Cosa c'entra con la moto?
Forse potrebbero rispondere direttamente i genitori visto che un pezzo della loro vita, dal giorno in cui si decide o semplicemente si diventa motociclisti, potrebbe essere messa a repentaglio.
La loro visuale è molto più profonda di quanto pare e, a volte, la paura soggioga tutto il resto.
Questa è una premessa che dovevo a mio padre e alla mia bellissima mamma, visto che ho ventisei anni e dentro di me sta nascendo, sembra assurdo pensarci, un senso paterno.
Fine Premessa.
Capitolo I
...Appena ordinata la mia nuova Kawasaki z 750 rigorosamente Verde, sono corso a comprarmi tutto lo stretto necessario per non farmi trovare impreparato dal mio piccolo “mostriciattolo verde”...
...Entrato in quel negozio i miei occhi si sono spalancati davanti lo scintillio di caschi di tutti i colori, specchietti cromati e carene, giacchette e tute da pista appesi per tutto il negozio, mi facevano camminare curvo per non strusciarci con la testa.
Ho voluto dare un’occhiata in solitudine prima di chiedere a Tiziano, figlio del proprietario del negozio, nonché motociclista appassionatissimo, per farmi aiutare a scegliere qualche buon casco una bella giacca e dei guanti.
La prova del casco è stata com’entrare con la testa nell’acqua fredda, sentivo già il vento scivolare sulla visiera...i guanti in pelle mi davano un senso di giustiziere della notte pronto ad affrontare qualunque tipo di indecisione, e per finire una magnifica giacca di pelle verde come la moto, con le protezioni sulla schiena sulle spalle e sui gomiti che infondevano in me un senso di invulnerabilità e memoria ai vecchi cavalieri medioevali.
Una volta tornato “normale”, cioè spoglio della mia scintillante armatura, i miei passi iniziarono a diventare sempre più lenti, sempre più pesanti e con interminabile fatica, percorsi i miei ultimi tre centimetri che mi separavano dalla feroce cassa senz’anima... presi coraggio e con sicurezza afferrai il portafogli, conscio del fatto che fosse vuoto, ma con l’asso nella manica o meglio, nel porta documenti; estrassi fiero la mia carta blu contraddistinta da una qualunque dalla scritta, “Bancomat”.
Tiziano con altrettanta fermezza afferrò la carta e, con un colpo secco, la fece passare in una fessura strettissima all’interno di un geniale marchingegno, che di colpo dopo pochi secondi, sputò da un’altra stretta fenditura un piccolo papiro arrotolato.
Tiziano diede uno sguardo all’interno in cerca di un messaggio e, una volta sinceratosi del contenuto me lo consegnò senza indugi.
Abbassai lo sguardo verso le mie mani che stringevano il papiro... e all’improvviso la scritta:
« Pagamento effettuato ».
Tirai un lungo sospiro, anche sta’volta ce l’avevo fatta, la missione era andata a buon fine, salutai il mio onesto amico/nemico e andai diretto verso la mia dimora...
Capitolo II
Tornai a casa con il buio, percorsi il vialetto di casa mia ed entrai dalla porta di servizio.
Ad aspettarmi con la cena preparata c’era la mia amata Katia, « dove sei stato? »
Chiese con voce stridula.
« Ho comprato l’attrezzatura adatta a proteggermi » sicuro risposi.
« E da cosa? » disse lei.
« Da me stesso » risposi.
All’improvviso quasi con gesto di stizza, tirai fuori dalla sacca gialla il mio nuovo casco, e fiero glie lo mostrai.
Senza indugi e troppi giri di parole attaccai con la seconda mossa... la giacca di pelle.
« Che ne pensi di questa? » convinto la interrogai.
« Questa piace anche a me... è molto bello questo verde ed è l’unica cosa che mi piace e che mi ricorda quella macchina infernale » rispose.
Iniziavo a vedere uno spiraglio di luce nei suoi occhi e a quel punto sferrai l’ultimo attacco...
« Guarda questi, hanno le protezioni ovunque, sulle falangi e sui polsi... ti piacciono? »
« Si, sì mi piacciono, ma quanto hai speso? »
Purtroppo in quell’istante mi resi conto che non c’era più niente da fare e come ultima spiaggia cercai di aggirarla con la tecnica dello schizofrenico... m’infilai giacca, casco e guanti ed iniziai a girare intorno al tavolino come un pazzo (non credo sia stata una buon’idea).
Le sue braccia di colpo si abbassarono, il suo sguardo affranto mi diceva “non c’è speranza”, e correndo verso di lei, l’abbracciai tutto imbacuccato.
« Tu sei proprio tutto scemo » con voce chiara mi riprese.
« Lo so non posso farci niente, è solo che vorrei condividere con te questo momento così importante » con gli occhi lucidi gli risposi.
I suoi occhi s’illuminarono e con voce sottile, mi disse:
« Mi fido di te, è degl’altri che ho paura, ma so che infondo anche se non partecipo alla tua trepidazione, so che hai fatto la scelta giusta, con la testa e con che con il cuore, ed è per questo che ti amo e ti rispetto ».
In silenzio rimasi a gustarmi quel senso di comprensione così profonda, che riesce a farti accettare, verso chi ami, un milione di cose che fino un giorno a dietro non ti saresti mai aspettato.
...Ora sempre in silenzio rimango ad aspettare la mia moto...
Fine
Aleck