
Ultimi 12 Km.. quelli più ripidi... lo scooter soffre un po', immagino il sorriso di Vola... prima Balme, poi gli ultimi quattro tornanti, uno dietro l'altro, ed arriviamo. Pian della Mussa si apre di colpo appena dopo l'ultimo ponte, uno spettacolo che mi sorprende sempre, una spianata che mi accoglie a braccia aperte ogni volta, da vent'anni, che arrivi con lo scooter, a piedi o con gli sci e le pelli.
Una tappa dalla signora Rina alla "Trattoria Alpina" e le solite battute.
- "La prossima volta fai che partire di sabato.."
- "Certo che con quelle ruotine lì, se prendi una buca ci tocca venirti a tirar fuori con la scala..."
- "Ma 125 e' la cilindrata o l'età?"
Non c'è cattiveria, è il nostro "gioco di ruolo": lo sbruffone, il matto, il fermone. Tre attori che recitano lo stesso copione da due anni... da quando Vola si è comprato la moto ed io lo scooter; e lo recitano talmente bene che gli avventori della "Trattoria Alpina" (quelli che non li conoscono, altri ormai li vedono una settimana sì e una no) li guardano perplessi.
E' ora di trovare un posto dove fare campo e mangiare. Vola ha una intuizione...
- "Passiamo la Stura e andiamo a metterci vicino a Rocca Venoni (una baita sotto una balma enorme al fondo di Pian della Mussa, n.d.r.), almeno siamo all'ombra"
- "E lasciamo qui lo scooter e la moto?"
- "No, la Stura è bassa, poco prima di Rocca Venoni c'è un guado"
- "Ma 't ses balengu (sei scemo n.d.t.)?... ho delle ruotine da carrozzina, come passo?"
- "Dai, al limite lo portiamo a mano, per quel che pesa..." (e ride)
Mi tocca raccogliere la sfida e provare, ho capito... salgo e parto. Cento metri ed ecco il guado: oggi sarà anche bassa, la Stura, ma a me sembra di dover attraversare le rapide del Niagara.
Iano prende lo zaino e la mia macchina fotografica e attraversa a piedi, pronto ad immortalare l'impresa (o, sigh! il disastro).
Parto piano, la ruota anteriore entra in acqua (e Iano scatta), tengo le gambe tese in fuori a far da bilanciere e (si spera di no) da appoggio d'emergenza in caso di scivolata sulle pietre.
Le ruotine si fanno strada nell'acqua, sembrano quasi cercare da sole gli incavi tra le pietre arrotondate per non scivolare via... saltellino, scivolatina, scivolatina, saltellino, saltellone, scivolatina... finalmente sono dall'altra parte, ancora in piedi... apro un po' il gas, riprendo a respirare e sono sull'erba asciutta.
Wow! ce l'ho fatta! mi giro verso Vola e sorridendo gli faccio un gestaccio, poi tiro una pacca sul manubrio ("HA!... credeva di fregarci, piccola mia").
Adesso tocca a Vola: butta dentro la prima, mentre Iano lo osserva, inquadra e scatta ancora; affronta il guado con sicurezza... forse troppa. Dopo poco più di un metro sono sdraiati in mezzo alla Stura, lui da una parte e la moto dall'altra.
Il calore della marmitta e del cilindro, per qualche secondo, generano un soffio di vapore... lui genera nello stesso intervallo di tempo un repertorio di bestemmie tale da far impallidire uno scaricatore di porto.
Iano ed io ci rotoliamo nel prato dal ridere, lui si rotola imprecando nel torrente, cercando di tirar su la bestia bagnata.
Finalmente riusciamo ad andare ad aiutarlo, riusciamo ad alzarla, ma non parte... guardo Vola e gli dico "Dai... mal che vada la portiamo a mano" e scoppiamo di nuovo a ridere. Tutti e tre, questa volta... Anche Vola sta ridendo talmente forte che quasi non riusciamo a tenere dritta la moto: tre imbecilli, di cui due a piedi nudi, a mollo nella Stura che cercano di spostare una moto...
Alla fine troviamo la quadra: uno per parte a tenerla dritta e guidarla, Vola dietro a spingere. La portiamo all'asciutto e cominciamo a darci da fare: smonta, controlla, asciuga & rimonta... in mutande e canottiera mentre i pantaloni e le maglie asciugano al sole.
E così si fanno le due e noi non abbiamo ancora mangiato, ma la moto è di nuovo pronta e scoppiettante, nemmeno ammaccata e possiamo ripararci all'ombra della balma.
Pane, salame e formaggio fanno la fine a cui erano predestinati, il fornellino da campeggio fa il suo sporco lavoro e ci beviamo anche un caffè, poi ci rivestiamo e partiamo.
Questa volta va tutto bene, il guado non fa scherzi, ma Vola ancora non sa, o fa finta di non sapere, che davanti al Genepy di Peru 'l rus la sua disavventura verrà comunque raccontata, mimata e rivissuta attimo per attimo, mentre il vecchio montanaro si farà grasse risate.
Da Peru ci fermiamo un'oretta, poi il sole inizia la sua discesa e anche a noi tocca lo stesso destino: la discesa verso la città, verso la vita di tutti i giorni; salutiamo Peru, che si allontana verso il pascolo a riunire le sue vacche, e partiamo; un paio d'ore e siamo di nuovo in piazzetta.
Vola e Iano si riprendono i maglioni e le giacche a vento dallo zaino e ripartono verso casa di quest'ultimo, poi il primo andrà a casa sua a pulire e lucidare la moto. Io abito a 500 metri da lì, i miei mi avranno forse persino visto arrivare dal balcone.
Domani Vola ricomincerà a piegare e saldare tondini e quadrelli, Iano a cucire pelli e stoffe (fa il sellaio/tappezziere, ed è anche bravo) ed io tornerò al mio lavoro. Dopodomani loro forse dimenticheranno la moto sdraiata nella Stura.
Invece io questa giornata la ricorderò negli anni a venire e la racconterò ai miei figli e (chissà) ai miei nipoti, mostrando loro le foto che avrò sviluppato e custodito nel primo cassetto del comodino.
Il giorno in cui il mio piccolo scooter con le ruotine da carrozzina riuscì dove invece fallì la moto di Vola.
La domenica in cui una piccola Lambretta 125 fece meglio di un Benelli 500.
Quella indimenticabile domenica d'ottobre del 1955.
Ernesto, papà di Lorenzo/42, al quale probabilmente ho raccontato tante di quelle volte questa piccola avventura, che ormai la conoscerà a memoria.
Prima della traversata:
La Lambretta alla prova del guado:
Vola... a un passo dal disastro:
Peru 'l rus: