IL VIAGGIO
Giovedi 29 gennaio - Giorno 1 - La partenza e la prima tappa.
Dopo aver trascorso i due giorni e le due notti precedenti in agitazione (mi succede spesso da lungo tempo, anche quando vado soltanto in ferie), dormo serenamente e mi alzo presto per gli ultimi preparativi. Dopo giorni di maltempo la mattinata inizia con un bel cielo, foriero di cose positive.
Mi appresto alla disposizione delle borse e del carico sulla moto, però mi prende subito quella che chiamo "la sindrome dello sposo" che mi fa cominciare a pensare: "ma chi me lo fa fare...", "ma mica mi pagano..." (anzi, ho pagato io e pure parecchio, anche se alla fine i conti non li faccio mai perchè non si può ricondurre il tutto ad un mero valore monetario - certe cose non hanno prezzo), insomma sto lì lì per rinunciare, poi succede il patatrac; si rompe la famigerata borsa e per qualche minuto, dopo le imprecazioni di rito, rimango inebetito a fissare la moto dentro al box domandandomi che cosa sia giusto fare, poi mi risveglio dal rimbambimento e, chiuso il box, corro a casa a prendere l'altro set di borse (che era dell'altra moto) e torno giù per effettuare il "travaso" di tutto quanto era stato amorevolmente messo dentro. Cerco di farlo in fretta ma, malgrado queste borse siano leggermente più grandi sembra non entrarci tutto (è vero che sono estensibili e possono raddoppiare la capienza, ma io sono una "capa tosta" e non voglio avvalermi di questa possibilità) così rinuncio a portare con me alcune cose come la corda di traino, le bombolette spray, la catena con il lucchettone (ci tengo a tornare a casa con la moto e non a piedi, non si sa mai...) che sostituisco con un set più piccolo, ed alcuni altri ammennicoli. Tutta l'operazione mi porta via circa due ore, compreso il fissaggio; ora sono veramente pronto.
Risalgo a casa per fare colazione, darmi una "rinfrescata" (sudata da tensione nervosa...) e preparami il thermos di thè bollente ed i cornetti con la marmellata che mi accompagnano in ogni mio viaggio. Come un moderno cavaliere procedo con calma, come faccio sempre, al rito della vestizione, questo mi aiuta a riportare lo stato d'animo a livelli consoni. Così, qualche minuto dopo le dieci, indossati casco e guanti, salita la rampa del box, sono sulla strada, "on the road again", in movimento verso la nuova avventura.
A questo punto si impone una andatura diversa ed una tabella di marcia mentalmente rivista e più rigorosa. Devo percorrere, in tempi umani, i circa 800 Km che mi separano da Innsbruck dove ci sono degli amici che mi aspettano nel pomeriggio e che mi hanno trovato una sistemazione per trascorrere la notte della prima tappa; non li avverto subito del ritardo per non metterli troppo in agitazione, vedrò durante il viaggio se riuscirò a recuperare un pochino. Il traffico è normale, interrotto da alcuni cantieri per lavori, soprattutto nel tratto appenninico, ed abbastanza "popolato" di TIR che in alcuni casi si sorpassano tra di loro provocando lunghi rallentamenti. L'autostrada, scorre sotto le ruote come tante altre volte, mi fermo solo per le operazioni di rito (rifornimenti della moto e miei, funzioni fisiologiche comprese). I motociclisti che incontro sono pochissimi, si contano sulle dita di una mano. Di certo il tempo non è dalla mia parte, ma faccio del mio meglio per non accumulare maggiore ritardo; il fatto è che la mia moto non è molto parca nei consumi, il che mi costringe comunque mediamente ogni 200 Km ad uno "scalo tecnico" oltre che fisicamente necessario se non voglio arrivare a destinazione con qualche parte del corpo addormentata o dolente. Tutto questo mi porta ad arrivare a Bolzano verso le 18.00, lì incontro ad un distributore un ragazzo di Roma che con la sua BMW sta andando a Vipiteno dove si fermerà per la notte; chiacchieriamo qualche minuto durante il rifornimento e decidiamo di fare un tratto di strada insieme, a Vipiteno ci salutiamo ed io mi appresto a percorrere l'ultimo tratto della mia prima tappa. E' buio pesto e comicia a fare veramente freddo; man mano che mi avvicino al valico del Brennero la situazione peggiora, nevischia e quando arrivo all'Europabrucke tutto si presenta un po' più difficile del previsto: col calar della notte le temperature sono precipitate. In più il gentile addetto al pedaggio, in un gustosissimo miscuglio di tedesco, inglese e italiano mi avverte che la zona è ricca di umidità, quindi incontrerò nebbia e mi ammonisce sul fatto che la strada è scivolosa a causa di gelate improvvise, poi in una frase una parola suona un campanellino nella mia mente: schneefall (nevicata), vuol dire che c'è la grossa probabilità che incontri anche una nevicata improvvisa. Bene, penso dentro di me, tanto per non farsi mancare niente... Ringrazio e riparto, ormai sono a non molti chilometri dalla mia prima destinazione per cui, in un modo o nell'altro, arriverò. Cerco di capire subito quale possa essere il limite al quale posso tenermi, ma mi rendo ben presto conto che non c'è molto da stare allegri: c'è la strada viscida, che non permette il classico "rush finale"; ci sono la nebbia e la nuvola di fanghiglia e sale sollevata dai TIR, e da auto che vanno al doppio della mia velocità, che rendono la visibilità decisamente precaria; a questo punto scelgo un bel TIR e mi ci accodo. Mi porterà quasi fino a destinazione a 80 all'ora scarsi. Così alle 19.00 sono ad Innsbruck, in città c'è neve ma le strade sono pulite. Contatto i miei amici che mi vengono a prendere e mi accompagnano in un albergo (molto carino) e finalmente, circa 40 minuti dopo, sono al calduccio nella mia stanza e la mia moto, completamente carica, è chiusa nel garage sotterraneo. Anche se l'entusiasmo di rivederci è stato tanto i miei amici non mi abbracciano (non subito almeno) e non capisco perchè, poi mi capita di guardarmi in uno specchio e mi scappa un sorriso, perchè capisco improvvisamente anche gli sguardi tra l'attonito, il divertito ed il compassionevole dell'addetto alla reception oltre che l'apparente eccessiva formalità dei miei amici: non avevo prestato attenzione al banalissimo fatto che sono bicolore, nero dietro (il colore del mio abigliamento) e di un colore indefinibile davanti (un color caffellatte direi, duvuto alla patina di sale e fanghiglia), insomma un biscotto Ringo, ma senza la crema in mezzo. Comunque, saliti in camera, mentre pulisco abbigliamento e casco e mi appresto a concedermi una doccia calda (che durerà più di mezz'ora, come mia consuetudine) scambio un po' di chiacchiere con loro, che mi fanno un sacco di domande, non riescono ad aspettare fino all'ora di cena (lui è romano, trasferito da alcuni mesi per amore e lavoro, lei austriaca). Quando sono ben ripulito e tornato ad uno stato decente andiamo a cena, che trascorre piacevolmente, poi ci congediamo salutandoci e dandoci appuntamento a presto, io vado a dormire, perchè la stanchezza si fa sentire e domani mattina mi aspettano gli ultimi poco più di 340 Km che mi separano da Solla.
Venerdi 30 gennaio - Giorno 2 - La seconda tappa e l'arrivo.
Sono le 6.00 quando mi sveglio la prima volta, come si dice dalle mie parti ho fatto "un cratere" nel letto, tanto ho dormito profondamente, alzo la serranda ed ho la prima sorpresa della mattina: sta nevicando.
Mmmh, spero non attacchi troppo, la rampa del garage dell'albergo è ripidina e la cosa mi mette un po' in ambascie, ma decido di non preoccuparmene troppo, eventualmente avrò occasione di testare le calze da neve. Scatto un paio di foto e qui la seconda sorpresa, mi sfugge di mano la fotocamera che cadendo a terra si rompe: imprecazioni, tentativo di "rianimazione" che va parzialmente a buon fine e rassegnazione a fare foto coi telefoni. Poi, visto che è presto mi rimetto a letto per godermi ancora un poco il tepore del piumino. Dopo due orette scarse, mi alzo, mi preparo
(parte del mio abbigliamento accuratamente ripulita la sera prima)
e scendo a fare una bella colazione e a pagare il conto e scopro di non avere con me gli occhiali da vista; dopo averli cercati, faccio mente locale e mi rendo conto di averli lasciati nel box, vicino agli oggetti a cui avevo rinunciato; sarà un problema perchè essendo ipermetrope, da vicino ormai ci vedo pochino. Unica nota positiva è che la nevicata, anche se intensa, deve essere stata brevissima perchè ci sono poce tracce.
A questo punto è necessario un piccolo inciso. Due giorni prima avevo mandato degli MP ad alcuni dei componenti del gruppo, che deve partire da Trento il venerdi mattina presto, chiedendo di potermi aggregare strada facendo, ma l'unico messaggio di risposta, piuttosto laconico mi dice che contano di essere dalle parti di Innsbruck intorno alle nove e che in caso ci vedremo a Solla (...?...). Io comunque sono pronto, aspetto (inutilmente fiducioso) una chiamata che invece non arriva, così verso le 9.45 un po' deluso e perplesso (mi sento un po' snobbato), mi appresto a partire, ma poi mi rinfranco, in fondo ho sempre viaggiato da solo e non sarà certo un piccolo empasse a fermarmi, come tantissime altre volte, viaggerò ed arriverò a destinazione da solo, anzi, questo renderà più piacevole il gusto della riuscita. A questo punto, visto che non ho legàmi di orario e che conosco bene la città (ci vengo puntualmente ogni estate da oltre 20 anni) mi dirigo verso un negozio, intenzionato a trovare una nuova fotocamera; fatto l'acquisto e ingannata l'attesa di circa un'ora necessaria per la carica della batteria (cosa che gentilmente la negoziante effettua per me), finalmente verso le 11.00 parto verso la meta. Imbocco l'autostrada e, malgrado il cielo coperto ed il freddo, mi gusto con occhi nuovi i panorami che in abito estivo conosco bene, ma che sono a me totalmente sconosciuti ammantati di bianco. La strada è abbastanza pulita, il traffico scarso, e posso andare ad una andatura sostenuta, con un occhio particolare ad alcune zone che so essere di norma facilmente sotto controllo. A metà strada verso Monaco mi rendo conto di avere poca benzina e mi fermo ad un distributore che con mia sorpresa è pieno di moto, soprattutto gruppi di italiani e di svizzeri; mentre rifornisco faccio quattro chiacchere un po' con tutti, soprattutto con alcuni di Roma e Acilia con i quali posso scambiare delle battute in dialetto. Quello che comincio a notare (e che mi inorgoglisce un po') è la curiosità di coloro che osservano la mia verdissima Ninja (beh non proprio più tanto verde...), sono sguardi sorpresi e compiaciuti ma mai di sufficienza; il bello è che, come so bene da lungo tempo, riemerge puntualmente quel sentimento di comunanza che aggrega come una calamita i mototuristi puri, quelli che portano dentro di se' quei sentimenti semplici di amore verso il proprio mezzo (qualunque esso sia) e di piacere per il viaggio e per i luoghi che si attraversano e che non ti guardano di traverso quando sei fermo di fianco a loro ad un semaforo e non cercano di risorpassarti se vai più veloce. So che la mia è una visione forse fin troppo romantica, ma non posso farci niente, certe sensazioni le vivo "a pelle".
Mi appresto a ripartire quando arrivano tre diverse BMW, scambio di saluti, si tratta di tre fratelli di Pescara che affrontano l'Elefanten uno per la terza volta, uno per la seconda e uno per la prima; una chiacchera tira l'altra, così mi offrono di andare insieme, con un solo appunto guardando la mia moto: "guarda che noi andiamo massimo a 110...". Li ringrazio ma declino l'offerta, anche perchè loro si fermeranno a Deggendorf per andare al raduno la mattina seguente, mentre io voglio arrivare nel pomeriggio e piantare la tenda. Saluti, strette di mano e via, il morale è decisamente risalito. Ad Irschenberg sono costretto a fermarmi di nuovo perchè improvvisamente la visiera pin-lock non fa più il suo dovere, mi si appanna e non vedo più niente e di viaggiare con uno spiraglio aperto non se ne parla nemmeno. Mi fermo in una splendida stazione di servizio, che ha dei bagni fantascientifici. Non che la cosa mi sorprenda più di tanto, sono abituato allo standard di qualità tedesco, ma questo li batte tutti: ingresso con tornello e ticket elettronico, marmi e piastrelle colorati, massima pulizia, profumati, acqua calda, distributori a sfioramento, musica elettronica-New Age di sottofondo... quasi quasi mi fermo qui a dormire...!
(non so se la foto rende l'idea...)
Comunque, scacciati i pensieri sugli inevitabili paragoni, smonto la visiera e l'anti-fog, le lavo, le asciugo e le rimonto. Ne approfitto anche per andare a mangiare qualcosa, visto che sono a stomaco vuoto e qui, sorpresa sorpresa, trovo in vendita quegli occhiali a gradazione fissa che possono alleviare la mia vista talpesca sostituendo quelli dimenticati a Roma; tanto per non sbagliare ne compro due, voglio proprio vedere se adesso la situazione cambia. Riparto ancora più rinfrancato, ora ho deciso che mi fermerò solo per il prossimo rifornimento, "gas a manetta, Solla mi aspetta...".
Il tratto che percorro (circa 35 Km) del ring di Monaco è di una noia mortale, il traffico qui è intenso ma scorrevole, mi metto su una corsia con un occhio che va spesso allo specchio di sinistra; ogni tanto, malgrado vada discretamente forte, vengo sorpassato da qualche missile che mi svernicia letteralmente. Di tanto in tanto poi qualcuno mi si affianca e mi accompagna guardandomi e lanciandomi sorrisi che non posso ricambiare che con gli occhi, nascosto dietro casco e sottocasco. Alcuni ragazzini col naso quasi schiacciato sul finestrino mi guardano stupiti, forse ammirati (una moto è pur sempre una moto), mi lanciano sguardi, mi salutano con la mano ed uno molto piccolo mi lancia addirittura un bacio; ho un tuffo al cuore e vorrei che il suo papà si fermasse per permettermi di abbracciarlo e baciarlo per assorbire da lui un po' di quella innocenza che abbiamo perduto ma dovrebbe accompagnare ognuno di noi, ma non è possibile e mi limito a ricambiare con un gesto della mano mentre li guardo allontanarsi nel traffico.
La A92 da Monaco a Deggendorf è se possibile ancor più pallosa, e fredda. Si snoda in una pianura che è spazzata da venti gelidi in un panorama piatto, l'unica cosa degna di nota è che il manto stradale non è un granchè, tanto che ad un punto nella moto si innesca una oscillazione che mi fa ballonzolare l'avantreno e mi mette in apprensione inducendomi erroneamente a pensare che un cuscinetto della ruota mi abbia abbandonato. Mi porto rapidamente in corsia di emergenza e, mentre rallento, improvvisamente il problema scompare; sarà la bassa velocità? Mi fermo, scendo, afferro la ruota e la scuoto: è salda e a posto, sono perplesso. Ripartendo capisco che il problema è causato dalla pavimentazione che è costituita da sezioni accostate l'una all'altra e che sono deformate, così ogni volta che si passa sulla giunzione si sobbalza e se si moltiplica il tutto per ogni tot di metri ad una certa velocità il risultato è scontato. A questo punto non mi restano alternative: o procedere a velocità bassissima o sostenuta in corsia di marcia per evitare il fenomeno (cosa in caso assai poco pratica, e nell'altro del tutto impossibile) oppure (cosa che faccio) mettermi ad andare sempre in sorpasso; così facendo però consumo eccessivamente e mi ritrovo improvvisamente con la benzina agli sgoccioli in riserva piena. Il fatto è che su questo tratto le aree di servizio come le intendiamo noi sono praticamente inesistenti, bisogna uscire ad una delle molte cittadine sul percorso. Per risparmiare, mentre tengo i sensi in allerta per le indicazioni che mi servono (benza, benza, benza...) mi metto dietro ad un TIR con targa ungherese ben in scia in modo da farmi risucchiare e consumare ancora meno. So benissimo che questa è una pratica pericolosa e sconsigliata e che qualcuno storcerà il naso, perchè a nemmeno cinque metri, anche andando suppergiù a 80 all'ora in caso di frenata improvvisa mi ritroverei spiaccicato sul dietro del TIR a mo' di cartone animato (meglio prenderla a ridere...), ma così mi risparmio anche un po' di freddo, il che non guasta, e poi cerco di tenermi non al centro, ma il più possibile verso destra, in un punto dove il vortice non mi sballotti e che in caso mi permetta di tentare uno scarto di lato. Ho notato che su quel tratto molti altri motociclisti fanno la stessa cosa, soprattutto quelli dotati di mezzi meno potenti e scarsamente protettivi. Così arrivo a Dingolfing, sede delle fabbriche della BMW: sembra una di quelle città del far west nate dal nulla accanto alle miniere, ecco questo è l'effetto che fa. Fabbriche, fabbriche e ancora fabbriche, e poi case e centri abitati, tutto nel rigoroso ordine teutonico. Finalmente trovo una stazione di servizio; la stanchezza, il freddo e lo sbattimento di prima, che ha risvegliato un certo doloretto alla schiena, tendono ad avere il sopravvento sulle mie più bellicose intenzioni, sono quasi tentato di cercarmi un posto per la notte, sono le 16.00 e mi sto rompendo (in tutti i sensi), poi mi rendo conto che mancheranno più o meno una ottantina di chilometri, allora scatta la molla: "che cappero mi fermo a fare qui che sono quasi arrivato"? Riparto un po' più baldanzoso, col pieno di benzina stavolta non ce n'è per nessuno. Divoro il tratto di strada che porta a Iggenbach, mentre transito nei pressi di Deggendorf penso agli amici di Pescara che sono fermi là e mi domando: "ma che ce stanno a fa'? Solla è a uno sputo..." Bah, tiro dritto, vado talmente di corsa che quasi manco l'uscita, imbocco la strada per Schollnach - Zenting, passata la quale mi fermo per montare la on-board camera per documentare l'arrivo.
Mentre sono fermo passa in auto un simpatico signore che pensando non conosca la direzione mi gesticola da dentro l'abitacolo indicandomi verso dove proseguire, non posso far altro che ringraziarlo alzando il pollice; riprendo il cammino e sbaglio per la prima ed unica volta la strada, o meglio, vedo il cartello che indica per Solla ma non faccio caso al bivio col ponticello perchè sono concentrato su uno slargo per i BUS che mi induce in errore e cercando la svolta, vado avanti forse poco meno di un chilometro, quando vedendo un altro cartello mi rendo conto che ho mancato il bivio. Torno indietro, imbocco la strada giusta ed in men che non si dica, mi trovo a percorrere la stretta e trafficatissima stradina, non senza aver notato che c'è gente che viene in macchina o in camper (questo è sicuramente un evento che attira molto). Davanti a me dei ragazzi su una moto trainano una slitta (carica di non so cosa) su sci che fanno le scintille tra l'ilarità generale mentre un altro ha una cassetta di birra attaccata di lato, così, procedendo dietro a loro, alle 17.00 precise mi ritrovo davanti al piazzale. Trovo pure parcheggio proprio lì davanti (che culo!). Spengo la camera on-board e spengo il motore, con una sgasata a sottolineare...
Ce l'ho fatta! Non posso crederci, sono al mio primo Elefantentreffen, sono sopraffatto dalle emozioni. Mi sento come un bambino davanti al bancone di una pasticceria (io che sono un goloso...), c'è una varietà di mezzi ed uomini probabili ed improbabili, mi guardo intorno, incrocio gli sguardi di tanti altri diversi ma uguali a me, mi gratificano gli sguardi compiaciuti ed i cenni di consenso con la testa di quelli più smaliziati (qui all'Elefanten) che mi hanno radiografato ed hanno capito che per me è la prima volta. Non leggo invidia negli occhi, solo curiosità; credo di essere stato capace solo di elargire qualche sorriso ebete.
Come vorrei che in questo momento con me ci fossero, a condividere le emozioni, mio fratello (un biker, di due anni più grande, che non ha potuto esserci per motivi di salute) o alcuni degli amici più stretti e fedeli.
Vado a fare l'iscrizione e a comprare la famosa spilla con la targhetta dell'anno, ma non la indosso, la lascio ben riposta (insieme agli altri gadget che ho acquistato) nella busta a bolle che la gentilissima signora al chiosco mi ha dato per conservare il tutto; ho paura di perderla, certo potrei acquistarne a vagonate, ma questa è la mia, è passata dalle mani di quella signora alle mie, non potrebbe essercene un'altra. Mi viene applicato il braccialetto al polso e finalmente posso entrare. L'unica definizione che mi viene in mente è questa: sembra una di quelle illustrazioni della Divina Commedia realizzate dal Dorè, è un girone Dantesco nel quale vivono e si agitano le anime dei dannati, in perenne movimento. Non so più dove guardare, mi chiedo perchè la nostra memoria non sia un enorme hard disk da poter collegare ad un computer per scaricare suoni ed immagini per far vivere a chi non è con noi le medesime emozioni. Intanto cerco un posto dove piazzarmi, non so proprio dove andare a sbattere mentre percorro la stradina a sinistra della buca. Più avanti c'è un altro spiazzo, tra gli alberi, quasi privo di neve, che sembra più riparato dal vento; mi inoltro, finchè, sentendo parlare in italiano mi avvicino, sono tre signori di Torino che al mio saluto rispondono cordialmente (come potrebbe essere altrimenti), è la prima volta anche per loro. D'istinto ho deciso (ed in genere non mi sbaglio mai): saranno loro i miei compagni d'avventura. Lo spazio c'è, siamo a posto. Beh, non del tutto a posto: ho gli occhi che mi bruciano e sembrano volermi cascare fuori dalle orbite e tra le medicine, che porto sempre con me per i miei problemi di salute, manca il collirio. Risalgo e chiedo ad uno dello staff che mi dice che a Schonberg, a 9 Km da li, ci sono due farmacie; so che devo affrettarmi perchè, se la memoria non mi fa difetto, in genere chiudono alle 18.00 (o le 19.00?). Rimonto in sella e prendo la strada che mi è stata indicata. Qui mi prenderò la prima delle due paure di tutto il viaggio. Ve l'ho detto che sono un patito di strade di montagna? No? Beh, è così; da tantissimi anni tutte le estati quando vado in vacanza faccio "campo base" presso l'albergo che si trova in Val Venosta vicino allo Stelvio, di proprietà di un ex campione olimpico di biathlon di cui sono diventato amico; qui mi sono fatto una grande esperienza con i passi e le strade montane. L'unica cosa con cui ho meno esperienza sono le strade che con basse temperature dovute alla neve diventano rapidamente infide, così in una curva, pur avendo spesso saggiato col piede l'asfalto, per eccesso di confidenza, la moto (che è ancora carica) non va dove vorrei che andasse; il ciglio della strada si avvicina rapidamente e non posso certo inclinare per correggere la traiettoria, finirei di certo per terra, addrizzare significherebbe andare fuori strada, l'unica cosa che faccio è togliere piano il gas e poggiare un poco il piede sul freno posteriore, la fortuna mi da' una mano e completo la curva a 30/40 cm dal bordo. Rallento ancora, una vampata di calore mi avvolge, stavolta ci sono andato molto vicino; non c'è nessuno in giro, sarebbero potute passare ore prima di poter chiedere o avere aiuto, sempre ammesso che non mi fossi fatto male... (sono rischi che si corrono andando da soli). Arrivo a Schonberg e mi infilo nella prima farmacia che incontro, prendo quel che mi serve, faccio dietrofront e torno con più calma; l'unica fregatura è che la moto la devo lasciare da un'altra parte (si dice: chi va a Roma perde la poltrona...). Prendo parte delle mie cose e raggiungo gli amici di Torino ai quali racconto la scampata disavventura, uno si offre di accompagnarmi a prendere il restante del carico, così posso mettere a nanna la mia bimba sotto il telo senza fare altri viaggi avanti e indietro, mi viene pure d'improvviso la strampalata idea di staccare la batteria (dopo essermi annotato il chilometraggio parziale, perchè si azzera) per portarla con me in tenda (starà sicuramente più al caldo lì che fuori). Dopo un po' la tenda è piazzata, riempita di tutte le mie cose e suppellettili
e finalmente posso cominciare a rilassarmi e a pensare anche al mio mal di schiena: il tubo di Voltaren ed i cerotti di Dicloreum che ho con me saranno i migliori compagni della mia avventura.
Giorno 2 - La prima (e, ahimè unica) sera.
