Pianura. Il motore ronfa tranquillo, le curve hanno ancora da venire...

Ci siamo salutati, ci siamo contati e un’altra volta ancora siamo ripartiti.

Brevi galoppate le nostre: 300, 400 chilometri al massimo; non siamo turisti effettivamente, ed il luogo dove arriveremo non è alla fine così importante, una volta fermi parleremo di noi e del tragitto. Terra piatta per ora, campi coltivati e la via Emilia; la nostra via Emilia, cordone ombelicale delle nostre città, torrente d’asfalto che risucchia e fagocita. Dentro al casco pensiamo a ciò che siamo col sorriso sulle labbra.

Andiamo ad incontrare altri amici e ci andiamo nel modo migliore che conosciamo.

Sono tutti qui, Astro e poi Ral, Smog, Zenith, Capro, il Dottore e tutti gli altri; chi dietro chi davanti, l’ordine cambia in continuazione. Li riconosco dai colori delle tute, dalle moto, dal rumore degli scarichi e soprattutto dalla guida. Quella guida che, alla fine dei conti, è un modo come un’altro per capire qualcosa delle persone che fanno parte di un pezzo della nostra vita.

Durante il tragitto sembriamo soli. Non lo siamo. Occhiate, cenni, aperture di gas improvvise, palesi inviti e pause riflessive sono ciò che fa parte del nostro dialogo, del nostro “conoscerci”.

La presenza degli altri visti attraverso la visiera o negli specchietti rassicura, preannuncia, sprona e conforta. Ci dà uno specchio tangibile di ciò che ci troveremo davanti fra meno di mezzo secondo o di ciò che abbiamo appena passato. Chiuso dentro la visiera scura con il viso indistinguibile mi sento inguaribilmente me stesso. Alle volte questo spaventa.

Una volta fermi si tirano le somme, altre volte si tirano dei “nomi” e fra una cosa da bere ed un’altra con cui riempirci lo stomaco passiamo dalla chiacchiera con l’uno ad una chiacchiera con l’altro per scoprire che probabilmente abbiamo nuovi amici.