Un sogno che non c'è più

C'era una volta un sogno, uno di quei sogni che abbiamo perfino paura a raccontarcelo a noi stessi dentro, in silenzio. Abbiamo paura perché se ci sentissimo a raccontarcelo ad alta voce, convinti che potrebbe diventare realtà, e poi niente, la cosa non succede, e invece ci guardiamo attorno, e ascoltiamo, e tocchiamo quello che è, invece, reale...beh, la tristezza, la rassegnazione o solo quella malinconia di fondo che alberga tra pensieri e sospiri vincerebbe su di noi, e questo non ce lo possiamo permettere.

Anni sono andato avanti con questo sogno, quasi a percepire che non andava abbandonato, anche se era fugace, sempre più veloce ad attraversarmi la strada. Quasi non rallentavo più.
Poi, mandato forse dal sole in persona, lo incontro di nuovo...ma questa volta è lì che sorride, che dice le cose che penso, che racconta quello che ho dentro come e meglio di me.
Il sogno si chiamava Anna.

Ora il sogno aveva un nome ed un cognome, una vita lontana da me, una vitalità straordinaria che mi spaventava, ciocche di capelli biondi ovunque, un profumo accogliente. Aveva tutto quello che avevo sognato prima. Anzi, aveva cose che nemmeno il mio sogno mi aveva mostrato, che nemmeno la mia immaginazione aveva immaginato. Mi permetteva di conoscermi come mai mi ero conosciuto prima.

Anna adorava la moto. Io che avevo sempre discusso di scomodità, di capelli sconvolti, di troppo freddo e troppo caldo, di bagagli da spedire, mi trovavo davanti alla voglia di avere una moto tutta per se, di libertà, di vento caldo e di giacche invernali. Al desiderio di visitare il mondo, in coppia, uno davanti ed uno dietro ma separati, quasi per guardarsi meglio.

Abbiamo affrontato tutte le difficoltà, i rimorsi, i sensi di colpa, le lacrime, i trasferimenti ed i conti a fine mese. Abbiamo perso istanti che non torneranno più con i nostri genitori, con i nostri compagni di allora, con i falsi amici che per fortuna si sono smascherati da soli. Abbiamo sofferto tanto e ancora tanto, ma mai troppo, perché c'era la luce in fondo, c'era un senso che solo noi conoscevamo e che pochi volevano capire.
Alla fine abbiamo iniziato a vivere il mio sogno. Che era anche il suo, uguale al mio e per questo così straordinario.

Le cose straordinarie però finiscono. A volte dopo secoli, a volte troppo, maledettamente troppo presto.
Come la nostra. No, non a Monza, quel tiepido maledetto lunedì mattina. Non gliela abbiamo voluta dare la soddisfazione, al cancro, di rovinarci il sogno. Di prendersi mille giornate in ospedale sì, di farci piangere abbracciati sì, di non darci la possibilità, mai, di andare via in moto assieme sì, di cambiarci la prospettiva della vita ed il senso del tempo sì. Ma non di rovinarci il sogno. Quello è continuato per trenta magnifici, irripetibili, straordinari mesi.

Ora il sogno non c'è più. E' finito il 22 Agosto e da allora solo un grande, enorme vuoto. Non disperazione, non sensazione di fine di tutto, solo di fine della più bella cosa che mi era mai capitata.

Anna sarà felice di vedermi su una nuova moto da Gennaio. Con il lavoro che scricchiola, con il mutuo sempre più alto che ora aspetta solo me, faccio mio il suo insegnamento e non penso più negativo ma cerco ancora di sorridere a lei o, per lo meno, per lei.

Anna aveva deciso di "affrontare la vita senza avere paura di morire ma solo con la gioia di vivere" (Jim Morrison). Anna aveva ancora una volta ragione.

Questo è il mio modesto invito. Questo è quello che proverò a fare. Per sempre.

Matteo