Il buio è calato rapidamente, il freddo è molto pungente, ci scaldiamo davanti al fuoco che hanno acceso Mario Michele e Alfonso e le nostre discussioni vertono principalmente (guarda caso) su scelte di moto e di gomme, si parla ovviamente anche di donne: mi chiedono "ma ce ne sono qui?" "ne hai viste tu?"... io francamente rispondo che ne ho viste proprio pochine e nessuna minimamente avvenente (come si dice a Roma: "pareno omini"), e qui si sprecano le battute sulle probabilità di ritrovarsi con qualche "sorpresina". Nel frattempo decidiamo di prepararci da mangiare, fra tutti abbiamo una varietà di cibarie e bevande assai eterogenea: wurstel, patate precotte, dei barattoli di pasta con il condimento che ho comprato in giro, del pane, carne e salsicce da fare alla brace, formaggi, vino, acqua, thè, caffè; quel che pare mancare un po' ovunque è la frutta (sicuramente troppo deperibile), mentre per la birra il problema non sussiste... Consumiamo un discreto pasto, durante il quale esce fuori il mio lato peggiore (sono logorroico) al punto che la frase ricorrente di Mario è: "mangia che ti si fredda..." però non c'è malizia, è solo che effettivamente mi lancio con tanto entusiasmo nei racconti che mi dimentico letteralmente di mangiare... Quando abbiamo finito decidiamo per un giro esplorativo-digestivo. Lo spettacolo che si mostra è, come dicevo, di un girone infernale (anzi lo è ancor di più) variamente illuminato, punteggiato delle luci dei fuochi;
si odono gli echi di risate, di canti, di vociare più o meno intensi. Ogni tanto si sente lo scoppio di un petardo, qualcuno accende fuochi d'artificio,
si sentono i suoni di motori sparati al massimo.
Sono frastornato, questo tipo di manifestazione è del tutto nuova per me, ma al momento non me ne curo molto. La temperatura scende e rientriamo rapidamente alla "base" e ci prepariamo per la notte. Sono talmente stanco e sfatto che potrei rischiare, malgrado il freddo, di addormentarmi fuori dal sacco a pelo, per fortuna ho chiesto a Michele di scattarmi un paio di foto, compresa una col mio "trofeo" ben in evidenza così mi sparaflescia (citaz. M.I.B.) con la mia macchinetta riportandomi alla realtà anzichè cancellarmi la memoria... (se non ci fossero loro...).
dopodichè tutti a nanna. Mi rinchiudo nel mio "bunker" e nel mio bozzolo; ho a disposizione anche degli scaldini chimici, ma il sacco a pelo funziona a dovere (e ti credo, è l'oggetto più costoso della mia attrezzatura...). Il tempo di trovare la posizione più comoda (il materassino è maledettamente sottile) e crollo; i rumori che arrivano dall'esterno non riescono a disturbarmi, credo che ormai neanche le cannonate possano svegliarmi.
Sabato 31 gennaio - Giorno 3 - Il raduno
Quando riemergo dal "baratro" è già giorno (peccato, mi sarebbe piaciuto vedere l'alba), gli altri sono svegli da un po' e mi chiedono se abbia voglia di andare a fare colazione all'imbiss, ma credo che il mio sguardo sia più che eloquente; preferisco farmi un thè bollente e mi mangio dei cornetti con la marmellata presi dalla mia scorta da viaggio, poi esco per farmi un giro. Lo spettacolo che mi si presenta davanti agli occhi, ormai ben aperti, lo definirei post-apocalittico:
piccole colonne di fumo di fuochi quasi spenti, gente che ha dormito fuori dalle tende (ho preferito non fotografarli, non erano un bello spettacolo), chi vomita da una parte, chi fa i propri bisogni dall'altra, chi ubriaco procede barcollando tra la gente diretto chissà dove e abbraccia, quasi sconsolato, il primo che gli capita davanti. Non riesco a capire il perchè ci si possa spingere ad un abbrutimento tale da far perdere ogni dignità, ogni ritegno, tanto da ricatapultare l'uomo all'età della pietra, tanto da ricondurlo alla bestialità. Queste cose non le concepisco ne' nella vita quotidiana, ne' qui, dove forse sarebbero maggiormente comprensibili (ma non giustificabili). Non è perbenismo o moralismo il mio; solo che queste manifestazioni si scontrano con alcune mie convinzioni e per alcuni brevi istanti mi rendono odioso il raduno stesso, forse perchè sembra diventare un'alibi per lasciarsi andare (e magari lo è, anche se sono fermamente convinto che ci sia un limite a tutto). Poi, seguendo la filosofia del vivi e lascia vivere, e la convinzione che in fondo ognuno è libero di fare della propria vita ciò che preferisce (purchè non interferisca con la mia), decido di fregarmene di tutto, sono qui per divertirmi e lo farò, alla mia maniera. Trascorro così un po' di tempo in giro a guardare, a fare foto a cercare di entrare nell'atmosfera del raduno.
Ad un certo punto mi imbatto in alcuni dell'E.I.S. - ElefantInSputer: saluti, complimenti, foto...
loro sì che sono mitici! Li rivedrò più tardi giù nel circuito a fare giri tra le ovazioni del pubblico che applaude. Vado anche a rimettere la batteria alla moto per farla girare un po', faccio così la conoscenza di Nicola ed Antonio, due "ragazzi" (per me che sono affetto dalla Sindrome di Peter Pan, sono tutti un po' ragazzi) di Taranto, si chiacchiera, si fanno delle foto, ci si saluta.
Ad un certo punto mi accorgo della scritta emblematica che campeggia sopra la costruzione dove si vende la legna: "keine feier ohne lagerfeuer" la cui traduzione letterale "nessuna celebrazione senza fuochi di accampamento" sta a significare che non c'è divertimento se non c'è il fuoco... (un chiaro ed esplicito invito a comprare legna, d'altra parte credo che nessuno si sia portato il caldobagno DeLonghi...)
Intanto intorno a me è tutto un formicaio: c'è gente che va, che viene, chi trasporta legna con i mezzi più disparati, chi cassette di birra, chi indulge nello sport preferito, ovvero risalire la stradina dalla buca, saltando sul dietro dei sidecar per far attaccare le ruote oppure spingendo moto, il tutto tra schiamazzi e risate e ben condito da schizzi di neve e fango.
Credo che in fondo sia questo lo spirito dell'Elefanten: il sano, goliardico divertimento tutto fine a se stesso. Vedo ogni tipo di personaggio, dai biker "brutti sporchi e cattivi" a quelli ben vestiti e perfettamente attrezzati, ci sono tizi vestiti con pelli o che indossano fantasiosi copricapo, ci sono alcuni molto anziani che suscitano in me sentimenti di tenerezza e rispetto (devono amarlo proprio questo pazzo circo...).
C'è ogni tipo di mezzo: gli scooter, le moto più normali, quelle più assurde (le rat-bikes, post-atomiche) cariche di orpelli, pupazzi, pupazzetti, simulacri, feticci, teschi, ossa e pelli di ogni genere.
(Il precursore del GPS...)
(Mi sa che questo ha sbagliato la strada per la Dakar...)
(Credo che queste siano le due moto più fotografate qui al raduno...)
(Rat-art...)
Bisognerebbe fotografare tutto e tutti e non basterebbero diverse migliaia di scatti, l'unico sistema è guardare bene e immagazzinare nella materia grigia, la migliore memoria di massa che esista (peccato non poterne poi estrapolare le immagini od anche i suoni e gli odori per condividerli con gli altri).
Si è fatta ora di pranzo e me torno alla tenda, mi apro una lattina con la pasta pronta, accendo il fornelletto, piazzo il pentolino, aggiungo un po' d'acqua e via! si mangia. Più tardi tornano anche i miei compagni di avventura, scambiamo quattro chiacchiere ed anche loro si trovano d'accordo sul fatto che si vedono dei comportamenti un po' troppo "sopra le righe" (Alfonso li definisce disgustosi e abietti...), evidentemente anche loro non si sentono completamente a proprio agio (e come dar loro torto, in fondo questa è una impresa che per alcuni che la affrontano per la prima volta può apparire un tantino "destabilizzante").
Sabato 31 genaio - Giorno 3 - (la fine de) Il raduno
A metà pomeriggio il mio Elefanten subisce un duro colpo: credo di avere in arrivo una colica renale, e so' con certezza che non mi farebbe assolutamente bene passarmela trascorrendo un'altra notte in tenda, sarebbe da incoscienti. Il mio cervello elabora rapidamente, non c'è altra soluzione: devo sbaraccare e trovarmi un posto caldo e comodo con un bel bagno a tiro. Così metto al corrente gli altri della mia situazione e della conseguente decisione. Vedo il loro disappunto e percepisco anche un poco di preoccupazione, li tranquillizzo, non è la prima volta che mi succede e so' esattamente come andrà a finire. Per farla breve, smonto tutto e impacchetto alla meglio le varie cose (che sembrano essersi moltiplicate per partenogenesi...). Si fa strada inevitabile la domanda "e dove vado adesso?" Di nuovo il mio cervello (che purtroppo non si spegne mai e non va mai nemmeno in stand-by) ha pronta la risposta: Schonberg! E' vicino, andando in farmacia ho visto che ci sono diversi alberghi, sicuramente un posto lo trovo. Così verso le 18.00, dopo aver salutato i miei "vicini di casa" sono per strada (occhio alle gelate...). In breve tempo arrivo a destinazione, il primo hotel che incontro entrando in paese è bello grande ed ha il parcheggio semivuoto, il mio istinto mi dice che forse sono a cavallo.
Entro, mi informo, e, tempo pochi minuti, sto già scaricando la moto. Preso possesso della mia "frei zimmer" (addirittura una matrimoniale...!) posso rilassarmi e ragionare a mente lucida su quanto mi succede.
Ero preparato, ho un calcolo che non ho potuto asportare e vivo con questa piccola spada di Damocle, con la consapevolezza che ogni tanto avrò dei problemi, come mi sta succedendo ora. Questo non mi ferma di certo, però ogni tanto mi condiziona un po' la vita. Mi scappa una lacrima, è un misto di dolore fisico (poco, ho sviluppato un certo grado di sopportazione) e di dolore dell'anima (la delusione di non potermi immergere completamente nell'atmosfera del raduno e viverne appieno più sfumature possibile), non ci voleva proprio adesso, ma ormai non posso farci più niente. Mi butto sul letto, presto i medicinali faranno effetto (almeno spero); più tardi, fatta una bella doccia calda, scendo al ristorante per mangiare qualcosa e con mia grande sorpresa vengo accompagnato ad un tavolo accanto ad altri due pieni di italiani. Abbigliamento inequivocabile, saluti di rito, sono elefanti anche loro, chi alla prima chi all'ennesima partecipazione. Non mi curo del fatto che si tratti di persone che l'Elefanten lo vivono in maniera più comoda (quasi da spettatori mi verrebbe da dire), vanno al raduno ma a sera ritornano in albergo per mangiare e dormire; in fondo (come predico sempre) ognuno vive la moto e ciò che ad essa è legato come meglio crede. Mi fa piacere poter chiaccherare con qualcuno (e te pareva...!) e condividere le sensazioni, i pareri. Durante la cena la discussione si anima e si dipana nei racconti di viaggi ed esperienze personali; si alternano momenti di religioso silenzio mentre si ascoltano i resoconti di qualcuno, a dei momenti di assoluta anarchia quando si parla a gruppetti ridendo di aneddoti e battute (siamo in 11, riuniti attorno a tre tavoli che abbiamo avvicinato). Ho dimenticato i miei problemi, come se li avessi lasciati chiusi di sopra in camera, una situazione pesante si è fortunatamente trasformata in qualcosa di positivo, sintetizzato nel puro e semplice gusto dello stare in spensierata compagnia. Siamo talmente infervorati che non ci rendiamo conto che abbiamo tirato tardi, ce ne accorgiamo solo quando guardandoci intorno ci rendiamo conto che siamo rimasti praticamente gli unici, ma nessuno si è sognato di farcelo notare (evidentemente sembriamo proprio una bella compagnia di allegroni). Decidiamo di alzare i tacchi, qualcuno domattina vuole partire presto, qualcun altro è intenzionato a tornare al raduno, io invece non faccio programmi: quando mi sveglierò domattina deciderò il da farsi. Saluto tutti e torno in camera. Getto uno sguardo fuori dalla finestra; là, nel buio, oltre quelle colline c'è Solla col suo accampamento.
Non ho voglia di dormire, per ingannare il tempo, accendo la TV a farmi compagnia e mi metto a riordinare e pulire l'attrezzatura e a rifare le borse e finalmente quando ho finito tutta l'operazione mi concedo il meritato riposo.
Domenica 1° febbraio - Giorno 4 - The day after - la partenza per il ritorno.
Mi sveglio di buon'ora, il tempo è abbastanza buono e mi sento meglio.
Scendo per fare colazione, la classica (a me molto familiare) a buffet dove puoi scegliere spaziando tra latte, the, caffè, cappuccino, cioccolata, succhi di frutta, yoghurt, macedonia, marmellate, miele, nutella, dolci, pane, affettati misti, formaggi, muesli e cornflakes (ho dimenticato qualcosa?), insomma ogni cosa possa appagare il gusto e le esigenze di ognuno. Cerco di non appesantirmi perchè ho preso la decisione: mi metto sulla strada del ritorno. Fatta colazione, visto che ci sono, decido di visitare rapidamente Schonberg. E' un bel posto, il cui primo insediamento risale al 13° secolo, viene definito "la Merano delle foreste bavaresi" per le affinità che hanno i portici delle due località. Le case sono tipiche, ognuna di un colore diverso, e c'è una bella chiesa (che non mi lascio sfuggire di visitare);
in giro ci sono esposte delle campane (persino nel giardino dell'albergo),
scopro così che sono state acquistate come simbolo di pace (questa è stata zona di guerra durante il secondo conflitto mondiale e gli americani l'hanno rasa al suolo per 3/4 nel 1945). La caratteristica di queste campane è che sono ricavate dalla fusione del metallo dei cannoni trovati in bunker sotto una montagna (!). Gironzolo un po', scatto qualche foto e me ne torno in albergo.
Pago il conto, carico la moto
e dopo aver salutato e ringraziato per l'ospitalità (deliziosa) alle 12.00 circa parto, direzione... (beh, più o meno verso casa...).
Per non trovarmi intruppato nell'eventuale traffico di chi sta "togliendo le tende" dal raduno, scelgo di percorrere la B533 verso Hunding-Auerbach-Hengersberg, poi per un breve tratto la A3 verso Deggendorf e la A92 verso Monaco.
Per evitare la noia mortale di quell'autostrada, ed il vento che la spazza, a Landshut la lascio per percorrere la statale B15 che oltre che farmi risparmiare una cinquantina di chilometri, è anche molto gradevole per percorso e paesaggi visto che attraversa diverse cittadine e paesini molto caratteristici. Verso le 14.00 per mangiare sono costretto a ripararmi nel casottino di una fermata d'autobus tanto il vento di tramontana è tagliente; ne approfitto per cambiare i calzini e appena rifocillato riparto in direzione di Rosenheim che raggiungo verso le 15.45; devo fermarmi per fare benzina, ho anche bisogno del bagno; chiedo al gestore il quale mi porge la chiave...
Il bello è che è dotato di termosifone che va a tutta callara (come si dice dalle mie parti...), ci poggio sopra guanti ed un paio di calze asciutte (mi si freddano i piedi con una rapidità incredibile), anzi per dirla tutta approfitto per scaldarmi le estremità con l'asciugatore a parete (fedele amico e compagno di tutti i motociclisti infreddati), mi ricompongo, vado a restituire la chiave e riparto, mancano meno di 100 km ad Innsbruck. Avrei voluto proseguire per entrare in Italia dal Passo Resia e fermarmi dagli amici in Val Venosta ma quei 140 Km in più non credo di riuscire a farli, ricomincio ad avere qualche doloretto che non lascia presagire nulla di buono. Magari domani vedrò il da farsi, tanto non ho problemi di orari, posso metterci pure una settimana a rientrare. Raggiungo Innsbruck il più in fretta possibile
e mi dirigo allo stesso albergo dove sono stato qualche giorno fa sperando che abbiano una stanza disponibile. Ce l'hanno, metto la moto in garage (allo stesso posto...) e mi infilo in camera, telefonata ai miei cari per un aggiornamento, poi doccia calda e riposino fino all'ora di cena, la schiena mi tormenta (e non solo quella). Per fortuna l'appetito non mi passa e mi godo qualche piatto tipico.
Tornato in camera guardo un po' di TV,
le previsioni per domani in zona non sono un granchè; cerco di pianificare ma francamente non c'è molto da scegliere: o il brennero per un rientro diretto oppure via Landeck-Nauders-Resia per la Val Venosta. Rimando la decisione a domattina. Buonanotte...
Lunedi 2 febbraio - Giorno 5 - Brennero o Venosta... questo è il problema...
Come mi succede spesso mi sveglio verso le sei e compio i gesti consueti: alzo la serranda ed apro la finestra, metto il naso fuori, faccio le mie elucubrazioni, e prendo una decisione. L'aria è pungente ed il cielo quasi sgombro,
sembra (dico solo sembra) che le previsioni di ieri non fossero esatte, quasi quasi vado per la Val Venosta. Mi rimetto a letto per dormire un altro paio d'ore. Quando mi risveglio la situazione è cambiata totalmente, il cielo è coperto e tira un vento che sembra scirocco,
infatti quando scendo in garage per accendere e far riscaldare un po' la moto l'aria è quasi tiepida (brutto segno) e la conclusione è quasi scontata: meglio accorciare rientrando per il Brennero. Faccio la solita colazione, pago il conto e mi preparo con mooolta calma, tanto che finisco per partire verso le 12.00. Appena imbocco la salita verso il Brennero vengo accolto da nevischio e vento a raffiche che mi sposterà dalla corsia di sinistra a quella di destra rischiando di farmi cadere mentre attraverso l'Europabrucke, mi fermo alla stazione di servizio subito dopo per fare rifornimento, incontro tre ragazzi di Roma che su due Harley stanno rientrando anche loro; facciamo tratto insieme, nevica ancora leggermente, quando entriamo in territorio italiano i cartelli luminosi avvertono che la nevicata è fino a Rovereto. Si prosegue cercando di tenere una media adatta, poi decido di fermarmi di nuovo per indossare l'antipioggia perchè l'intensità della nevicata è aumentata decisamente. Quando riprendo la via, rendendomi conto che la neve ancora non attacca a terra a causa dell'asfalto umido, alzo molto il ritmo: finchè posso preferisco guadagnare tempo, tanto quando troverò condizioni peggiori sarò costretto (come puntualmente succederà) ad andare pianissimo. Manco a farlo apposta da Vipiteno in poi la situazione peggiora, alle 14.00 mi fermo in un'area di servizio a Bolzano.
Cerco di chiamare a casa ma i telefoni non prendono, per quanto sia agganciato alla rete italiana non riesco a telefonare; decido intanto di mangiare qualcosa, poi finalmente riesco a chiamare e tranquillizzare i miei che sono preoccupati perchè hanno notizie non proprio confortanti dal meteo, ma io sono aggiornato. Quando riparto devo percorrere il tratto tra Bolzano e Rovereto a passo lento, la neve è ormai alta alcuni centimetri e la mia ruota anteriore galleggia, guido con molta cautela con le mani appena poggiate sui manubri, tenendomi nei tratti più puliti grazie al passaggio dei TIR, devo anche togliere in continuazione la mano sinistra per pulire la visiera del casco che si riempe di neve togliendomi completamente la visuale, insomma diverse decine di km in grande tensione. Quando finalmente passo il tratto critico, devo comunque fare i conti con una pioggia incessante che non mi abbandona. Sono costretto a percorrere interminabili chilometri dietro a TIR che si sorpassano tra loro e non riuscendo a rientrare (perchè hanno tutti la stramaledetta abitudine di camminare incolonnati a breve distanza uno dall'altro) creano code lunghissime di veicoli in sorpasso che procedono lentamente, questo fa sì che l'acqua, invece di scivolare via (grazie alla velocità) cominci a colare ed infiltrarsi soprattutto nelle moffole e nei guanti inzuppandoli e bagnandomi e intirizzendomi le mani. Sono a Mantova sud e decido che è il caso di fermarmi, non ce la faccio più, sono bagnato, i miei dolori sono lì a ricordarmi che non devo esagerare (se non fosse così i 470 km che mi separano da Roma li divorerei); a San Biagio c'è un'amica che ha un albergo, e mi dirigo lì, sarà quello il mio rifugio. Ficco la moto in garage, scarico tutto, salgo in camera e piazzo tutto in bagno. Quello che segue è la classica procedura: quello che è da asciugare finisce sui termosifoni, qualcosa viene lavata, il casco ripulito, il sottoscritto finisce sotto la doccia calda; non mi sono mai lavato tanto in vita mia... (scherzo, ho la presunzione di essere una persona molto pulita, ma la battuta ci stava bene). Quando sono finalmente tornato in condizioni umane scendo per fare un vero pasto. "Che ti faccio?", "vuoi una piadina? oppure vuoi della pasta? lasagne, maccheroni, ravioli?" Io che sono, come si dice dalle mie parti, un pastasciuttaro, ho una risposta sola... Finirò con un enorme piatto di ravioli ricotta e spinaci, conditi con del pomodoro fresco e basilico, che mi sazierà completamente; mentre mangio chiacchieriamo a lungo, lei ama la moto (come potrebbe essere altrimenti, siamo nella patria del "mutor"), anche se preferisce essere trasportata. E' curiosa di sentire il racconto di questa mia esperienza; cerco di spiegarle, ma il ricordo è talmente vivo che vado un po' a casaccio, le riempio la testa di ogni cosa mi passi per la mente in ordine sparso, le mostro anche qualche foto, i suoi sguardi sono eloquenti, l'ha sempre pensato che devo essere un po' fuori di testa... Giunto alla fine, la conclusione ovvia (e degna) anche di questa giornata è il sonno dei giusti. Do la buona notte e scompaio nella "mia tana".
Martedi 3 febbraio - Giorno 6 - Si va a casa.
Stavolta la sveglia non è così presto come gli altri giorni, sono riposato e scendo per fare colazione; ha piovuto quasi tutta la notte ed adesso c'è un po' di tregua: bene, mi dico, almeno parto senza pioggia (pia illusione). Di fianco all'albergo c'è un grande negozio di abbigliamento per moto, ne approfitto per comprarmi un'antipioggia nuova (scelta quanto mai azzeccata), certo mi comprerei di tutto, e Daniele (il titolare) è una persona così affabile che, per non smentirmi, mi metto a chiacchierare e mi dilungo (non si nota, eh?), così si fanno le 11.00 passate. Rientro in albergo, pago, carico la moto, saluto e lascio anche questo posto; mentre vado via volto un attimo la testa indietro: ogni qualvolta parto da un posto ci lascio un frammento di cuore, specie se ci sono amici.
Riprendo l'autostrada e capisco subito che quest'ultimo tratto non sarà affatto piacevole, a nemmeno un terzo di strada da Modena il cielo grigio scarica tutta la sua forza su di me (beh, non solo su di me, ovvio, non sono Fantozzi...), la pioggia cade incessante e mi accompagnerà fino a Roma. In queste condizioni il tempo sembra dilatarsi e le distanze aumentare, dove posso cerco di andare il più veloce possibile, breve rifornimento e di nuovo in viaggio, il tratto appenninico è stressante, di nuovo TIR in sorpasso, imbecilli che si piazzano ad un paio di metri dalla coda della moto (con i quali litigo gesticolando per far capire loro di stare lontani), acqua a catinelle, lavori in corso... un calvario insomma. Ad un certo punto, un po' prima di Roncobilaccio, mi prendo la seconda (e per fortuna ultima) paura di tutto il viaggio: sto percorrendo una curva a destra, a velocità normale, la strada è bagnatissima, a metà curva, senza preavviso, mi parte il posteriore della moto; d'improvviso i neuroni viaggiano a velocità folle nella mia zucca, ho solo il tempo di pensare "caz*o, che sfiga cadere adesso" mentre il polso ruota togliendo il gas, però la moto si raddrizza e finisco la curva come Dio vuole. Mentre percorro la curva successiva ed entro nella galleria appresso, l'adrenalina mi ha chiuso la gola, e le tempie mi battono: l'ho scampata anche stavolta. Faccio qualche chilometro a velocità ridotta, tanto per recuperare tranquillità e soprattutto lucidità. La "discesa" verso Roma procede senza ulteriori intoppi, salvo per la pioggia che solo verso Orvieto mi dà un po' di tregua per poi tornare a scaricarsi con intensità. A 100 Km dalla barriera Roma-nord faccio un rabbocco di benzina, non voglio fermarmi più fino a casa. Sarà ma questi ultimi 100 Km sembrano non finire mai, con lo sguardo cerco di volta in volta i cartelli indicatori (grande errore, perchè aumenta il senso di disagio, ma malgrado gli anni e i chilometri, ogni tanto ci ricasco). Comunque alle 17.00 imbocco il raccordo e la Salaria (ed è incredibile entrando in città accorgersi di quanto guidino male i Romani, ma lasciamo perdere), in una ventina di minuti sono a casa e davanti al box mi concedo qualche autoscatto a suggello dell'impresa: ho concluso il mio Elefantentreffen, il mio primo Elefantentreffen.